Ordine esecutivo per la barriera con il Messico e per bloccare l’arrivo di persone «inclini al terrore» da paesi a maggioranza musulmana. «Da oggi stop alle sovvenzioni per le ’città santuario’, quelle che proteggono gli illegali»
L’aveva detto durante le primarie, lo ha ripetuto in campagna elettorale e ora che è presidente, Trump mantiene le promesse (con buona pace di tutti quelli che sostenevano che la sua era solo propaganda): il neo presidente ha ordinato la costruzione di un muro al confine col Messico e questa è solo la prima di una serie di azioni previste per questa settimana, tutte volte a reprimere gli immigrati per «rafforzare la sicurezza nazionale», inclusa la direttiva che blocca l’arrivo di profughi non solo dalla Siria, ma anche da altri paesi a maggioranza musulmana considerati «inclini al terrore», almeno temporaneamente.
Bloccare i visti dunque per chiunque provenga da Siria, Iraq, Iran, Libia, Somalia, Sudan e Yemen. «Grande giorno per la sicurezza nazionale. Tra le tante cose, costruiremo il muro!» aveva scritto su Twitter per annunciare questo giro di vite e, nella stessa occasione, il Washington Post aveva anticipato la firma degli ordini esecutivi da parte di Trump per dare il via a provvedimenti penalizzanti nei confronti delle «città santuario», luoghi intoccabili, come New York o Los Angeles, dove gli amministratori locali si sono rifiutati di consegnare gli immigrati irregolari per l’espulsione.
Stando al WaPo – che ha pubblicato una bozza dell’ordine esecutivo della Casa bianca, Trump potrebbe anche far riaprire le prigioni segrete dell’intelligence, il progetto «black site», e permettere pratiche di tortura come il waterboarding, abolite da Obama già durante il primo mandato del 2009.
Gli ordini proposti potrebbero portare a cambiamenti radicali e a controversie riguardo il modo in cui agiscono gli Stati uniti, in nome della sicurezza, sia internamente sia verso il resto del mondo, rimettendo in campo politiche che sono già state ripudiate dalla gran parte dei Paesi.
Questo decreto sulla tortura ripristinerebbe quello varato nel 2007 dall’amministrazione di George W.Bush, riportando l’America indietro di 10 anni. Membri del congresso si sono già espressi contro questa possibilità: «Trump può firmare tutti gli ordini esecutivi che vuole. Ma la legge è la legge. Non reintrodurremo la tortura negli Stati uniti», ha commento il senatore repubblicano John McCain.
La politica sui rifugiati in esame non è inaspettata, ma in linea con il divieto di ingresso per gli immigrati musulmani che Trump aveva promesso durante tutta la sua campagna, sostenendo che un tale passo è giustificato dalle preoccupazioni per il terrorismo.
Trump ha detto di voler imporre «una vigilanza estrema» sui profughi siriani o provenienti da altri paesi in cui il terrorismo è dilagante e di cui queste popolazioni sono vittime. «È molto preoccupante pensare che i primi 100 giorni di governo Trump stiano per essere segnati da questa chiusura vergognosa delle nostre porte – ha dichiarato – Marielena Hincapié, direttore esecutivo del National Immigration Law Center – Tutto fa pensare che questo sia semplicemente una backdoor aperta per introdurre un divieto di immigrazione per gli islamici».
I provvedimenti sono stati confermati durante una conferenza stampa dal portavoce di Trump, Sean Spicer, che riguardo la costruzione del muro ha confermato che «il Messico in un modo o in un altro pagherà per questo», aggiungendo che al Department of Homeland Security verranno dati ulteriori mezzi «per reprimere l’immigrazione clandestina, compresa la fornitura di più spazi di detenzione».
«Costruire questa barriera è più di una semplice promessa elettorale. – ha continuato Spicer – è un primo passo per garantire davvero la sicurezza per il nostro poroso confine ed arginare il flusso incontrollato di droga, di criminalità e di immigrazione illegale negli Stati uniti».
L’azione porrà fine anche alla politica del catch and release, «imprigiona e rilascia», che, per reati minori prevedeva il rilascio dopo la detenzione, anche per gli immigrati; verrà sostituita con l’espulsione per gli irregolari che hanno commesso crimini di qualsiasi entità.
da il manifesto
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La guerra agli stranieri della «nazione di immigrati»
La linea dura sull’immigrazione è una vittoria per l’ala suprematista che fa capo a Steve Bannon
Al quinto giorno l’uomo forte si occupò di immigrazione. Il decreto esecutivo che prende di mira profughi di «paesi a rischio», le città «disobbedienti» e autorizza la costruzione del decantato muro di confine formalizza la guerra agli stranieri della «nazione di immigrati» e tiene fede a uno dei cardini della demagogia populista che ha portato Trump ad usurpare la Casa bianca.
L’AZIONE ANNUNCIATA durante una visita al dipartimento di Homeland Security si sviluppa su diversi fronti. Innanzitutto blocca il rilascio di visti a cittadini di Irak, Iran, Libia, Somalia, Sudan, Siria e Yemen, una mossa simbolica dato che all’atto pratico i visti rilasciati in quei paesi sono già quasi inesistenti. Lo stop all’asilo per i profughi siriani invece oltreché crudele è risibile visto che i rifugiati accolti ad oggi dagli Stati uniti sono una frazione di qelli degli altri paesi.
L’anno scorso l’asilo è stato concesso a 10.000 siriani. Nello stesso periodo ne sono arrivati in Europa più di un milione. Il vicino Canada con una popolazione un decimo di quella degli Usa ne ha accolti 30.000. I dati non impediscono che nella narrazione «popolare» trumpista, si tratti invece di una marea di sospetti terroristi che valica la frontiera senza controllo alcuno per ingrossare cellule dormienti di Isis nelle città americane. Una palese fallacia innanzitutto perché il processo d’asilo è oltremodo severo e prevede molteplici verifiche, controlli strettissimi e numerose interviste.
C’È POI IL FATTO che gli attacchi terroristici che si sono effettivamente verificati su suolo americano, compresi quelli di Boston, Orlando e New York, sono stati messi a segno non da profughi siriani ma da oriundi di seconda generazione. Tutti dati messi da parte dai «fatti alternativi» di Trump che motivano anche la famigerata muraglia del sud, caposaldo della campagna elettorale e la promessa più frequentemente ripetuta da Trump al suo zoccolo duro.
ACCOLTO CON CORI DA STADIO nei comizi elettorali, il muro che dovrebbe sigillare la frontiera col vicino meridionale verrebbe in realtà eretto in un periodo di stabile decrescita dell’immigrazione clandestina. Come rilevato dalle analisi del Pew Research Center il numero dei passaggi clandestini è iniziato diminuire stabilmente dal 2007, principalmente per effetto della crisi economica. Nel 2009 vi erano 6,4 milioni di messicani clandestinamente residenti nel paese, ora del 2014 erano scesi a 5,6 milioni e continuano ad essere più numerosi quelli che rientrano a casa di quelli che vanno verso nord.
SONO SOLO DATI statistici e quindi irrilevanti ai fini di una psicosi alimentata ad arte e che dalla notte dei tempi trova nello straniero invasore uno dei meccanismi più affidabili. Il rancore su cui fa leva non ammette logica, a partire dalle oggettive difficoltà logistiche per costruire il vallo anti invasione. Il confine attraversa infatti 3.200 km di terreno oltremodo accidentato che comprende tratti del Rio Grande, impervie catene montuose, terreni agricoli e agglomerati urbani oltre che sterminati tratti di deserto in Texas, New Mexico, Arizona e California.
IL COSTO DELL’OPERA faraonica viene stimato in 20 miliardi di dollari che rimangono da stanziare. Anche con un congresso favorevole, a maggioranza repubblicana la costruzione dovrà superare numerosi ostacoli di ingegneria e relativi all’ esproprio di terreni privati (e alcune riserve indiane, come quella dei Tohono O’odham in Arizona.) Anche su questo progetto pesa il lecito sospetto quindi di una operazione principalmente demagogica, tantopiù che una legge sul completamento di una fence, un reticolato esiste già. Centinaia di chilometri di confine sono già protetti da una barriera fortificata ma il realtà è un deterrente meno efficace degli ostacoli naturali come il deserto che miete centinaia di vittime ogni anno.
LA LINEA DURA sull’immigrazione rappresenta invece una vittoria per l’ala populista del governo Trump che fa capo a Steve Bannon, principale esponente Alt Right del gabinetto e suprematista «anti-multiculturale» per utilizzare un eufemismo. Torvamente significativo infatti è l’esplicito avvertimento alle «sanctuary cities», le numerose città che hanno già annunciato che non intendono collaborare con le retate anti-immigrati.
Il giorno dopo aver paventato l’invio di «forze federali» a Chicago, la minaccia di ritorsioni contro le grandi città apre un altro fronte. Una guerra che Trump dichiara soprattutto agli ispanici, 12 milioni di clandestini, 750.000 studenti amnistiati da Obama ma anche i 56 milioni di residenti legali. Non è casuale il concomitante surreale capitolo che riguarda i presunti dilaganti brogli elettorali: la bizzarra decisione di Trump di continuare a rilanciare l’accusa su una mastodontica frode che dovrebbe spiegare come abbia perso il voto popolare per 2,7 milioni di preferenze.
L’IPOTESI DELLA CONGIURA di immigrati clandestini per inquinare le elezioni ricorre da tempo in ambienti complottisti estremisti salvo venire regolarmente smentita da ogni analisi e non solo «di sinistra». Un’inchiesta approfondita del Wall Street Journal ha di recente comprovato un totale di nove singole irregolarità rilevate su centinaia di milioni di voti.
Il vero obbiettivo tuttavia è di alimentare la psicosi e di inibire l’accesso al voto delle minoranze. Per la destra si tratta di un obbiettivo storicamente cruciale. Il progetto comprende l’erosione del voting right act che per garantire il diritto di voto ai neri aveva commissariato gli stati ex confederati. Quella di Trump è un’accelerazione per chiudere un partita chiave per il futuro politico della destra; un’operazione che nell’America multietnica rischia di rivelarsi un pericoloso vaso di Pandora. L’altroieri il governatore della California ha formulato così la risposta al presidente: «Voglio essere chiaro. Difenderemo ogni uomo donna e bambino giunto qui per alla ricerca di una vita migliore e per contribuire a migliorare il nostro stato. Oggi e per sempre!»
Per coincidenza al Sundance lo stesso giorno si proiettava Bushwick un indie di fantapolitica in cui un esercito mercenario degli stati sudisti attacca New York provocando un bagno di sangue. Come accade ormai per molta «sci-fi» la metafora è parsa meno fantascientifica del previsto.
da il manifesto