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Il terrorismo italico e i suoi complici: Macerata e non solo

Come alcuni/e hanno scritto lucidamente, la tentata strage di Macerata, di stampo tipicamente razzista e nazifascista, è, in realtà, un atto terroristico: se è vero che il terrorismo prende di mira vittime innocenti; crea un’atmosfera di panico e allarme sociali; si caratterizza per il connubio tra esercizio della violenza e ostentatoria messa in scena simbolica; ha come finalità o effetto il ricatto e/o il condizionamento indebito nei confronti dei poteri pubblici.

Tali caratteri, ci sono tutti nell’azione, preparata e progettata fin nei dettagli, compiuta da Luca Traini: un nazifascista talmente esemplare, idealtipico, perfino caricaturale da apparire come un personaggio costruito per qualche fiction. Paradigmatico è anche ciò che è stato trovato nella sua dimora nel corso della perquisizione: una copia del Mein Kampf, una storia della Repubblica sociale italiana, una bandiera con croce celtica, un esemplare di Gioventù fascista, rivista del Ventennio. Ciò nonostante, prima della tentata strage, a scandalizzarsi per i suoi atteggiamenti “sempre più estremisti”, per i saluti romani e le consuete battute razziste, nonché per il fatto di portare abitualmente una pistola, sembra sia stato solo il titolare della palestra in cui Traini andava ad allenarsi, il quale sostiene d’averlo perciò allontanato alcuni mesi fa.

Eppure, in base alla legge Mancino, a incriminarlo per apologia di fascismo sarebbe bastato un “dettaglio”: il tatuaggio sulla tempia destra, costituito da una runa Wolfsangel (“gancio di lupo”), che fu assunta a simbolo dalla SS-Panzer-Division “Das Reich” e da altre divisioni naziste.

Ricordo che questo simbolo fu adottato, a suo tempo, da Terza Posizione, il gruppo eversivo neonazista fondato nel 1978 da Giuseppe Dimitri, Gabriele Adinolfi e Roberto Fiore. Quest’ultimo, fuggito a Londra nel 1980 a seguito di un mandato di cattura, cinque anni più tardi condannato, da latitante, per associazione sovversiva, rapina e banda armata, dal 1997 a tutt’oggi è il leader di Forza Nuova. La quale si è apertamente schierata dalla parte di Luca Traini fino a dichiarare: “Mettiamo a disposizione i nostri riferimenti per pagare le spese legali di Luca, a non farlo sentire solo e a non abbandonarlo“.

Nonostante la sua connotazione violenta ed eversiva, a Forza Nuova è stato permesso, di volta in volta, di presentarsi alle elezioni, anche alle prossime, questa volta con la lista “Italia agli italiani”, insieme con Fiamma Tricolore. E ciò a dispetto del suo ben noto squadrismo vecchio stile, fatto di minacce, razzismo “militante”, spedizioni punitive seriali (si pensi ai “bangla tour” romani).

Come riferiva il Viminale sei mesi fa, in risposta a un’interrogazione parlamentare, tra il 2011 e il 2016, “240 sono stati i deferimenti all’autorità giudiziaria e 10 gli arresti nei confronti di militanti di Forza Nuova”. Ancor peggiore il bilancio di CasaPound (anch’essa da alcuni anni ben presente nelle competizioni elettorali, e con qualche successo), se è vero che tra il 2011 e il 2015 ha collezionato “un arresto ogni 3 mesi e una denuncia ogni 5 giorni”.

Se a tali fonti d’ispirazione di Traini si aggiunge la sua coerente vicinanza anche alla Lega Nord, di cui, com’è ben noto, è stato candidato nonché membro del servizio di sicurezza per i comizi, si comprende bene quale sia il retroterra, ideologico e non solo, che spiega la sua azione da giustiziere nero: talmente estrema che qualche commentatore, poco attento a evitare i luoghi comuni, ha evocato l’Alabama. In realtà, se proprio si volesse fare una comparazione del genere, l’esempio più appropriato sarebbe quello della sparatoria di massa del 17 giugno 2015, a Charleston, nella Carolina del Nord: compiuta da un giovane suprematista bianco ai danni di una folla di afroamericani, presso una chiesa episcopale impegnata nella difesa dei diritti umani, e conclusasi col tragico bilancio di ben nove vittime.

In realtà, non v’è bisogno di ricorrere a paragoni esotici. Infatti, al contrario di ciò che scrive Antonio Polito (“Macerata, Alabama. Forse per la prima volta nella nostra storia recente vediamo materializzarsi anche da noi l’incubo del terrore razzista”), le stragi o le tentate stragi di matrice razzista fanno parte ormai della tradizione italica.

Polito e altri, quelli della retorica “della prima volta”, come son solita definirla, dimenticano che nel nostro paese la lunga teoria di crimini razzisti inizia almeno nel 1989, con l’omicidio di Jerry A. Masslo. E prosegue, solo per fare un altro esempio, di sicuro tra i più funesti, con la strage di camorra di sei lavoratori innocenti, anch’essi di origine sub-sahariana: compiuta il 18 settembre 2008 a Castel Volturno. Quattro giorni prima, a Milano, il diciannovenne Abdul Salam Guibre, cittadino italiano, figlio di una coppia burkinabé, era stato ucciso a sprangate da due italiani, Fausto Cristofoli di 51 anni e suo figlio Daniele di 31.

In realtà, la comparazione più appropriata per la tentata strage di Macerata è quella con la strage di Firenze che uccise due senegalesi, Samb Modou e Diop Mor, e ne ferì gravemente un terzo, Moustapha Dieng. Non solo perché compiuta da un killer, Gianluca Casseri, apertamente razzista, nazista, negazionista, attivo collaboratore del sito Stormfront, nonché iscritto o comunque frequentatore abituale di CasaPound.

Ma anche per altri elementi comuni. Mi riferisco alla freddezza e alla determinazione di entrambi gli esecutori, alla totale spersonalizzazione dei loro bersagli, tali solo perché “negri” e perciò trattati al pari di selvaggina, infine alla teatralizzazione simbolica della propria “eroica” resa: nel caso di Casseri, il suicidio; in quello di Traini, la messa in scena “epica”, con tricolore sulle spalle e saluto fascista, sullo sfondo del monumento ai caduti.

Inoltre, ça va sans dire, queste vicende grondano anche di sessismo. Del tutto esplicito nel caso di Traini: è ai veri uomini, i bianchi, che spetta vendicare lo stupro o la morte delle “nostre” donne, non importa se al rischio della vita di un’altra donna: una “negra”, quindi anche lei parte della selvaggina.

Mala tempora currunt, si potrebbe concludere. Basta considerare il clima di omertà o di condiscendenza verso Traini tra una parte non irrilevante della popolazione di Macerata: è il suo avvocato ad aver asserito d’essere allarmato per il numero di persone che lo fermano per manifestare la loro solidarietà nei confronti del suo assistito. Si aggiunga che nelle scuole maceratesi non si è parlato della tentata strage; e che nessun rappresentante delle istituzioni è andato/a finora a visitare in ospedale le vittime del giustiziere nero. Per non dire di Salvini, Berlusconi e simili che, anche in questa occasione, hanno vomitato i loro rigurgiti razzisti, volti a colpevolizzare le vittime chiedendone la deportazione di massa.

E’ da molti anni che lo scriviamo: il susseguirsi di pacchetti-sicurezza, di leggi e norme volti a discriminare, inferiorizzare, perseguitare, deportare migranti, rifugiati e rom non fa che accendere le torce di folle inferocite e armare la mano di killer razzisti. Le une e gli altri, come ha scritto Christian Raimo, sono anche il prodotto di una “educazione fascista di massa, quotidiana, spacciata per ‘racconto del reale’”.

Annamaria Rivera

da micromega

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