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Antifascisti libertari condannati in Russia

Magari funziona ancora. Intendo il metodo per cui “prima andarono a prendere…a scelta: gli anarchici, gli zingari, i valdesi, i sindacalisti, gli omosessuali, gli ebrei…

Con la nota conclusione per cui alla fine non era rimasto nessuno a protestare quando vennero a prendere, sfondando la porta, anche l’ipotetico autore.

Più o meno, il concetto potrebbe valere anche per gli anarchici russi, i curdi iraniani, gli afroamericani, i monaci tibetani, gli ambientalisti brasiliani, gli indipendentisti baschi…

Il Potere, comunque inteso, si prodiga per eliminare il dissenso – il non-addomesticamento – in ogni sua forma. Affinché “serva da lezione” alimentando così la sottomissione di chi crede magari di averla sfangata. Almeno fino alla prossima retata.

Ecco perché – a mio avviso – non andrebbe ignorato il modesto caso di questi militanti antifascisti e libertari russi. Per quanto siano presumibilmente ingenui e sprovveduti oltre che “fuori tempo massimo” (sempre a mio modesto avviso, l’anarchismo ha ormai esaurito la “spinta propulsiva” e concluso la sua parabola in Catalunya e Aragona nel ’36-’37).

Oggi tocca a loro, domani chissà.

Restiamo ai fatti. Il 22 giugno un tribunale di San Pietroburgo ha condannato altri due anarchici, arrestati dal Servizio federale di sicurezza russa all’inizio del 2018, per quello che è conosciuto come “affaire Network”.

Per Viktor Filinkov (si ritiene sia stato torturato nel corso dell’inchiesta per estorcergli una confessione) la pena è stata di sette anni mentre per Yuly Boyarshinov (ripetutamente minacciato di un inasprimento della pena se non avesse collaborato) di cinque anni e mezzo. Da scontare in una colonia penale, versione post-comunista del gulag.

Nel contempo il giudice ha ordinato la distruzione degli elementi di prova (?!?).

Numerosi amici e compagni,  presenti nell’aula del tribunale per esprimere solidarietà ai due imputati, hanno poi cantato inni storici dei prigionieri politici e, dopo la lettura del verdetto, scandito slogan come “l’antifascismo non è terrorismo”. Di conseguenza una ventina di loro (anche la moglie di Boyarshinov, Yana Sakhipova) veniva arrestata.

Gran parte delle persone coinvolte nell’inchiesta su “Network” sono antifascisti e libertari. Vengono accusati di aver preso parte a una “comunità terrorista anarchica” fondata nel 2015 per provocare la “destabilizzazione del clima politico nel Paese” e di aver deposto ordigni esplosivi all’epoca delle elezioni presidenziali del 2018 e della Coppa del mondo.

Le presunte “cellule” operative sarebbero state individuate, oltre che a San Pietroburgo, anche a Mosca, a Penza e in Bielorussia. Recentemente altri sette anarchici accusati di far parte di “una rete clandestina di estrema sinistra” (ancora il “Network”) erano stati condannati a pene complessive di 86 anni.

Niente di nuovo comunque, ripensando a come gli anarchici vennero trattati in Russia, sia quella zarista che nella sedicente sovietica (Kronstadt, Maknovicina..).

Il lupo della steppa magari perde il pelo, ma solo quello.

Gianni Sartori

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