Migranti: l’ espulsione dal territorio dello stato è annullata se non è tradotta correttamente
Con decreto del 15 aprile 2016, il Giudice di Pace di Palermo – Dr. Francesco Pellegrino, ha accolto il ricorso proposto da un cittadino togolese avverso un provvedimento di espulsione emesso, nei suoi confronti, dal Prefetto della Provincia di Palermo.
Il ricorrente, in particolare, lamentava la sostanziale difformità della traduzione in lingua francese del decreto prefettizio rispetto all’originale in lingua italiana. Le divergenze riguardavano sia alcuni riferimenti normativi sia la data dell’intervista allo straniero, che, nel testo tradotto risulta essere stata effettuata quattro anni prima del provvedimento con cui è stata disposta l’espulsione; circostanza, quest’ultima, a dir poco inverosimile, stante l’esigenza di celerità che contraddistingue i procedimenti de quo.
Nel corpo del provvedimento tradotto in lingua francese, peraltro, non veniva barrata alcuna delle caselle che esplicitano i motivi posti alla base del provvedimento ablatorio, risultando, in tal modo, contestate tutte le fattispecie di espulsione previste dall’ordinamento.
Il Giudicante, nella pronuncia in esame, ha ritenuto le circostanze sopra evidenziate ostative ad una piena e precisa identificazione degli addebiti mossi al ricorrente, e tali da impedire a quest’ultimo di articolare un’efficace difesa relativamente agli stessi. L’atto tradotto, in sostanza, si ridurrebbe ad un modulo prestampato e privo di articolati in relazione al caso concreto. Viceversa, la natura di estrema ablazione del diritto del cittadino straniero, che l’espulsione riveste, dimostra l’evidenza della doverosa necessità che l’atto amministrativo sia portato a conoscenza dell’interessato con modalità e accorgimenti tali da garantire in concreto la percezione del suo contenuto. Ciò trova conferma nell’art. 6, comma 3, lett. a), della Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali, richiamato dallo stesso Giudicante nella pronuncia in commento, secondo il quale “Ogni accusato ha diritto a essere informato, nel più breve spazio di tempo, nella lingua che egli comprende e in maniera dettagliata, della natura e dei motivi dell’accusa a lui rivolta”.
La giurisprudenza in materia di immigrazione è ricca di precedenti che, nell’intento di salvaguardare il diritto di difesa dello straniero, hanno dichiarato la nullità dei provvedimenti di espulsione che non siano stati tradotti nella lingua del Paese d’origine del cittadino extracomunitario o in altra lingua allo stesso conosciuta. La Corte di Cassazione (ex plurimis Cass. pen. Sez. I, 26 marzo 2008, n. 14986; Sez. I, 26 ottobre 2006, n. 2186), in particolare, è pressochè unanime nell’affermare che, in tema di espulsione amministrativa dello straniero, l’obbligo dell’autorità procedente di tradurre la copia del relativo decreto nella lingua da esso conosciuta è derogabile soltanto qualora la P.A. specifichi le ragioni tecnico-organizzative per le quali tale traduzione sia impossibile, procedendo, quindi, alla traduzione in una delle tre lingue veicolari (francese, inglese, spagnolo).
Punto di svolta della pronuncia in commento è la contestazione, non tanto della mancata traduzione del provvedimento ablatorio nella lingua conosciuta dallo straniero, bensì della sostanziale difformità dello stesso rispetto all’originale in lingua italiana.
La Corte di Cassazione, già dal 1999, con la sentenza n. 1527, si è posta come obiettivo l’implementazione del principio di uguaglianza fra il cittadino italiano e lo straniero, ed in particolar modo ha interpretato il diritto cosi che al secondo fosse assicurato, al di là di ogni vana formalità, un trattamento difensivo sostanzialmente uguale e di pari dignità rispetto al primo. La traduzione è lo strumento principale attraverso cui è possibile raggiungere questa uguaglianza, ed è dunque imprescindibile che essa non sia un semplice resoconto, ma che piuttosto rispecchi fedelmente e coerentemente il contenuto del provvedimento originario e sia improntata a principi di prudenza e legalità.
Non solo la mancata traduzione nell’idioma dello straniero, dunque, ma anche una traduzione inesatta o incompleta, può risultare lesiva del diritto di difesa, intendendo, con tale assunto, la possibilità per la parte di recepire in concreto le scelte della P.A. e, di conseguenza, poter contestare e contraddire le stesse.
Dr. Aloisia Varvarà
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