SLAPP, acronimo che in inglese riassume una delle strategie e tattiche diffuse di intimidazione a chi è impegnato nel diritto di informare e chi si attiva per la protezione dell’ambiente. Sta per “ Strategic Lawsuits against Public Participation”, ossia l’uso della legge ed il ricorso a querele per diffamazione per mettere a tacere voci critiche con la minaccia di ingenti risarcimenti.
Secondo l’ultimo rapporto sullo stato dei diritti civili in Europa a cura di Civil Liberties Union for Europe (rappresentata in Italia dalla CILD)1 tale pratica è in crescita soprattutto in Croazia, Polonia, Slovenia, e Spagna, ma sta diventando sempre più comune anche in Francia, Irlanda ed Italia. Non a caso è stata lanciato un osservatorio europeo sulle SLAPP che l’Osservatorio Balcani Causaso Transeuropa 2, realtà attiva anche nel nodo trentino della rete In difesa Di, ha contribuito a fondare. Inoltre, il Parlamento Europeo, dopo aver approvato due risoluzioni sul tema nel 2018 e nel 2020, ha iniziato a occuparsi concretamente della questione nel maggio scorso. 3
Pochi giorni dopo, in una sua dichiarazione il Commissario per i Diritti Umani Dunja Mijatović, ha esortato a prendere iniziative per assicurare la tutela dei difensori dell’ambiente in Europa4. Lo stesso Consiglio d’Europa nel rapporto annuale sulla protezione e la sicurezza dei giornalisti pubblicato quest’anno, ha denunciato l’aumento significativo di ricorsi agli SLAPP nel 20205. Le querele per diffamazione sono solo una delle modalità con le quali la legge ed il diritto vengono usati in maniera arbitraria per perseguire i difensori dei diritti umani e dell’ambiente.
Altra modalità è quella della criminalizzazione di chi pratica solidarietà con i migranti o di chi si batte per la tutela dei territori, come ben evidenziato nel caso di Dana Lauriola, attivista No TAV, in carcere solo per aver espresso la propria opposizione al treno ad alta velocità in Val Di Susa. Su caso di Dana Lauriola Centro Riforma dello Stato, Fondazione Basso ed altre importanti realtà italiane lanciarono un appello sottoscritto da migliaia di personalità6, seguito poi da due importanti iniziative sulla repressione del dissenso. 7
Quel che si pensava fosse un problema di oltreconfine, ossia l’agibilità civica ed il diritto a difendere i diritti umani, è quindi questione che riguarda anche il nostro paese, e si estende ad ogni forma di dissenso o di resistenza, dal diritto all’informazione, al diritto allo sciopero, a quello di proteggere vite umane, come appunto nei casi di Mediterranea, SeaWatch, Open Arms, o Linea d’Ombra., O nei casi recentemente venuti alla luce delle intercettazioni ai danni della giornalista Nancy Porsia o di difensori dei diritti umani quali Alessandra Ballerini o Don Mussie Zerai. 8
O nei casi dei movimenti No TAP o No TAV o delle Mamme contro l’operazione Lince e contro la Repressione in Sardegna, e delle mamme No PFAS nel Veneto. Quest’ultimo caso è stato analizzato anche da una delegazione dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, l’OSCE che ha visitato l’Italia lo scorso anno, proprio per svolgere una valutazione della situazione relativa ai difensori dei diritti umani nel paese e che è in procinto di pubblicare un rapporto contenente una serie di raccomandazioni alle istituzioni italiane competenti.
Vale la pena di ricordare che il nostro paese è tenuto a rispettare ed applicare la Dichiarazione ONU sui Difensori dei Diritti Umani 9anche nella dimensione “interna” come anche le linee guida OSCE /ODIHR per i difensori dei diritti umani10. L’OSCE ha infatti adottato delle linee guida sui difensori dei diritti umani che sono valide anche per l’Italia sia per le rappresentanze diplomatiche nei paesi OSCE che a livello nazionale. 11
In particolare, le linee-guida invitano testualmente le istituzioni statuali ed i pubblici funzionari ad evitare di essere coinvolti in campagne di diffamazione, delegittimazione o stigmatizzazione dei difensori dei diritti umani ed il loro lavoro, e dovrebbero “intraprendere iniziative per contrastare tali campagne di stigmatizzazione dei difensori anche da parte di terzi”. Inoltre, i governi e le istituzioni statuali ad ogni livello dovrebbero “condannare pubblicamente queste manifestazioni ed ogni attacco ai difensori dei diritti umani”.
Ciononostante, sia nei casi di criminalizzazione della solidarietà che in quelli degli attivisti No TAP o No TAV le autorità nazionali preposte a contribuire all’applicazione e rispetto delle linee guida e della Dichiarazione ONU quando non sono state attivamente coinvolte e complici, hanno comunque omesso di impegnarsi effettivamente per il loro rispetto e riconoscerne pubblicamente il ruolo.
Ciò è senz’altro frutto di una mancata consapevolezza di chi oggi è un difensore dei diritti umani, di una ancor poco diffusa cultura dei diritti umani, della mancata formazione ai diritti umani, di un’eccessiva frammentazione delle competenze a livello istituzionale, e dell’assenza nel nostro paese di una Autorità Nazionale indipendente sui diritti umani preposta a vigilare sul loro rispetto, sullo sfondo di scelte politiche decisamente orientate verso la repressione e la criminalizzazione del dissenso e della disobbedienza civile.
Basti pensare al Decreto Sicurezza nelle parti relative alla gestione dell’ordine pubblico, o all’uso ricorrente del DASPO per limitare la libertà di movimento di attivisti in ogni parte del paese. O delle SLAPP, come accennato in precedenza. L’attenzione internazionale, e degli organismi di tutela verso l’Italia continua quindi ad essere alta, e ciò può offrire un’importante sponda per lanciare un’iniziativa nazionale che veda partecipare una gamma il più ampia possibile di realtà, organizzazioni, associazioni e singoli individui preoccupati per il rispetto dei diritti umani, della libertà di associazione, manifestazione, espressione, ed in generale della qualità stessa della democrazia.
Un’iniziativa rivolta ai più alti vertici dello Stato affinché si intervenga con un programma nazionale per la protezione e tutela dei difensori dei diritti umani e del diritto al dissenso, e che offra gli strumenti necessari per assicurare trasparenza, responsabilizzazione delle autorità competenti all’applicazione della Convenzione ONU sui Difensori dei Diritti Umani e delle linee guida OSCE. Per far ciò sarà anzitutto urgente istituire l’Autorità Nazionale indipendente per i diritti umani (tuttora al vaglio della Camera a venti anni circa dall’approvazione della risoluzione dell’Assemblea Generale ONU che impegnava gli stati membri a istituire tali organismi indipendenti) e prevedere l’inclusione nel proprio mandato la verifica ed il monitoraggio del rispetto e sostegno agli Human Rights Defenders. L’Autorità potrebbe predisporre e coordinare un programma nazionale per la protezione dei difensori dei diritti umani che operi con la partecipazione attiva della società civile e che assicuri il coordinamento inter-istituzionale, e capacità di indagine e seguito a eventuali violazioni dei diritti dei difensori dei diritti umani.
In attesa della creazione dell’Autorità, sarà comunque necessario mettere a punto un piano di azione nazionale (possibilmente di competenza del Comitato Interministeriale per i Diritti Umani – CIDU) che assicuri il coordinamento e la coerenza per quanto riguarda i rapporti con gli organismi internazionali di tutela degli Human Rights Defenders, (ONU, Fundamental Rights Agency (FRA) della Unione Europea, Consiglio d’Europa, OSCE). E’ giunto pertanto il momento per lavorare ad una campagna alla quale possano convergere e collaborare tutte quelle realtà e soggetti che in varia maniera si occupano nel nostro paese di difendere i diritti umani, e dell’ambiente, il diritto alla liberà di espressione e assemblea. A maggior ragione mentre ci si appresta a ricordare quelle giornate di venti anni fa, quando a Genova rappresentanti di movimenti di ogni parte del mondo si trovarono al centro della più drammatica sospensione dello stato di diritto del secondo dopoguerra.
In Difesa Di