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La tortura del 41 bis

Pubblichiamo di seguito l’intervento dell’avvocato Maria Brucale al VI Congresso organizzato da “Nessuno Tocchi Caino”  tenutosi nel carcere di Opera il 18 e 19 dicembre.

“Per come è concepito, previsto, disciplinato e attuato il 41 bis è vendetta di Stato, è tortura. È interruzione dello stato di diritto. Una norma di natura emergenziale resa ormai stabile il cui obiettivo è, oggi più che mai, la mera punizione e afflizione. Si legge tra le righe della novella del 2009 che espressamente contempla l’indifferenza del tempo trascorso rispetto alla valutazione della necessità di mantenere in capo a un soggetto la misura restrittiva. Immanenza di un regime privato che è in ogni suo momento attuativo esclusione, annichilimento, fino alla privazione sensoriale. Indici da valutare. Per la proroga. Profilo criminale, rango rivestito dal soggetto, perdurante operatività del sodalizio, nuove incriminazioni sopravvenute.

Unici indici valutati, tuttavia, da quando la competenza a giudicare è esclusivamente a Roma, sono il ruolo all’epoca (spesso molti anni addietro) – rivestito e l’esistenza in vita dell’associazione (nessun peso assenza di nuove contestazioni; di contatti; tempo trascorso), immanenza (esistenza in vita dell’associazione spesso equivale alla astratta affermazione che la mafia esiste).

Supercarcere di Bancali: luogo di sepoltura a norma di legge, un alveare i cui spazi sono concepiti per isolare il detenuto, da tutto e da tutti, anche da se stesso. Le celle, collocate in una sezione in cui si trovano non più di 4 detenuti, ha accanto la sala video da cui assistere ai processi. Ogni sezione ha il suo rettangolo per l’ora d’aria. Una strettoia di cemento senza cielo. Tutta la vita avviene in uno spazio di 10 metri quadrati, neppure un corridoio da percorrere, un saluto accidentale e frettoloso da scambiare con qualcuno. Tortura a norma di legge, con una interpretazione della legge che volutamente travalica ogni ragionevolezza nel ritenere qualunque lesione della dignità umana rispondente a scopi di prevenzione e sicurezza.

In realtà, pressoché nessuna delle prescrizioni imposte dal regime i 41 bis risponde a logiche di sicurezza e si prevenzione del crimine. Alcune risultano stridenti nella loro gratuita ferocia e nella esplicita e tracotante negazione dei diritti umani. Di recente un mio assistito è stato ricoverato nel reparto detentivo di un ospedale. In carcere una gastroscopia aveva svelato una massa sospetta. Ho incontrato il medico che lo aveva in cura e mi ha detto che temeva si trattasse di un tumore perché il colorito verdognolo del viso purtroppo era spesso un sintomo di quella malattia. L’ho rasserenato, con profonda sofferenza. Gli ho spiegato che era il sintomo di un’altra malattia, la reclusione in 41 bis per oltre 15 anni. Quindici anni senza la luce del sole; celle schermate in spazi aperti coperti da griglie. Quindici anni senza un angolo di cielo. Gli ho raccontato che vederlo in ospedale mi aveva spiazzata perché mi ero resa conto che, pur avendo finalmente una finestra sul cielo, aveva smesso di guardarlo.

Quale rispondenza alla prevenzione? Alla sicurezza? I 41 bis non hanno prospettive visive. Il loro sguardo è interrotto dal cemento, in ogni direzione, a tutta altezza. Una visione kafkiana del mondo che si sposa appieno con la frequente, concorrente condizione di ergastolani ostativi. Una vita senza luce. Sono privati dell’affettività, di una carezza ai propri genitori, ai propri figli, per anni e anni. I loro figli non sono bambini come gli altri. Lo Stato pretende che non lo siano. I bambini di reclusi in 41 bis non hanno diritti. I protocolli dell’infanzia e i loro sperticati proclami sulla tutela delle esigenze dei minori cui sempre deve essere accordata prevalenza, sulla necessità che lo Stato aiuti e accompagni questa infanzia dietro le sbarre, perché la carcerazione di un congiunto non sia un trauma feroce, indelebile nella crescita di un bambino. La necessità, proclamata nei protocolli, che i colloqui avvengano in luoghi adatti all’infanzia, colorati, puliti, che il personale sia formato ad accogliere i minori, a tranquillizzarli, niente vale per i figli dei 41 bis. Una piccola cella di ferro e vetro, spoglia, vestita di niente, accoglie i figli dei detenuti in 41 bis. Un vetro antiproiettile a tutta altezza li separa dal loro caro che incontrano per un’ora, una volta al mese.

Se il detenuto ne fa richiesta, possono toccarlo, abbracciarlo per dieci minuti, ma gli adulti che lo accompagnano devono essere allontanati. Altro che trauma! Vengono accompagnati da un agente penitenziario tra le braccia di un uomo che conoscono appena mentre i suoi familiari vengono allontanati. Dopo i dieci minuti concessi il feroce passaggio si ripete. Questo fino al compimento del dodicesimo anno di età. Dopo saranno adulti e pericolosi. Lo dice la legge!

I bambini dei detenuti in circuiti diversi dal 41 bis. La loro infanzia è importante, è protetta. Non quella dei figli dei 41 bis. I loro genitori non sono uomini. Loro non sono bambini. Così sul detenuto grava oltre alla disperazione oggettiva della sua condizione, anche l’orrore di un male inflitto a causa sua ai suoi cari, ai suoi figli, ai suoi affetti, una condizione di disperazione oggettiva che si incancrenisce in un tempo che non si muove. La vita in ogni sua forma si interrompe nel silenzio delle mura di un 41 bis.

Dal 2011 anche la possibilità di leggere, studiare, informarsi, è stata compressa inesorabilmente da una circolare che dopo altalenanti pronunce dei giudici di merito, è stata definitivamente avallata dalla Corte di Cassazione. Qualunque materiale di cultura o informazione può essere acquistato dal detenuto con il denaro che è custodito in carcere, attraverso l’amministrazione penitenziaria. Il detenuto deve sottrarre al vitto e alle sue piccole necessità la possibilità di informarsi e, soprattutto, deve affidare ai tempi ed alle risorse della amministrazione penitenziaria la stessa possibilità di ottenere i testi che desidera leggere. Spesso la risposta sarà che non è stato possibile reperirli e amen. Di recente a un mio assistito è stata negata la bibbia, impossibile trovarne una con la copertina rigida! Perfino i progetti universitari, cui le stesse carceri aderiscono, vengono risucchiati dalla legge del sospetto. Deprivazione sensoriale, sospensione del pensiero, della volontà e della speranza. Tortura, ecco tutto!”.

da l’Opinione

Comments ( 1 )

  • Ebbene sì,tortura sotto ogni aspetto,violazione dei principi costituzionali,mortificazione continua del condannato.Cui prodest? Personalmente sono in attesa delle conclusioni degli Stati Generali dell’esecuzione penale, convocati la scorsa estate per cambiare il sistema, assolutamente retrogrado. Ci affidiamo alle menti “illuminate”, che riescano davvero a neutralizzare quel solco profondo che ci distanzia dal resto dell’Europa.

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