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Un paio di cose sulla tortura e i torturatori

teste di cazzo turtoratoriSe vi siete persi il pessimo film “ACAB” troverete una parte della sceneggiatura nel post di tale Fabio Tortosa, poliziotto impiegato nel G8 di Genova 2001 e in chissà quante altre brillanti operazioni. Quelle righe molto cinematografiche, frutto di un abuso di visioni notturne dei vari “Milano violenta, la polizia spara”, sono state prontamente riprese da “Repubblica” e sono diventate un caso nazionale. Facciamo un passo indietro. Qualche giorno fa la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sentenzia che a Genova 2001 vi fu tortura e sanziona l’Italia. La notizia meriterebbe di rientrare nel calderone delle mille sentenze e note che Strasburgo infligge all’Italia per la sua molteplicità di comportamenti o atti scorretti, rispetto sia a norme europee, sia a presunti “diritti fondamentali”. Se non che, ancora “Repubblica” decide di togliere la patina del burocratese dalla sentenza e farla diventare una “notizia”. Si scatena la polemica e si riaprono vecchi armadi con lo scheletro. Qualche giovane papavero del PD si accorge, dopo due anni, che De Gennaro è stato messo (con il contributo fondamentale del PD, che lo ha sempre considerato un suo uomo) a capo di Finmeccanica. Renzi, come al solito, fa spallucce. Da qui al post del piccolo John Wayne fascista il passo è breve, anche perché “Repubblica” sguinzaglia per il web i suoi segugi. In realtà, le parole del poliziotto Tortosa sono per molti aspetti illuminanti. Dotati di stomaco forte e di un altrettanto robusto senso del ridicolo le andiamo ad analizzare: non è interessante tanto l’ammissione di essere stato tra gli ottanta fenomeni protagonisti dell’irruzione e del pestaggio alla scuola Diaz, dove inermi manifestanti stavano dormendo, né la “fiera” disponibilità a ripetere l’eroico gesto (e ti credo, quando ti ricapita una mattanza simile senza correre alcun rischio?!), ma la spiegazione successiva, nella quale il coraggioso patriota ci spiega la sua filosofia del mondo e della vita:

Esistono due realtà, due verità. La verità e la verità processuale. La verità processuale si è conclusa con una condanna di alcuni vertici della polizia di Stato e del mio fratello Massimo Nucera a cui va sempre il mio grande rispetto ed abbraccio. Poi esiste la verità, quella con tutte le lettere maiuscole. Quella che solo io e i miei fratelli sappiamo, quella che solo noi che eravamo lì quella notte sappiamo. Una verità che non abbiamo mai preteso che venisse a galla. Una verità che portiamo nei nostri cuori e nei nostri occhi a distanza di quasi 15 anni, quando quegli uomini incredibili si reincrociano in ogni piazza d’Italia in cui ci sia da avversare i nemici della democrazia. Quegli occhi che si uniscono in un abbraccio segreto. In un convenzionale e silenzioso ‘si’, lo sappiamo, ci hanno inculato. Ma che importa? non era la gloria quello che cercavamo. Quello che volevamo era contrapporci con forza, con giovane vigoria, con entusiasmo cameratesco a chi aveva, impunemente. (…) Per quanto riguarda tutti voi; tranquilli, non vogliamo la pietas di nessuno. Sappiamo che siamo quelli ignoranti, scampati alla disoccupazione, lontani dai vostri salotti radical chic, dal vostro perbenismo becero, dal vostro politically correct. Siamo quelli che dopo un servizio di 10 ore dove abbiamo respirato odio, siamo pronti a rientrare nelle nostre case a dare amore ai nostri figli e alle nostre mogli. Ci troverai con una ceres in mano, ti odieremo perchè non hai la nostra tuta da op, ma non te lo faremo sapere. Saremo sempre al tuo servizio, anche se quando ti rubano in casa, meriteresti, e sarebbe più coerente, che chiamassi batman.

Mai come in questo caso le auto-dichiarazioni dei fascisti valgono più di mille analisi fatte dai compagni. Tortosa ci conferma l’importanza di “studiare le fonti” per delineare i nostri nemici di classe. Nelle sue parole leggiamo la convinzione di essere vittima della società perbenista e dell’élite radical-chic, il “fiero cameratismo” tra compagni di bisboccia che pensano di aver vinto una guerra – in cui gli unici armati sono loro – il piacere di essere considerati “odiati e maledetti” (più probabilmente “compatiti e schifati”), l’attaccamento ai simboli identitari (“la nostra tuta da op”, che a questo punto potrebbe anche essere un brand di successo, come D&G). Il taxi-driver di Roma Sud termina la sua fatica letteraria, incamera lieto i “mi piace” di qualche amico e va fiero a bere una Ceres, a conferma di come non solo i polizieschi italiani degli anni Settanta, ma anche le pubblicità di birre commerciali facciano danni.

Poche note di commento (mai come in questo caso le parole si commentano da sé): Tortosa, il camerata in divisa blu, ci dice che i suoi colleghi, dopo 10 ore di servizio, tornano a casa “a dare amore” a figli e mogli: la cosa ci rassicura, perché le cronache ci suggeriscono come le forze dell’ordine fuori servizio siano più propense a dare botte e colpi di pistola a familiari e fidanzate, abituati come sono a utilizzare solo questo tipo di dialettica. Per quanto riguarda il prezioso operato delle guardie nell’assistenza dopo i furti (almeno dopo quelli non commessi dalle stesse guardie, specializzate nell’alleggerire il bottino dei sequestri di merce contraffatta e polvere bianca), stia sereno Tortosa: non avremo bisogno di lui né di quelli come lui dal momento che anche il più sprovveduto dei ladri (comunque più intelligente di Tortosa) intuisce che nelle nostre case troverebbe ben poco da rubare.

La polemica scatenata da “Repubblica” permette di conoscere l’ultimo aspetto del “camerata digitale”, cioè l’estrema viltà: è sufficiente qualche richiesta di chiarimenti da parte del centro-sinistra e qualche ciglia aggrottata per indurre Tortosa a rapide smentite, scuse e pianti di vergogna. “Sono stato male interpretato”, “Noi del VII Nucleo non eravamo alla Diaz e se c’eravamo siamo andati a dormire presto” “Mi scuso”. Fino ad arrivare al grottesco “Ma quale fascista, io ho votato PD” che di questi tempi rischia pure di essere vero!

La finiamo qui. Con un’unica aggiunta finale. Grazie alla Corte di europea dei diritti umani e all’esuberante Tortosa si torna a parlare in Italia della tortura, vale a dire del grande rimosso e dell’argomento-che-non-c’è, perché manca persino il reato per identificarlo. Probabilmente a questo punto il reato ci sarà, sulla spinta democratica ed europea, ma aggiungerà assai poco alla tutela contro le forze della repressione: la classe dovrà continuare ad auto-difendersi. Come Tortosa, nel suo post spavaldo, non chiedeva “pietas” (pietas de che, poi, non si capisce), non la chiediamo neanche noi, che a Genova 2001 siamo andati e che da Genova siamo tornati con il nostro zainetto di ammaccatture e di sconfitte. Nel pieno rispetto dei compagni/e che a Genova hanno subito vessazioni di ogni tipo, vorremmo sottolineare come le violenze delle forze dell’ordine al G8 fossero, tecnicamente, manifestazioni di sadismo, più che di tortura. Non lo diciamo certo per sminuire quelle ferite, ma perché la mattanza della Diaz e di Bolzaneto (su cui pure la Corte europea si pronuncerà presto, quindi prepariamoci ad altre discese di massa dall’albero del pero) non era funzionale a carpire informazioni e a estorcere confessioni, ma “solo” a ricordare ai manifestanti quali fossero i reali spazi di democrazia del Paese. Persino la magistrature italiana, nella revisione del processo al compagno Enrico Triaca, ha ammesso invece che l’uso non episodico della tortura in Italia risale all’inizio degli anni Ottanta, con la precisa funzione di combattere “con ogni mezzo necessario” quella stagione rivoluzionaria. Un ragionamento del genere, a lungo tabù, sta progressivamente trapelando anche al di fuori dei nostri circuiti (ne parla ad esempio anche Monica Galfré nel recente e reazionario La guerra è finita, pubblicato da Laterza). Certo non ci aspettavamo ne parlasse un coglione come Tortosa.

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