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Violenze al minorile di Lecce dietro la morte di Carlo Saturno

Se Carlo Saturno, il detenuto venirsene trovato morto in una cella d’isolamento del carcere di Bari il 30 marzo scorso, si è suicidato ce lo diranno abbastanza presto i risultati dall’autopsia. In ogni caso l’inchiesta aperta dalla procura non mette in discussione, per il momento, la dinamica ufficiale della morte. L’Attenzione degli inquirenti si è rivolta alle cause scatenanti, al movente che avrebbe provocato il gesto disperato. Il reato ipotizzato, infatti, è quello di “istigazione all’omicidio”. Dietro la breve storia di Carlo Saturno s’intravede una lunga scia di violenze e pestaggi, di denunce lungamente inascoltate e rancori per aver poi testimoniato nel corso dell’inchiesta. Dietro questo tipo di tragedia ci sono spesso dei crimini burocratici, invisibili per definizione, ma pesanti quanto macigni. La storia di Carlo, per esempio, incrocia nomi importanti che hanno fatto le cronache di questo Paese, come quello di Rosario Priore, giudice istruttore che dalla seconda metà degli anni 70, fino a tutto il decennio 90 con l’inchiesta sull’aereo di linea Itavia abbattuto nei pressi di Musica da forze Nato, ha seguito le maggiori istruttorie sui fatti d’eversione, dal rapimento Moro alla colonna romana dell Br, fino all’attentato al Papa.
Carlo era rinchiuso nell’Istituto per minori di Lecce quando, dopo anni di fibrillazioni costanti, ripetuti periodi di grandi difficoltà nel trovare una dirigenza stabile con il continuo succedersi di nomine nei ruoli guida dell’Istituto, sia del direttore che del comandante della polizia penitenziaria, si arrivò finalmente a scoperchiare il marcio che avvelenava la vita di chi era rinchiuso o lavorava in quel posto. «Avevo raccolto la richiesta di aiuto da parte di un medico e di un assistente sociale in servizio presso il carcere. I due si sono rivolti alla mia segreteria e lamentavano di non avere trovato ascolto da nessun’altra parte. A quel punto ho inviato la denuncia alla procura di Lecce e una copia al dirigente della sezione penitenziaria del ministero della Giustizia», spiegò nel 2007 Alberto Maritati. A contattarlo era stato Roberto di Giorgia, medico del carcere minorile che denunciò le violenze e gli abusi. Eppure molto prima che Maritati raccogliesse le denunce, il dipartimento che si occupa della Giustizia minorile presso il ministero della Giustizia, aveva ricevuto numerosi esposti. Capo di questa struttura era proprio Rosario Priore che si distinse per aver ignorato la missiva del 29 giugno 2005, inviata dall’ex direttore dell’Ipm di Lecce, Francesco Pallara, nella quale si denunciavano almeno una dozzina di poliziotti penitenziari per le violenze e gli abusi praticati sui minori. Nomi finiti poi nell’inchiesta e nel processo ora in corso ma destinato a cadere in prescrizione prima della pronuncia finale della corte. Imputati di quegli orribili delitti sono Gianfranco Verri (ritenuto nell’inchiesta uno degli artefici materiali delle violenze, comandante della polizia penitenziaria del minorile, chiuso definitivamente dopo l’inchiesta, Giovanni Leuzzi, vice comandante, Ettore Delli Noci, Vincenzo Pulimeno, Alfredo De Matteis, Emanuele Croce, Antonio Giovanni Leo, Fernando Musca e Fabrizio Giorgi, agenti di polizia penitenziaria. Tutti incriminati per fatti avvenuti tra il 2003 e il 2005. Tra gli abusi contro i giovani c’era un sistema di punizione che Maritati racconta in questo modo: «i ragazzi venivano costretti dalle guardie a dormire nudi per diverse notti su brande senza materasso, in un sistema repressivo ideato dagli stessi responsabili del centro». Nel carcere regnava un clima di paura. Chi esprimeva dissenso o provava a ribellarsi venivano minacciato di trasferimento o di vessazioni. Alla fine i 20 ragazzi rinchiusi nel centro vennero trasferiti all’istituto di Fornelli di Bari. Carlo era tra questi ma ebbe il coraggio di costituirsi parte civile e testimoniare le violenze subite, i colpi violenti sul volto che gli provocarono la rottura del timpano. Un gesto che una volta rientrato in carcere per fatti nuovi a causa delle sue problematiche esistenziali, gli è costato caro. La procura sta indagando sulla presenza di eventuali pressioni esercitate nei suoi confronti affinché ritrattasse. Don Raffaele, cappellano del carcere di Lecce, segue da molto vicino questa vicenda anche se non ha conosciuto Carlo direttamente ma per il tramite dei giovani di un’associazione che fa volontariato negli istituti di pena. Proprio ieri insieme a questi giovani ha recuperato un video di 15 minuti girato nel minorile di Lecce nel quale appare anche Carlo. «Mi auguro – ci dice al telefono – che dal punto di vista dell’amministrazione penitenziaria ci sia la massima collaborazione per chiarire tutti i punti oscuri della vicenda». Don Raffaele lancia un appello: «Se ci sono dei detenuti che sanno qualcosa, lo dicano, e se ci sono dei poliziotti penitenziari che hanno visto, parlino, dicano quello che è successo perché la verità fa bene a tutti, anche quando fa male. Fa bene al detenuto e fa bene anche alla polizia penitenziaria. Mi auguro che non s ci siano chiusure di tipo corporativo soprattutto da parte dei sindacati di polizia penitenziaria».
Paolo Persichetti da Liberazione

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