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Argentina: la popolazione contro i danni causati dalle miniere a cielo aperto

Gli scontri di questi giorni a Rawson (capitale della provincia argentina del Chubut) che hanno visto i manifestanti caricati dalla polizia con ampio uso di proiettili di plastica per disperderli, non nascono da oggi al domani.

La storia estrattiva in Argentina è di vecchia data, così come i guasti ambientali provocati dalla medesima. Risalgono perlomeno al XIX secolo e sono proseguiti alla nel XX e oltre. Incontrando però, nel frattempo, anche l’opposizione degli abitanti della aree interessate.

Qualche passo indietro. Era il 17 maggio 1813 quando venne approvata la prima legge per lo sviluppo minerario. Una data storica per l’Argentina, destinata a essere celebrata in quanto “Giornata nazionale dell’estrazione mineraria”.

Una ricorrenza che recentemente viene però rimessa in discussione da coloro che – sempre più numerosi – si interrogano sui molteplici danni ambientali che tali attività (in particolare quelle denominate “open-pit” e “mega mining”) provocano ai territori. “Così come si parla sempre più spesso non di “desarollo”, MA di “maldesarrollo” (cattivo sviluppo)”.

Anche se, come sostengono alcunistorici, in realtà quello minerario non sarebbe mai stato un settore trainante per il Paese. Ma le cose cambiarono radicalmente negli anni novanta del secolo scorso.

Precisamente dal 1993, quando il governo di Carlos Menem (neoliberista), introdusse modifiche legislative sostanziali in campo minerario.

Favorendo le multinazionali e creando le condizioni per la generalizzazione del modello estrattivo delle grandi miniere a cielo aperto (in particolare per oro, argento e rame).

Un metodo devastante, ma in grado di consentire l’estrazione dei minerali anche dalla superficie della terra (dove sono presenti a bassa concentrazione). Scavando immensi crateri (invece che attraverso i tunnel) e utilizzando grandi quantità di acqua, esplosivi e sostanze chimiche (cianuro, acido solforico…) per la separazione dei metalli.

Con costi umani e ambientali facilmente intuibili.

Una problematica questa che attanaglia non solo l’Argentina, ovviamente. Ma, pur restando sempre in America Latina, anche Paesi come il Messico e la Colombia. Vittime dell’alleanza, complicità tra governi e compagnie minerarie.

In Argentina tale attività è andata crescendo ulteriormente soprattutto dopo il 2000. In stretta relazione con lo sviluppo delle reti dell’energia. Due settori – l’energetico e l’estrattivo – che si alimentano e si rafforzano reciprocamente. Da parte sua l’attività industriale mineraria consuma enormi quantità di energia (basti pensare ai processi per l’estrazione e il trattamento dei minerali), mentre molti minerali, in particolari quelli “rari”, sono diventati indispensabili per la produzione – ma anche per lo stoccaggio – di energia cosiddetta alternativa (pensiamo ai componenti dei pannelli solari, delle pale eoliche, al litio per le batterie…).

Paradossalmente in giro per il pianeta alcune di queste miniere, oltre a sorgere in luoghi isolati, lontani dalle grandi metropoli (e venendo quindi a interferire con la vita di comunità rurali, autoctone), cercano talvolta di rifarsi una verginità utilizzando – invece del solito diesel per alimentare i gruppi elettrogeni – energia fotovoltaica, geotermica, eolica. Come a Chuquicamata, una miniera di rame nel deserto di Atacama (Cile). O – in Australia – con la DeGrussa, dedita all’estrazione sia di rame che di oro-

Recentemente il gruppo francese Eramet (metallurgia e miniera) si è mostrato molto interessato all’Argentina. O meglio, al suo litio.

Preannunciando entro il 2024 (a causa della pandemia era saltata la data stabilita in precedenza del 2019) l’apertura di un impianto per l’estrazione e per il trattamento di questo minerale utilizzato nella fabbricazione di batterie per le auto elettriche.

Progetto da 346 milioni di euro e da realizzare in collaborazione con l’azienda cinese Tsingshan (una delle principali produttrici mondiali di acciaio inossidabile) a cui spetterebbe una quota del 49,9%.

La Eramet era già proprietaria di un giacimento scoperto sulle Ande – a 3800 metri di altitudine – nella provincia di Salta.

Per tornare agli eventi di qualche giorno fa a Rawson, queste le dinamiche che avevano innescato la manifestazione di protesta e gli scontri successivi.

Il 15 dicembre l’Assemblea legislativa della provincia argentina di Chubut, aveva approvato ( in maniera inusuale, forse non del tutto legale, visto che il voto era previsto per il giorno successivo, il 16 dicembre) un progetto di “diversificazione produttiva” che consentirebbe un notevole incremento delle attività estrattive di argento, rame e piombo nei dipartimenti di Telsen e Gastre. Molti manifestanti si erano andati radunando davanti alla sede dell’Assemblea per protestare contro tale eventualità.

Venendo attaccati brutalmente dalla polizia che sparava proiettili di plastica in grande quantità. Invece di disperdersi, molte persone opponevano resistenza e ben presto scoppiavano gli scontri. Al momento non si conosce il numero degli eventuali feriti e fermati.

Gianni Sartori

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