Il cielo grigio, il rombo delle Frecce tricolori e un velivolo della pattuglia che, in fase di decollo, precipita: fiamme e fumo nero e nell’impatto a terra viene colpita un’auto con una famiglia a bordo. Muore una bambina di cinque anni, il fratello di 12 viene soccorso e ricoverato al Regina Margherita con ustioni di secondo grado. Ustionati anche i genitori; codice giallo per il maggiore Oscar Del Do, a bordo di Pony 4, che è riuscito a salvarsi catapultandosi con il seggiolino eiettabile.

È STATO UN POMERIGGIO tragico nel Torinese, a San Francesco al Campo, a due passi dall’aeroporto di Caselle (lo scalo civile di Torino), all’inizio della due-giorni piemontese dedicata al centenario dell’Aeronautica, che doveva concludersi con un airshow, domenica, proprio sulla città della Mole.

È successo intorno alle 16.30, la pattuglia delle Frecce era appena decollata dall’aeroporto di Caselle per recarsi a Vercelli, dov’era attesa per un’esibizione, quando uno degli aerei si stacca dalla formazione e punta dritto verso le case. Il mezzo è ingovernabile e il pilota perde il controllo e aziona il dispositivo di eiezione dalla cabina. Pony 4 si schianta, il carburante si incendia al fondo della pista dove passa una strada e in quel momento transita la macchina della sfortunata famiglia.

Con tutta la retorica che si portano appresso, le esibizioni delle Frecce tricolori – la pattuglia acrobatica dell’aereonautica militare italiana – hanno spesso sollevato critiche politiche, spesso zittite, e non sono mai riuscite davvero a cancellare l’ombra tragica dei fatti del 28 agosto 1988, quando un incidente durante un airshow a Ramstein, in Germania, provocò 70 morti.

SUL LUOGO DELL’INCIDENTE si è recata, ieri, Gabriella Viglione, procuratrice capo di Ivrea, piccolo tribunale (a corto d’organico dopo gli ultimi tagli e riforme) che già conduce le indagini sulla strage ferroviaria di Brandizzo dello scorso 30 agosto. «Sono in corso accertamenti che saranno lunghi e complicati. Non è il momento per le diagnosi. Sulle cause non posso dire ancora nulla».

Gli inquirenti stanno raccogliendo i reperti del velivolo e dell’automobile. Chiuso l’aeroporto di Caselle e sospesi i prossimi eventi delle Frecce tricolori.

UNA PRIMA IPOTESI parla dell’urto dell’apparecchio con uno stormo di uccelli, un bird strike. Da valutare anche una possibile avaria. Il maggiore Del Dò, friulano di 35 anni, avrebbe comunicato al caposquadra di avere un problema al motore e di doversi sganciare. È entrato nella pattuglia nel 2020 ai comandi di Pony 4.

Si dice attonito il ministro della Difesa Guido Crosetto: «È profondo il dolore per il tragico incidente di volo di un componente delle Frecce tricolori il cui velivolo nel precipitare ha drammaticamente coinvolto un veicolo con a bordo una famiglia». La Difesa esprime «la propria vicinanza ai familiari consapevole che ci sono perdite incolmabili e che mai vorrebbe ricevere tali notizie».

Tra i commenti politici si sono sollevate anche voci critiche: quella di Maurizio Acerbo, segretario nazionale di Prc, che definisce le Frecce tricolori «uno spreco di soldi dannoso, diseducativo, e purtroppo anche pericoloso», e di Luana Zanella, parlamentare di Alleanza Verdi e Sinistra, per la quale le esibizioni della pattuglia «dovrebbero essere abolite».

Scheda

Ciò che salta subito all’occhio ripercorrendo le vicende che hanno visto protagonista la pattuglia acrobatica sono però le tante, troppe catastrofi che da più di sessant’anni hanno coinvolto i suoi mezzi. Solo dal 1961 al 1967, quattro tra Capitani e Sergenti Maggiori – Massimo Raffaello Scala, Mauro Venturini, Eugenio Colucci e Raffaele D’Andretta – persero la vita a causa di incidenti aerei. Tre sul campo di aviazione di Rivolto, uno su quello di Forlì. Poi, il 2 giugno 1973, nel corso di un’esibizione nel quadro della grande parata militare della Festa della Repubblica, durante un sorvolo di Torvajanica (Roma) il velivolo guidato dal pilota Angelo Gays si scontrò con quello di Antonio Gallus: Gays morì sul colpo, mentre il secondo rimase ferito. Il suo destino però fu solo rimandato, poiché Gallus trovò la morte nella cornice di un altro incidente di volo il 2 settembre del 1981, mentre sorvolava la base di Rivolto con le Frecce. Poi, nel marzo del 1974, due Frecce entrarono in collisione nei cieli di Codroipo, in provincia di Udine. Le vittime furono, in questo caso, i sottotenenti Sandro Santilli e Ivano Poffe. Nel 1978, a morire fu poi l’aviatore Graziano Carrer.

Il più grave incidente legato all’attività della Pattuglia Acrobatica Nazionale è però quella avvenuto nella città di Ramstein, in Germania, il 28 agosto 1988, durante una dimostrazione acrobatica per l’Airshow Flugtag nella base NATO. Nel corso dell’evento, cui assistevano circa 300mila persone, si verificò una collisione fra i tre Aermacchi MB-339PAN, pilotati dal Tenente Colonnello Ivo Nutarelli, dal Tenente Colonnello Mario Naldini e dal Capitano Giorgio Alessio, mentre la pattuglia eseguiva la figura del cordoide, o “cuore trafitto”. I primi due si schiantarono in fiamme sulla pista, mentre il terzo velivolo precipitò sulla folla, causando 70 morti e 450 feriti. Nessuno dei tre piloti si salvò. In seguito alla tragedia, per tre anni tutte le esibizioni acrobatiche furono interdette dallo spazio aereo tedesco. Successivamente, vennero aumentate le distanze minime tra gli aerei, nonché l’altezza alla quale eseguire le acrobazie in volo. Tre anni prima della tragedia, il 20 febbraio 1985, durante un addestramento aveva perso la vita un altro pilota, John Miglio. Pochi mesi dopo il disastro di Ramstein, invece, fu la volta tenente colonnello Paolo Scoponi, anche lui morto a Rivolto.

L’ultimo incidente che ha riguardato un aviatore assegnato alla Pattuglia Acrobatica Nazionale è quello che, lo scorso aprile, è costato la vita al Capitano Alessio Ghersi, assegnato alle Frecce dal 2018, che aveva svolto attività di difesa aerea sia a livello nazionale che nell’ambito di missioni NATO. Il pilota, in quel frangente, era alla guida di un Pioneer 300 della Alpi Aviation di Pordenone e stava svolgendo una breve uscita insieme ad un parente (anch’egli deceduto), quando si è schiantato sul Monte Musi, nell’Alta valle del Torre, a Lusevera (Udine), da un’altezza di 800 metri.

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