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Cronache «vere» di una morte annunciata. La vicenda di Alberto Mercuriali, arrestato per hascisc e «suicidato» dai giornali

Stefano Cucchi e Alberto Mercuriali avevano in comune l’età, 31 anni il primo, 28 il secondo. Entrambi erano stati fermati dai carabinieri con dell’hascish addosso: 20 i grammi che Stefano aveva con sé, poco meno di 60 quelli che sono stati trovati ad Alberto. Ed entrambi sono morti. Le coincidenze di cronaca si fermano qui perché se Stefano è morto in circostanze ancora tutte da chiarire, Alberto si è tolto la vita con il gas di scarico dell’auto che aveva parcheggiato in un terreno di famiglia vicino a Castrocaro Terme. L’ha fatto perché si è sentito tradito dai rappresentanti dello Stato che due sere prima l’avevano fermato e poi denunciato: gli avevano garantito che un minimo di discrezione sarebbe stato mantenuto. La notizia finì invece sulle pagine dei quotidiani locali come brillante risultato di un’operazione antidroga: «Imbottito di droga. Inospettabile agronomo smascherato dai Carabinieri» titolava Il Resto del Carlino. La storia di Alberto Mercuriali e il rapporto che esiste tra i giornalisti e le fonti delle notizie è racchiusa in un bel documentario firmato da due giovani autori: Lisa Tormena e Matteo Lolletti. «Il giorno che la notte scese due volte» è una riflessione sentita su quanto le parole possano fare male. «Quell’estate facevo la cronaca nera a ‘La Voce di Romagna’ – spiega Lisa – e io sono tra i giornalisti che ha scritto l’articolo dopo la conferenza stampa dei carabinieri». Solo che tre giorni dopo Lisa viene a sapere che c’è stato un suicidio e scopre che a uccidersi è stato proprio quel ragazzo di cui aveva scritto, quello che aveva nascosto la droga all’interno di un libro ( particolare peraltro falso). Qualche giorno dopo vede un manifesto attaccato al muro, a stamparlo erano stati gli amici di Alberto, c’è scritto che ad ucciderlo sono stati quegli articoli di giornale. «Mi sono sentita un’assassina» dice Lisa. Un articolo può cambiare la vita di un ragazzo, hanno scritto gli amici e dalla loro iniziativa è stato possibile raccontare un’altra storia, quella vera, sulla vicenda di questo agronomo che da due anni lavorava al Consorzio agrario di Ravenna. La reazione della società civile ha portato ad organizzare manifestazioni e momenti di confronto cui non si è sottratto l’ordine dei giornalisti dell’Emilia. E mentre il documentario gira, il 10 novembre a Forlì e il 13 a Bologna nel nuovo spazio del Livello 57, prosegue l’azione giudiziaria avviata dai genitori di Alberto che hanno querelato giornali e i carabinieri.

fonte: il manifesto

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