Menu

7 luglio 1960 – I morti di Reggio Emilia

La sera del 6 luglio 1960 la CGIL reggiana proclamò lo sciopero cittadino di protesta contro il governo Tambroni La prefettura proibì gli assembramenti nei luoghi pubblici e concesse unicamente i 600 posti della Sala Verdi per lo svolgimento del comizio.

L’indomani il corteo di protesta era composto da circa 20.000 manifestanti. Un gruppo di circa 300 operai delle Officine Meccaniche Reggiane decise quindi di raccogliersi davanti al monumento ai Caduti, cantando canzoni di protesta.

Alle 16.45 del pomeriggio una carica di un reparto di 350 poliziotti, al comando del vicequestore Giulio Cafari Panico, investì la manifestazione pacifica. Anche i carabinieri, al comando del tenente colonnello Giudici, partecipano alla carica. Incalzati dalle camionette, dai getti d’acqua e dai lacrimogeni, i manifestanti cercarono rifugio nel vicino isolato San Rocco, per poi barricarsi letteralmente dietro ogni sorta di oggetto trovato, seggiole, assi di legno, tavoli dei bar e rispondendo alle cariche con lancio di oggetti.

Respinte dalla disperata resistenza dei manifestanti, le forze dell’ordine impugnarono le armi da fuoco e cominciarono a sparare.
Sul selciato della piazza caddero:

Lauro Farioli (1938), operaio di 22 anni, orfano di padre, sposato e padre di un bambino.
Ovidio Franchi (1941), operaio di 19 anni, il più giovane dei caduti.
Marino Serri (1919), pastore di 41 anni, partigiano della 76a, primo di sei fratelli.
Afro Tondelli (1924), operaio di 36 anni, partigiano della 76a SAP, è il quinto di otto fratelli.
Emilio Reverberi (1921), operaio di 39 anni, partigiano nella 144a Brigata Garibaldi, era commissario politico nel distaccamento “G. Amendola”.

Furono sparati 182 colpi di mitra, 14 di moschetto e 39 di pistola, e una guardia di PS dichiarò di aver perduto 7 colpi di pistola

Sedici furono i feriti “ufficiali”, ovvero quelli portati in ospedale perché ritenuti in pericolo di vita, ma molti altri preferirono curarsi “clandestinamente”, allo scopo di non farsi identificare.

I fatti furono narrati in una celebre canzone di Fausto Amodei, dal titolo Per i morti di Reggio Emilia

In seguito ai fatti di Reggio Emilia in data 29 novembre 1962 la Sezione Istruttoria della Corte d’appello di Bologna rinviava a Giudizio il vicequestore Giulio Cafari Panico per omicidio colposo plurimo: “Omettendo per imprudenza, negligenza ed imperizia, di prescrivere le modalità e l’uso delle armi, provocando così, per l’indiscriminato uso delle armi, la morte di quattro persone: Emilio Reverberi, Ovidio Franchi, Lauro Farioli e Marino Serri”. L’agente Orlando Celani era invece imputato d’omicidio volontario per aver sparato contro Afro Tondelli. Per motivi di legittima suspicione il dibattimento venne celebrato avanti la Corte d’Assise di Milano e non a Reggio Emilia. La Sentenza venne pronunciata il 14 luglio 1964. Il vicecequestore fu assolto con formula piena, per non aver commesso il fatto, mentre l’agente venne assolto con formula dubitativa. Due anni dopo la Corte d’Assise d’Appello riformò la Sentenza assolvendo l’agente con formula piena. Successivamente gli eredi di Afro Tondelli e Lauro Farioli convennero in Giudizio il Ministero dell’Interno per il risarcimento dei danni. Il Tribunale di Bologna, territorialmente competente ex art. 25 del Codice di Procedura Civile nel 1969 decise ritenendo la responsabilità civile del Ministero

Leave a Comment

You may use these HTML tags and attributes: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>