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Ventimiglia: Migranti rinchiusi nei container

Gli attivisti del Progetto 20K pubblicano un video di denuncia che mostra le condizioni a cui le persone respinte lungo il confine sono costrette una volta intercettate dalla polizia. I migranti sono rinchiusi dentro container posizionati dallo stato francese nella zona adiacente agli uffici di frontiera. Attraverso la testimonianza di un ragazzo, viene raccontato quello che in tanti subiscono nel tentativo di attraversare una frontiera tra due paesi europei, Italia e Francia

Il lavoro di monitoraggio svolto dalle attiviste e dagli attivisti di Progetto 20k si inserisce in un più ampio dibattito, all’interno del quale si cerca di leggere i dispositivi che regolano il governo delle migrazioni come parte di un tentativo più esteso di governo delle disuguaglianze. La restrizione della mobilità dei corpi migranti, la negazione di un sistema dignitoso d’accoglienza, il processo di differenziazione in atto nell’accesso allo spazio europeo che vede nell’attraversamento del Mar Mediterraneo il primo tassello di criminalizzazione delle migrazioni, sono manifestazioni di questo laboratorio governamentale. Allo stesso tempo i tentativi di neutralizzazione politica e demonizzazione delle forme di solidarietà e dissenso sono il risultato immediato dell’assestamento di agende governative di stampo securitario che vedono come ultima manifestazione politica le leggi sicurezza emanate dal vecchio governo giallo-verde.

Il dispositivo in opera alla frontiera italo-francese nell’area delle Alpi marittime, di cui Ventimiglia rappresenta il punto d’osservazione privilegiato, risponde esattamente a questa logica, creando una zona di frontiera che si estende da Cannes alla Libia. Ventimiglia, nella sua disposizione geografica, permette di decifrare i meccanismi insiti negli accordi stipulati dall’Italia con altri paesi, come Francia, Austria o Libia, allo scopo di mostrare le modalità con le quali le frontiere vengono esternalizzate. Attraverso un complesso meccanismo giuridico, viene permesso alla polizia francese di operare dei respingimenti in un territorio caratterizzato da uno “stato d’eccezione”. La Francia ha infatti reintrodotto i controlli alla frontiera che definiscono una condizione temporanea e straordinaria, permessa dal codice Schengen solo  nel caso di serie minacce alla sicurezza interna. A questa decisione, con una complicata operazione giuridica, il governo francese ha affiancato un’espansione dello spazio di frontiera per diversi chilometri all’interno del territorio francese. Questo doppio meccanismo comporta, da un lato, che vi siano controlli straordinari della polizia di frontiera nei vari punti di accesso al territorio francese, sui treni, sugli autobus e sulla rete stradale. Dall’altro che i migranti fermati in questo “spazio di eccezione” siano considerati di fatto ancora sul confine, con la conseguenza che la decisione sul trattamento del singolo caso è affidata all’autorità poliziesca senza passare per l’apparato giuridico, aumentando così le possibilità di abusi e violazioni.

Il ragazzo del video stava tentando di raggiungere la Francia a bordo di un treno quando è stato fermato dalla Gendarmerie francese e, dopo ore di trattenimento in un container, è stato respinto a Ventimiglia. La permanenza all’interno di questi container si protrae fino a 12 ore, senza la possibilità di accedere a beni primari come il cibo. Il trattenimento illegale di queste persone si mostra in tutta la sua durezza. Non è solo la libertà di movimento delle singole persone a essere calpestata, in quanto verranno prima o poi riportati in Italia, ma anche la loro libertà personale, perché costrette in questi spazi angusti senza l’intervento di nessuna autorità giudiziaria.

Le violenze e le pressioni psicologiche perpetrate dalla polizia francese sono all’ordine del giorno. Ventimiglia è popolata da gruppi di migranti reduci da vari tentativi di attraversamento del confine, spesso anche vittime di decreti di espulsione, che desiderano oltrepassare quella barriera verso condizioni di vita migliori, incontrando ulteriori ostacoli. Il più grande è proprio sui treni dall’Italia alla prima stazione francese di Menton-Garavan. Le persone rastrellate vengono identificate e sottoposte a perquisizione, il tutto sotto gli occhi di chi attende sui binari l’arrivo del prossimo treno. Successivamente sono scortate in una stanza situata all’interno della stazione. L’attesa può durare ore, fino a quando i funzionari della Gendarmerie non decidono che il numero dei fermati è sufficiente al trasferimento verso la caserma di frontiera tra Menton e Ventimiglia. Una volta all’interno della caserma, l’attesa continua fino al respingimento verso l’Italia o i trasferimenti forzati negli hotspot del sud Italia.

Sulle carrozze del regionale che porta a Cannes, in varie ore del giorno, i migranti provano a varcare il confine, ma il loro viaggio si interrompe subito. Le operazioni della polizia francese sono rapide e collaudate, in pochi minuti i migranti sono circondati dalle forze dell’ordine e portati nelle sale di attesa della stazione. Nelle tappe successive di Montecarlo, Nizza, Antibes e infine Cannes la Gendarmerie smette di essere una presenza costante e minacciosa. Sui sedili del treno rimangono per lo più turisti e lavoratori in viaggio. Delle volte i migranti sono fatti risalire sui treni che vanno nella direzione opposta, mentre in altre occasioni sono trattenuti e poi consegnati alle autorità italiane. Sono quindi presi in consegna dalla polizia nel commissariato di Ponte San Luigi, che si trova esattamente sulla frontiera alta e dista 9 chilometri dal centro di Ventimiglia. Da questa struttura alcuni sono rilasciati e costretti a tornare a piedi nella cittadina ligure, altri invece trattenuti e caricati sui bus in partenza per Taranto, come previsto dall’operazione che rientra nel piano di alleggerimento delle frontiere progettato dal capo della polizia Gabrielli nel 2016.

Questo meccanismo non rappresenta un caso isolato, ma è paradigma della logica europea e dei suoi singoli stati volta a regolare il fenomeno migratorio secondo modalità repressive e discriminatorie. È un atteggiamento strutturale nelle politiche europee di protezione delle frontiere, siano interne o esterne. Monitorare e denunciare queste pratiche brutali del dispositivo del confine si conferma un’azione necessaria. L’importanza di mostrare gli abusi del presente non ha il solo scopo di testimoniare le conseguenze delle nuove politiche migratorie, ma ambisce a scardinare quella narrazione che vuole i migranti come docili vittime da determinare dall’alto.

Di fronte alla gestione coercitiva e violenta delle migrazioni, a fronte di prassi lenitive dei diritti e della dignità umana, non può non esservi una risposta forte che riaffermi invece lo spazio di autodeterminazione di ognuno. Laddove il regime di frontiera europeo dispiega tutto il suo potere di selezione degli ammessi al transito, sempre più su criteri discriminatori e discrezionali, coloro che si ribellano rivendicano, attraverso atti radicali e conflittuali, la necessità, la volontà e il diritto di ognuno di oltrepassare confini che altri hanno stabilito attraverso processi storici e politici.

Ventimiglia si conferma una parte integrante di quella “guerra all’umano” che vediamo lungo tutte le frontiere. Quest’espressione non si limita al solo piano ideologico o dichiarativo. Quel che accade alla frontiera francese è solo una parte di un percorso ad ostacoli che inizia dai confini esterni del Mar Mediterraneo, dove sin da subito il mito dell’Europa come “terra dei diritti” svela il suo volto ipocrita e repressivo.

Anche per queste ragioni, nel progettare e realizzare un intervento politico lungo le zone di confine ci si interroga costantemente sulle traiettorie da percorrere, tenendo presente che l’intervento solidale e quello politico devono viaggiare insieme. “Politico” e “umanitario” siano in questa fase indissolubili. È necessario e possibile uno stile di attivismo trasversale agli status giuridici dei migranti e dei cittadini (richiedenti asilo, “irregolari”, attivisti, lavoratori precari e studenti) e alle categorie (vulnerabili, minori, donne). Gli interventi solidali offrono la possibilità di un accesso ai diritti come fenomeno collettivo e non come rivendicazione individuale, ribadendo la necessità e il desiderio di migrare, viaggiare, esprimere dissenso di fronte a leggi ingiuste e violarne i confini geografici e politici.

Daniela Galiè

da Dinamopress

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