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41bis, quando il carcere diventa vendetta di Stato

Il caso Cospito ha riaperto il dibattito sul fine pena mai. Una misura pensata per i capimafia ma che spesso finisce per accantonare i principi della Costituzione e ridursi a trattamento disumano a prescindere dai reati commessi dai detenuti.

di Franca GarreffaSociologa Dispes, Università della Calabria

Preferisco sia Claudio a parlare di sé affinché la terribilità di pene come l’ergastolo ostativo e il 41 bis non siano considerate una forza motrice in grado di annullare l’orientamento al crimine. Si può fare invece qualcosa in più, non in termini di terribilità nonostante un Parlamento a trazione giustizialista. E Claudio è un esempio concreto di “quel qualcosa in più” davvero funzionale a riconsiderare le proprie azioni e cambiare.

Il regime di cui all’articolo 41-bis dell’ordinamento penitenziario è una misura la cui esigenza è incontestabile a mio giudizio. Ma riguarda solo coloro che si ritiene possano dare ordini dal carcere ai propri sottoposti. Quindi, è una misura strettamente necessaria all’interruzione dei rapporti tra figure apicali di associazioni criminali o terroristiche e loro affiliati all’esterno.

Individualisti e associazioni – Non ritengo, dunque, inutile questa misura in relazione alle motivazioni che l’hanno concepita. Il problema è che scuote le coscienze per come viene applicata. Si tratta di una vera e propria tortura e indigna oltremodo il fatto che l’abbiano inflitta persino a Cospito, che arriva da dieci anni scontati in AS2, che certamente si è reso responsabile di reati che prevedono pene elevatissime pure in assenza di vittime. Ma non si tratta di reati che prevedono il regime del 41-bis, che non si applica neppure agli associati alle organizzazioni criminali ma solo alle figure apicali, figuriamoci a un anarchico individualista.

41 bis: legittimo, ma con dei limiti – Va sottoposto a severa critica sia l’uso smodato e reiterato di questa sanzione sia come essa viene applicata perché è un regime di sostanziale isolamento e di afflizioni che non hanno alcuna logica. La sua messa in pratica ne ha di fatto smentito le intenzioni originarie. Intanto raramente si verifica una revoca di tale misura. La maggior parte dei condannati ne subisce automaticamente la proroga ben oltre il decennio e con il corollario costante di inutili vessazioni. Gravi malati oncologici ormai privi di qualsiasi autonomia e funzioni o persone con patologie psichiatriche irreversibili quali ordini dovrebbero impartire? Che senso ha il limite di un colloquio al mese con i familiari se la conversazione avviene per mezzo di un citofono con un vetro divisorio e tra l’altro tutto registrato? Perché limitare il numero di libri che si possono tenere in cella?

Come fa ad esserci una perdurante attualità criminale di fronte a un tempo così lungo per circa 750 persone? Questo è all’incirca il numero di detenuti al regime di isolamento. È vero che la Corte costituzionale, la Corte europea dei diritti umani e il Comitato europeo per la prevenzione della tortura hanno dichiarato che il 41 bis è legittimo e compatibile con il divieto di trattamenti degradanti o contrari al senso di umanità. Contestualmente, però, vi è sempre stata la sottolineatura sui limiti temporali all’applicazione del 41-bis, invocandone la temporalità, la provvisorietà e la sua revoca. Invece, si verifica sempre una superficiale e irragionevole quanto inutile replica negli anni.

Isolamento e diritti – Sono persuasa che andrebbero raccolte testimonianze e studiati i referti medici di persone che hanno vissuto questa condizione per mostrare lo stato di un corpo e di una mente dopo l’esperienza di decenni di isolamento. Le neuroscienze – con l’apporto di altre discipline quali la psicologia, la sociologia, la psichiatria, la medicina legale, le scienze del comportamento e la genetica comportamentale – dovrebbero mostrare le conseguenze di tale trattamento, altro che compatibile se non è applicato per come è scritto sulla carta.

Il problema è che la società non ha voglia di verità e giustizia. Ormai è troppo incattivita e asservita a una logica eminentemente repressiva della lotta alle mafie e per questo il ministro può girarsi tranquillamente da un’altra parte. Per l’opinione pubblica quanti si siano macchiati di determinati reati non sono più individui, cittadini, persone, esseri umani. E qualsiasi discussione costruttiva, così, diventa complicata se non impossibile. Invece i diritti umani fondamentali vanno riconosciuti a ciascuna persona, anche se si è macchiata di fatti gravissimi.

L’Università della Calabria – Innumerevoli nostri studenti del Pup (Polo universitario penitenziario, ndr) dell’Università della Calabria provengono da più di un decennio di 41-bis e condanne all’ergastolo ostativo. E 35 detenuti attualmente al 41 bis sono iscritti a percorsi di studio universitari in vari Atenei italiani. La carcerazione delle persone ha uno scopo e non può essere vendetta. Non sta scritto da nessuna parte che le persone sottoposte al regime del 41bis debbano essere escluse dall’offerta trattamentale per il reinserimento che spetta a tutte le persone ristrette. Non deve rammaricarsi l’opinione pubblica: nessun contatto o celle aperte o riduzione della vigilanza, niente di più falso.

Il caso Cospito – L’illegittimità del provvedimento di applicazione del 41 bis a Cospito è la motivazione alla base della sua protesta. A mio avviso giustamente rifiuta di accettare passivamente una pena così ingiusta. Sia lo Stato che l’Amministrazione penitenziaria sono responsabili delle condizioni di vita e di salute di Alfredo Cospito. Ma lo Stato non può coartare la volontà di Cospito di protrarre sine die il suo sciopero della fame fino alle estreme conseguenze: è un suo diritto lasciarsi morire. Che poi la sua battaglia personale si sia tramutata in una battaglia contro il 41-bis perché stranisce? Inoltre, non si possono criminalizzare tutti coloro i quali contestino l’ingiusta applicazione del 41 bis a Cospito magari srotolando striscioni contro il 41 bis e l’ergastolo ostativo.

Chiunque sia sano di mente non tollera, non accetta e non condivide azioni violente contro cose o persone e neppure chi incita alla violenza. Ma non può neppure accettare la tesi che dall’isolamento nel quale si trova Cospito abbia dato seguito a una trattativa tra anarchici e mafiosi. È stato scritto che Cospito sia d’accordo con ‘ndranghetisti o camorristi. Semplicemente Cospito durante un’ora d’aria ha parlato con le selezionate persone lì collocate, degli argomenti principali di cui si parla in qualsiasi regime e sezione. Doveva stare muto? Non aveva come limitazione di stare pure in silenzio, almeno fino a oggi non è stata escogitata anche questa privazione. Anche noi universitari in carcere parliamo con persone condannate per mafia. Non siamo accondiscendenti con i loro eventuali desiderata e neppure empatizziamo con i mafiosi solo perché dialoghiamo con loro.

Il cimitero dei vivi e la sentenza Viola – Le carceri italiane sono ancora cimitero dei vivi per circa mille condannati alla pena inestinguibile, il fine pena mai. Diverse decisioni della Cedu ci dicono che le carceri devono essere umane. Si pensi alla famosa “sentenza Viola”, che aveva condannato l’Italia per trattamento inumano riservato al detenuto Marcello Viola che non poteva collaborare con la giustizia essendosi sempre dichiarato innocente. E poi, successivamente, i diversi ricorsi dell’Italia sempre respinti in sede europea. Con la sentenza Viola, lo Stato di diritto ha superato quella tensione che in nome dell’emergenza nel 1992 ha stravolto principi costituzionali introducendo in una stagione indubbiamente tragica, dopo le uccisioni dei magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, una legge ritenuta indispensabile in quel momento per contrastare la mafia anche attraverso una risposta legislativa illegittima che portò in quel momento a derogare sul rispetto della Costituzione.

In ogni caso oggi siamo lontanissimi dalla stagione delle stragi mafiose. Se il rispetto dei valori costituzionali dei due magistrati Falcone e Borsellino è nota anche alle generazioni dei più giovani grazie anche al dibattito costante all’interno delle scuole, la misinformazione dei media e persino di alcuni magistrati che attribuiscono la paternità dell’ergastolo ostativo a Falcone e Borsellino, accosta costantemente i loro nomi alle narrazioni repressive della lotta alle mafie quando invece le loro posizioni sono sempre state conformi al dettato costituzionale, in linea con l’idea di un carcere compatibile con la Costituzione.

Collaborare è importante, ma non sempre si può – Se non si può escludere che un ergastolano ostativo che non collabori mantenga contatti con i sodalizi criminali dei territori di appartenenza è irragionevole però la presunzione di attualità dei suoi collegamenti con la criminalità organizzata se non collabora. È importante la collaborazione, nessuno lo mette in dubbio. Ma una sana democrazia non può usare la collaborazione come arma di ricatto.

Vi sono innumerevoli ragioni che inducono un condannato a non collaborare e che, come ribadito dalla Cedu (Viola contro Italia) e dalla Corte costituzionale, possono non essere dettate dalla intenzione di mantenere i rapporti con la criminalità organizzata. Potrebbero, bensì, dipendere dall’esigenza di proteggere la propria famiglia dalle vendette criminali. Oppure i condannati non possono rendere alcuna collaborazione utile perché tutti i nomi e ogni aspetto delle passate vicende criminali sono ormai note alla magistratura magari perché rese da altri coimputati pentiti. O, ancora, il loro apporto criminale nell’ambito del clan è stato marginale, di semplice manovalanza e dunque tale da non conoscere fatti o persone utili alla collaborazione. Se poi consideriamo i casi di coloro che, pur condannati, si professano innocenti, come potrebbero collaborare se non accusando falsamente qualcun altro?

da icalabresi.it

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