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1312 ragioni d’abolire la polizia

Da dove viene l’idea di abolire la polizia e cosa copre esattamente? Se la polizia non ci protegge, a che serve? Come andare oltre la semplice critica della polizia per porvi finalmente fine? 1312 ragioni per abolire la polizia cerca di rispondere a queste domande, e offre ricche riflessioni critiche sui legami tra abolizionismo penale e razza, disabilità o lavoro sessuale in particolare.

Il libro si concentra anche sulle mobilitazioni contemporanee per l’abolizione della polizia in Nord America, tracciandone la genealogia ed esplorando le loro proposte strategiche, le loro esperienze e i dibattiti che le attraversano.
I testi raccolti in questa antologia commentata dipingono un ritratto vivido e potente del movimento per l’abolizione della polizia, in tutte le sue sfumature e al di là dei semplicistici cliché.

Il volume comprende i contributi di Philippe Néméh-Nombré, Robyn Maynard, Kristian Williams, Free Lands Free Peoples, Yannick Marhsall, Rémy-Paulin Twahirwa, Mad Resistance, Adore Goldman, Melina May, Alex S. Vitale, Cameron Rasmussen, Kirk “Jae” James , Dylan Rodriguez, George S. Rigakos, Mark Neocleous, Brendan McQuade, Kevin Walby e Tashash Henderson.

Un estratto di Gwenola Ricordeau*

 (traduzione dal francese a cura di Turi Palidda)

 

Dal regime ordinario di critica dalla polizia all’abolizionismo

Odio la polizia. Tuttavia, le mie rimostranze personali contro la polizia sono molto misurate: se non mi sono mai servite, quelli con cui ho avuto a che fare si sono rivelati in genere più scansafatiche che zelanti, e se sono stati per lo più reali idioti, spesso non erano meno attaccati alla Repubblica. Ma, data l’entità del disturbo arrecato dalla polizia, i miei disagi furono tutto sommato modesti, sia per ragioni legate alle circostanze sia ai privilegi conferitimi in particolare dal mio sesso, dal colore della mia pelle e dalla mia classe sociale.

Che uno abbia o meno rimostranze personali, odiare la polizia è una posizione politica. In una società capitalista, razzista e patriarcale, scegliere la parte degli oppressi, degli sfruttati e dei tiranneggiati significa annoverare la polizia tra i suoi nemici. Questo antagonismo porta naturalmente a pensare all’abolizione della polizia e ai modi di organizzarsi per lottare contro i “nostri nemici in blu”, per usare il titolo del libro di Kristian Williams[1], ma anche contro i loro complici e i loro alleati. Questo, in estrema sintesi, è l’argomento di questo libro, ma anche una definizione sommaria (su cui torneremo) di “abolizionismo”.

Quando si parla di “polizia”, tutti sembrano sapere di cosa si tratta: le forze di “polizia” (polizia nazionale, polizia municipale, ecc.) e quelle designate con termini simili (Gendarmerie o Sûreté du Québec, per esempio). Il termine “polizia” è associato al mantenimento dell’ordine (che è la missione che deve garantire) e alla criminalità[2] (che è sua missione di prevenzione, scoraggiamento e repressione) – ed è essenzialmente da questo punto di vista che questo lavoro lo considera, anche se ha altre attività. Ma ragionare in termini di polizia e lotta alla criminalità mette in evidenza il ruolo svolto in questo ambito da professioni diverse dai soli “poliziotti”: ad esempio, doganieri, ispettori nei trasporti pubblici, investigatori privati, guardie giurate (nei locali commerciali, durante grandi eventi sportivi o culturali, ecc.), o polizia ferroviaria (come la Vigilanza Generale in Francia). La distinzione fatta in inglese tra police e policing permette di distinguere l’istituzione (police) dall’attività (il mantenimento dell’ordine pubblico). Tuttavia, come sottolinea Mark Neocleous, ridurre la polizia all’istituzione di polizia è paragonabile a ridurre il fenomeno della guerra all’esercito[3]. Se l’obiettivo delle riflessioni e delle lotte abolizioniste è proprio la polizia, ci conformeremo all’uso, in francese, dell’espressione “abolition de la police”.

Come andare oltre la semplice critica della polizia? Qual è il rapporto tra sicurezza e polizia? A cosa serve la polizia? Da dove viene questa idea di abolire la polizia e cosa copre esattamente? Per rispondere a queste domande, tornerò nelle pagine seguenti alla classica critica mossa alla polizia, individuerò i miti più frequenti che la circondano e presenterò brevemente cosa si può intendere per “abolizionismo della polizia”.

Il regime ordinario della critica

Le critiche comuni alla polizia possono essere raggruppate in cinque categorie. Queste a volte possono essere semplicistiche o sovrapporsi e non pretendono di essere esaustivi. Queste cinque categorie costituiscono quello che io chiamo il “regime ordinario della critica di la polizia”, che si basa sulla denuncia di una serie di caratteristiche ed evoluzioni di questa istituzione e dei suoi agenti, spesso considerate disfunzionali – ma, come vedremo, l’abolizionismo rompe con questo approccio.

I poliziotti sono bastardi

“Abbasso la polizia”, “Fanculo i poliziotti”, “Fanculo la polizia” o “Morte ai buoi”: scritte sui muri o scandite nelle manifestazioni, sono alcune espressioni ordinarie che rivelano i sentimenti popolari nei confronti della polizia. Se molte professioni possono essere designate con termini peggiorativi, nessuna ne ha tante quanto la professione di polizia (sbirro, polli, maiali, porci, ecc.). Non abbiamo mai visto un tag “Abbasso i parrucchieri”, “Fanculo i netturbini” o “Morte ai fornai”. La popolarità mondiale dello slogan “Tutti i poliziotti sono bastardi” illustra l’odio di cui la polizia è bersaglio ovunque. Anche il professore di storia e specialista di polizia Jean-Marc Berlière osserva che “il vocabolario gergale, la canzone, gli adagi popolari, la letteratura, la stampa testimoniano abbondantemente [un] discredito generale e storico[4]”. Insomma, se non ci sono lavori stupidi, ci sarebbe comunque un lavoro bastardo: il poliziotto.

Molti dei tratti associati agli agenti di polizia (stupidità, brutalità e immoralità) corrispondono a quello che di solito si intende con il termine “bastardo”: uno “stronzo” che “ha il vizio” – a condizione, però, di disattendere la sua carica patriarcale. Senza pretendere di essere esaustivi, che potrebbero essere visti come malevoli, citeremo in particolare i loro comportamenti come se fossero “al di sopra della legge” o “fuorilegge” (inosservanza di procedure legali, estorsione di confessioni, fabbricazione di false prove, testilying[5], ecc.), o anche la loro reputazione di piagnucoloni. Che si dicono, negli Stati Uniti, “underfunded, underpaid, understaffed, under-armed and underappreciated[6]” (malpagati, a corto di personale, malarmati e sottovalutati) come tormentone conosciuto in molti paesi. Inoltre lamentano spesso la pericolosità della loro professione, che non è commisurata a quella delle professioni operaie (che hanno una mortalità ben superiore per incidenti sul lavoro e malattie profesionali) e che, visto il numero di persone che uccidono, i poliziotti sono dei veri e propri “pericoli pubblici”.

La vita privata della polizia non sarebbe certo migliore. Si consideri, ad esempio, il massiccio voto della polizia per l’estrema destra – ampiamente documentato, tra l’altro, in Canada[7], negli Stati Uniti o in Francia. Inoltre, quanto alla loro sovrarappresentazione tra gli autori di violenze contro le donne -non precisamente quantificata- è oggetto di numerose indagini giornalistiche[8]. Negli Stati Uniti, il giornalista Alex Roslin sostiene che il 40% degli agenti di polizia ha abusato della partner o del figlia/o e che la violenza domestica nelle case della polizia è 15 volte più frequente che nel resto della popolazione[9].

Come coloro che si oppongono alle femministe dicendo “non tutti gli uomini”, gli apologeti della polizia sostengono che “non tutti i poliziotti [sono bastardi]”. Il vantaggio che cercano di segnare in questo modo è quello di far accettare un’ipotesi (alcuni poliziotti sarebbero gentili), mentre, come suggeriscono Serge Quadruppani e Jérôme Floch, il successo dello slogan “Tutti i poliziotti sono bastardi” è dovuto “alla sua efficienza per mostrare l’ipocrisia della funzione della polizia[10]”.

Razzismo

Negli Stati Uniti l’uso, nel linguaggio quotidiano, dell’acronimo DWB (Driving While Black/Brown) per indicare, in modo sarcastico, che una persona subisca un blocco del traffico a causa del colore della pelle riflette la banalità, per i non bianchi, dell’esperienza del razzismo poliziesco. Inoltre, vista l’abbondante produzione scientifica sull’argomento, è particolarmente notevole la mancanza di progressi da parte delle forze dell’ordine in questo campo[11]. Il razzismo poliziesco si manifesta in molti modi, come l’uso fatto di cani poliziotto[12], gli arresti sproporzionati di persone non bianche, ad esempio in relazione ai narcotici, o la sovrarappresentazione di persone di colore tra le persone uccise dalla polizia. Vale la pena ricordare che questo fenomeno si spiega non con un maggior numero di interazioni delle persone di colore con la polizia, ma perché queste ultime sono più violente nei loro confronti – il che non è estraneo al fatto che la polizia presume che i bambini di colore siano più grandi e meno “innocenti” dei bambini bianchi della stessa età[13].

Il profiling etnico, colloquialmente noto come profiling razziale, è una delle pratiche di polizia razzista più note e frequentemente impiegate – la polizia di Toronto ha persino recentemente ammesso il suo utilizzo contro i neri e i nativi[14]. L’uso del concetto di “ethnic profiling”, se ha intenti lodevoli, lascia tuttavia da parte la questione del razzismo strutturale insinuando che si tratti di una “pratica poliziesca impropria e accidentale che potrebbe essere corretta” (secondo Micol Seigel) [15]. Piuttosto, tale uso richiede di riconoscere “la centralità della schiavitù e dell’imperialismo nella storia americana della polizia”. Questa prospettiva evidenzia le origini della polizia contemporanea nelle pattuglie degli schiavi[16], gruppi di uomini bianchi armati che, negli Stati Uniti meridionali, nel XVIII e XIX secolo, si occupavano di disciplinare gli schiavi e di raggiungerne i fuggiaschi. Ricorda anche il ruolo svolto dalle forze dell’ordine nel fenomeno dei linciaggi[17], sia attraverso la loro partecipazione diretta sia attraverso il loro approccio “lasciar-correre”. Sottolinea anche il suo ruolo nella colonizzazione, ad esempio quella dei Texas Rangers nella repressione dei messicani[18], e nella politica imperialista statunitense[19].

Questa analisi non è esclusiva della polizia statunitense. Al di là delle ragioni sociologiche per cui gli agenti di polizia sono razzisti (per socializzazione professionale, reclutamento, ecc.), il razzismo della polizia fa parte del razzismo strutturale, in particolare del razzismo di stato e dell’islamofobia, e il “boomerang coloniale”[20] plasma le pratiche di polizia nelle potenze imperialiste. Se è impossibile qui risalire alla sua genealogia, citeremo comunque, per il Canada, le analisi di Robin Maynard sul razzismo strutturale contro i neri[21]. Né è possibile dettagliare il contributo della polizia francese al razzismo di stato, ma basti pensare alle decine di migliaia di ebrei deportati, poi assassinati, con la partecipazione della polizia francese durante il regime di Vichy, e alle centinaia di vittime della polizia parigina durante la repressione della lotta di liberazione nazionale del popolo algerino (in particolare durante le manifestazioni del 14 luglio 1953, 17 ottobre 1961 e 8 febbraio 1962) [Oltre al razzismo nelle banlieues].

Violenza e impunità

Secondo Mapping Police Violence, la polizia ha ucciso 1.136 persone negli Stati Uniti nel 2021. Il numero annuale di omicidi da parte della polizia è stato particolarmente stabile, anche dopo l’omicidio di George Floyd. I numerosi studi ad essi dedicati[22] hanno permesso di analizzare le ragioni della sovrarappresentazione, tra le vittime, di persone non bianche e con disabilità o problemi di salute mentale[23]. Hanno anche dimostrato che mentre le uccisioni della polizia avvengono generalmente in spazi pubblici o nelle case delle vittime, anche nelle stazioni di polizia e nei veicoli della polizia. In effetti, la polizia commette molte forme di violenza, come indicato dalla loro designazione gergale francese con il termine “cognes” o, più concretamente, dalla valutazione delle manifestazioni dei Gilet Gialli in Francia nell’autunno del 2018 [500o feriti, oltre ad alcuni morti e 25 accecati].

Tra le democrazie occidentali, la specificità degli Stati Uniti rispetto alle uccisioni poliziesche (uccide di più) non deve nascondere il fatto che anche altrove la polizia uccide e in modo altrettanto sproporzionato, non bianchi e disabili. In molti paesi, alcuni nomi sono automaticamente associati alla questione della violenza della polizia: Nzoy in Svizzera, Mawda Shawri in Belgio, Fredy Villanueva e Chantel Moore in Canada, Lamine Dieng, Cédric Chouviat, Amine Bentounsi e Adama Traoré in Francia – tra molti altri. La violenza della polizia è da tempo denunciata in Francia, in particolare grazie al lavoro militante dell’avvocato Denis Langlois[24] e dello storico Maurice Rajsfus[25] e, più recentemente, a quello del giornalista David Dufresne [e di Mathieu Rigouste]. Questa pratica è denunciata anche da collettivi, come Désarmons-les!, i tanti collettivi Vérité et Justice o quello dei Mutilé-es per esempio, un collettivo di persone “cieche, amputate, sdentate o feriti” durante le manifestazioni dei Gilet Gialli.

Contrariamente a quanto si crede, non esiste alcuna correlazione tra il tasso di criminalità (di una popolazione o di un territorio) e il numero di persone uccise dalla polizia. Mentre le questioni dottrinali riguardanti l’uso della forza, in particolare le norme che riguardano, ad esempio, l’uso delle armi da parte degli agenti di polizia, concentrano la maggior parte dei dibattiti sugli omicidi della polizia, i fattori che vi concorrono sono ovviamente molteplici, ma eminentemente politici. Il professore di diritto Franklin E. Zimring sottolinea che gli omicidi della polizia tendono a essere visti come “drammi unici piuttosto che eventi derivanti da scelte politiche del governo”[26]. Mentre l’uso della pena di morte è innegabilmente visto come una scelta politica, le uccisioni della polizia sono raramente viste da questa angolazione. Tuttavia, rispetto al numero di esecuzioni successive a una condanna a morte, le uccisioni della polizia sono di gran lunga il tipo più comune di uccisioni di stato in Occidente. [Le brutalità delle polizie sono quasi sempre IMPUNITE come pure tutti i diversi reati commessi da operatori delle polizie cfr. https://www.meltemieditore.it/catalogo/polizie-sicurezza-e-insicurezze/ ]

L’espressione “violenza poliziesca” ha lo svantaggio di enfatizzare non la polizia, ma gli agenti di polizia. Se si può accogliere il progresso, in campo militante, delle mobilitazioni intorno alla violenza poliziesca, la riduzione della critica alla polizia alla sua violenza – o a certi tipi di violenza – tende a eclissare la misura del danno causato dalla sua esistenza. Uso certamente l’espressione “violenza poliziesca” per evocare le mobilitazioni che se ne servono, ma preferisco, più in generale, l’espressione “violenza poliziesca” e, nello specifico, quelle di “omicidio poliziesco” o “delitto di Stato” – quest’ultimo espressione che ha il merito di invitare a riflettere sul continuum tra reati di polizia e reati penitenziari e di indicare con precisione chi è il responsabile.

Anche se l’impunità riguarda illeciti professionali di ogni tipo commessi dalla polizia (estorsione di confessioni, fabbricazione di false prove, violenza sessuale, ecc.), ciò che circonda gli omicidi della polizia attira l’attenzione. È stato abbondantemente documentato[27] e denunciato negli Stati Uniti, soprattutto dopo l’assoluzione nel 1992 dei quattro poliziotti che picchiarono Rodney King. Nonostante le note eccezioni, come la condanna di Derek Chauvin (vedi p. 21), l’assassino di George Floyd, l’impunità per gli agenti di polizia assassini è la regola. Così, nella sua analisi del trattamento di 160 omicidi di polizia a Los Angeles (California), Franklin E. Zimring rileva un solo caso che è stato oggetto di procedimento penale (per omicidio colposo) e altri 13 si sono conclusi con un accordo finanziario con i parenti della vittima. Un’indagine sulle migliaia di uccisioni commesse da agenti di polizia tra il 2005 e il 2015 mostra che solo 54 di loro sono stati oggetto di procedimento penale (dopo di che 21 non sono stati condannati)[28].

Diversi fattori contribuiscono alla scarsità di sanzioni penali: il quadro giuridico che consente di qualificare la maggior parte degli omicidi della polizia come omicidi giustificabili (omicidi scusabili -spesso come legittima difesa-), la natura politica delle decisioni dei tribunali in un sistema in cui sono eletti molti giudici e pubblici ministeri o la composizione razziale delle giurie (ad esempio, la giuria che ha assolto i poliziotti accusati di violenza contro Rodney King era esclusivamente bianca). Inoltre, gli agenti di polizia sono generalmente protetti dai procedimenti civili che le loro vittime o i loro parenti potrebbero intentare contro di loro grazie all’immunità qualificata di cui beneficiano. Sostenuta nelle file dei democratici, la riforma dell’immunità qualificata è regolarmente tra le proposte avanzate in tema di polizia. Una riforma non radicale, come indica lo slogan “Amate i buoni”. Perseguire i cattivi” dalla campagna End Qualified Immunity lanciata dai fondatori di Ben & Jerry, Ben Cohen e Jerry Greenfield.

La rabbia e l’indignazione per l’impunità della polizia sono ovviamente comprensibili se si considera il disprezzo che essa suscita ….

Libro stampato in francese in dicembre 2022 per Lux Éditeur. C.P. 83578, B.P. Garnier Montréal,QC H2J4E9

* Gwenola Ricordeau è professoressa associata in giustizia criminale alla California State University, Chico.
E’ l’autrice di Les détenus et leurs proches (Autrement, 2008), Pour elles toutes. Femmes contre la prison (Lux, 2019) et Crimes et peines. Penser l’abolitionnisme pénal (Grevis, 2021)

[1] Kristian Williams, I nostri nemici in blu: polizia e potere in America, Oakland, AK Press, 2015 [2004].

[2] Non si torna indietro sulle tante critiche alle connotazioni e agli usi di questo termine, come “delitto” e “delinquenza”. Ha, in questo testo, il suo senso comune. Vedi anche pag. 27.

[3] Mark Neocleous, La fabbricazione dell’ordine sociale: A Critical Theory of Police Power, London, Pluto, 2000, p. 7.

[4] Jean-Marc Berlière, “Images de la police: deux siècles de phantasies?», Criminocorpus, gennaio 2009.

[5] Costrizione a testimoniare (testimoniare in tribunale) e mentire (mentire), questa espressione designa le false testimonianze che la polizia può rendere “per la giusta causa”.

[6] David Correia e Tyler Wall, Police: A Field Guide, Londra/New York, Verso, 2018, p. 121.

[7] Per il Canada, si veda Jeffrey Monaghan, “‘Uphold the Right’: Police, Conservatism, and White Supremacy”, in Shiri Pasternak, Kevin Walby et Abby Stadnyk (dir.), Disarm, Defund, Dismantle: Police Abolition in Canada, Toronto, Between the Lines, 2022, p. 12-18.

[8] Per la Francia, vedi Alizé Bernard e Sophie Boutboul, Silence, on cogne. Enquête sur les violences conjugales subies par des femmes de gendarmes et de policiers, Paris, Grasset, 2019.

[9] Alex Roslin, Police Wife: The Secret Epidemic of Police Domestic Violence, Knowlton, Sugar Hill Books, 2017.

[10] Serge Quadruppani e Jérôme Floch, “Pourquoi les flics sont-ils tous des bâtards », dans Jérôme Baschet et al., Défaire la police, Paris, Divergences, 2021, p. 15.

[11] Vedi Marlese Durr, « What Is the Difference Between Slave Patrols and Modern Day Policing? Institutional Violence in a Community of Color », Critical Sociology, vol. 41, n. 6, 2015, p. 873-879.

[12] Oltre al celebre romanzo di Romain Gary (Chien blanc, Paris, Gallimard, coll. « Folio », 1972 [1970]), voir « K9 », dans Correia et Wall, Police, op. cit., p. 27-30 ; Alex Moyle, « Using Dogs as a Tool of Racist Repression », Socialist Worker, 17 juillet 2018.

[13] Phillip Atiba Goff et al., “The Essence of Innocence: Consequences of Dehumanizing Black Children”, Journal
of Personality and Social Psychology,
vol. 106, n. 4, 2014, p. 526-545.

[14] Yanick Lepage e Katherine Brulotte, “La police de Toronto reconnaît un problème de profilage”, Radio-Canada, 15 giugno 2022.

[15] Micol Seigel, “The Dilemma of “Racial Profiling”: An Abolitionist Police History”, Contemporary Justice Review,  vol. 20, n. 4, 2017, pag. 474-490.

[16] Si veda Sally E. Hadden, Voir Sally E. Hadden, Slave Patrols: Law and Violence in Virginia and the Carolinas, Cambridge (MA), Harvard University Press, 2003 [2001].

[17] Per una panoramica della sua portata, vedere studio, “Map of White Supremacy’s Mob Violence”, #PlainTalkHistory, s. d.

[18] Vedi Monica Muñoz Martinez, The Injustice Never Leaves You: Anti-Mexican Violence in Texas, Cambridge (MA), Harvard University Press, 2020 [2018].

[19] Vedi Stuart Schrader, Badges Without Borders: How Global Counterinsurgency Transformed American Policing, Oakland, University of California Press, 2019.

[20] Si veda Tanzil Chowdhury, “From the Colony to the Metropole: Race, Policing and the Colonial Boomerang”, in Koshka Duff (ed.), Abolishing the Police, London, Dog Section Press, 2021, p. 85-93; Mathieu Rigouste, La domination policière, Parigi, La Fabrique, 2021 [2012], p. 35 e segg.

[21] Robyn Maynard, NoirEs sous surveillance. Esclavage, répression et violence d’État au Canada, Montréal, Mémoire d’encrier, 2018 [2017].

[22] Si veda in particolare Franklin E. Zimring, “Killings by Police”, in When Police Kill, Cambridge (MA), Harvard University Press, 2017, p. 23-40; «Killings by Police», in When Police Kill, Cambridge (MA), Harvard University Press, 2017, p. 23-40 ; «Fatal Police Shootings: Patterns, Policy, and Prevention», The Annals of the American Academy of Political and Social Science, vol. 687, no 1, 2020.

[23] David M. Perry e Lawrence Carter-Long, The Ruderman White Paper on Media Coverage of Law Enforcement Use of Force and Disability, Boston: Ruderman Family Foundation, 2016.

[24] Denis Langlois, Les dossiers noirs de la police française, Paris, Seuil, 1971.

[25] Sopravvissuto al rastrellamento del Vel d’Hiv, Maurice Rajsfus (1928-2020) è noto per il suo lavoro nella polizia francese, in particolare durante l’occupazione, e per la sua lotta contro violenza della polizia. Vedi Maurice Rajsfus, La police hors la loi. Des milliers de bavures sans ordonnances depuis 1968, Paris, Le Cherche Midi, 1996 ; Maurice Rajsfus, Je n’aime pas la police de mon pays. L’aventure du bulletin Que fait la police ? (1994- 2012), Paris, Libertalia, coll. « À boulets rouge », 2012.

[26] Zimring, When Police Kill, op. cit., pag. 10.

[27] Si vedano in particolare Jerome H. Skolnick e James J. Fyfe, Above the Law: Police and the Excessive Use of Force, New York, Free Press, 1993; Jill Nelson (a cura di), La brutalità della polizia. An Anthology, New York, WW Norton, 2002 [2000]; Zimring, Quando la polizia uccide, op. cit.

[28] Kimberly Kindy e Kimbriell Kelly, “Migliaia di morti, pochi processi”, The Washington Post, 11 aprile 2015.

 

 

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