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Carceri: detenuta muore suicida, nel penitenziario di Civitavecchia. Avrebbe terminato la pena tra 4 mesi

Una detenuta 42enne si è suicidata, sabato sera, nella sua cella del carcere di Civitavecchia. Ne da notizia il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe.

“Nella notte di sabato, nella Casa circondariale di Civitavecchia si è tolta la vita una detenuta di nazionalità italiana di anni 42: è purtroppo il quarto caso in pochi anni che si verifica nella sezione femminile del carcere. Un Reparto il cui Ispettore coordinatore (un uomo) è spesso impiegato in altri servizi d’istituto. Questo episodio deve far capire all’Amministrazione penitenziaria l’importanza di avere un coordinatore stabile del settore detentivo femminile, magari destinando in quell’incarico un Ispettore di Polizia Penitenziaria femminile”, sottolinea il segretario generale del Sappe Donato Capece.

“Quel che mi preme mettere in luce” aggiunge Capece “è la professionalità, la competenza e l’umanità che ogni giorno contraddistingue l’operato delle donne e degli uomini della Polizia Penitenziaria con tutti i detenuti per garantire una carcerazione umana ed attenta pur in presenza ormai da anni di oggettive difficoltà operative come il sovraffollamento, le gravi carenze di organico di poliziotti, le strutture spesso inadeguate. Siamo attenti e sensibili, noi poliziotti penitenziari, alle difficoltà di tutti i detenuti, indipendentemente dalle condizioni sociali o dalla gravità del reato commesso – conclude il leader dei poliziotti penitenziari.

“Negli ultimi vent’anni anni, dal 1992 al 2012, abbiamo salvato la vita ad oltre 17.000 detenuti che hanno tentato il suicidio ed ai quasi 119mila che hanno posto in essere atti di autolesionismo, molti deturpandosi anche violentemente il proprio corpo. Numeri su numeri che raccontano un’emergenza purtroppo ancora sottovalutata, anche dall’Amministrazione penitenziaria che pensa alla vigilanza dinamica come unica soluzione all’invivibilità della vita nelle celle senza però far lavorare i detenuti o impiegarli in attività socialmente utili”.

 

Il Garante: detenuta suicida sarebbe uscita tra 4 mesi

 

Il tragico episodio sarebbe avvenuto nella notte di sabato scorso. A renderlo noto il segretario del sindacato di polizia penitenziaria Sappe, Donato Capece, che ha inoltre sottolineato che sarebbe la quarta detenuta suicida del penitenziario in pochi anni, in un reparto dove manca inoltre la figura fissa dell’ispettore coordinatore.

Ma l’episodio è reso, se possibile, ancor più tragico se si pensa che la donna che si è tolta la vita sarebbe uscita dall’istituto di pena fra quattro mesi, ossia il prossimo dicembre. A dichiararlo, in una nota, il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni che aggiunge: “Una persona che, a poche settimane dal fine pena, decide di negarsi in maniera tanto drammatica ogni speranza per il futuro dovrebbe farci riflettere sulla reale capacità della pena di tutelare i detenuti e di garantirne il pieno recupero”.

La detenuta, A. L., era in carcere dal 2011 per una serie di reati comuni ed aveva problemi di dipendenza dalle droghe, e negli ultimi tempi avrebbe manifestato un forte disagio tanto da essere, proprio per questo, sottoposta in carcere alle misure previste in questi casi.

“Il gesto di questa donna – ha proseguito Marroni – riaccende per l’ennesima volta i riflettori sull’utilità della detenzione per i tossicodipendenti e, più in generale, per tutti coloro che sono affetti da malattie. Il carcere è un ambiente duro che piega la resistenza dei più forti, figurarsi di quanti vivono una situazione di disagio psicologico.

Nel caso specifico anche il momento del fine pena, se non affrontato con adeguati sostegni, per i soggetti più deboli può essere drammatico”. “Credo che il carcere non sia la risposta migliore ai problemi delle persone malate – ha concluso Marroni – e che non basti diminuire le presenze per avere condizioni più umane di detenzione.

La differenza sta nella funzione trattamentale e nell’individuare la soluzione più efficace a garantire i diritti dei reclusi, garantendo la continuità di trattamento anche quando finisce la detenzione. Per questi casi, la soluzione migliore può essere il ricorso a misure alternative alla detenzione come il ricovero nelle comunità terapeutiche, che sicuramente hanno maggiori professionalità per accogliere queste persone”.

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