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Francia: Svuotare le strade riempire le carceri

Rapports de Force pubblica una serie di articoli, il secondo dei quali si concentra sulla risposta giudiziaria messa in atto durante gli scontri urbani seguiti alla morte del giovane Nahel. Il tasso delle comparizioni immediate e delle condanne al carcere è esploso, rivela un rapporto dei ministeri della Giustizia e dell’Interno.

Il rapporto, diffuso lo scorso 25 agosto dalle ispezioni generali dell’amministrazione e della giustizia, è stato inizialmente controverso nei media di destra. Queste 50 pagine, commissionate dal Ministero della Giustizia e intitolate “Analisi dei profili e delle motivazioni degli autori di reato arrestati durante la violenza urbana dal 27 giugno al 7 luglio 2023”, sono state riprese e commentate a modo loro da Le Figaro, poi di Valeurs Actuelles (la revisione dei diritti). Entrambi questi media si sono concentrati sul “ritratto romantico” del rivoltoso evitando di fornire i numerosi pregiudizi che il rapporto stesso evidenzia*. Il primo titolo di Le Figaro, ronzante, dice: “Rivolte di giugno: il rapporto che mette in luce l’ultraviolenza dell’inoperosità” (“dei fannulloni”). La seconda di Valeurs Actuelles: “Rivolte: la grande maggioranza degli arrestati sono giovani francesi del Maghreb o dell’Africa subsahariana”, mentre questa citazione della prefettura di Parigi riguarda solo la capitale e le sue periferie interne. Tuttavia, molto più del profilo tipico del rivoltoso, questo rapporto ci informa sulla natura delle risposte giuridiche date alle rivolte contro la violenza della polizia in seguito alla morte di Nahel. Perché dei 2.519 manifestanti adulti (il 28% degli imputati sono minorenni) perseguiti nell’ambito di reati legati alle rivolte urbane, al 31 luglio 2023, 1.249 erano già stati processati e condannati al momento della presentazione del verbale.

60% di giudizio immediato / svuotare le strade riempire le carceri

La strategia di contrasto messa in atto durante il periodo delle rivolte** consisteva nello “svuotare le strade”, spiega in forma anonima un capo della giurisdizione. Corollario: la polizia ha riempito i commissariati, poi le aule dei tribunali. E, in situazioni eccezionali, giustizia eccezionale: “alcuni capi di tribunali e giurisdizioni che si confrontano ripetutamente con episodi di violenza urbana hanno (…) saputo integrare la gestione delle crisi nel loro funzionamento quotidiano”, sottolinea il rapporto, senza fornire ulteriori dettagli. È ovvio che il ricorso massiccio alla procedura di comparizione immediata rientrava in questa “gestione della crisi”. Questo ricorso è stato deciso “sulla base di criteri più ampi di quelli abitualmente utilizzati. L’assenza di precedenti penali non ha impedito la scelta di questa strada”, prosegue il rapporto

Di tutti i casi perseguiti, il 65% è stato portato davanti al tribunale penale (il resto è stato affidato a giudici minorili – 25% – o a giudici inquirenti – 5% -). Ma soprattutto il 60% degli imputati è stato sottoposto a procedura di comparizione immediata. Un dato particolarmente elevato visto che la media del 2021 è dell’11%. La comparizione immediata pone però non pochi problemi: “esaltarne i pregi significa promuovere una procedura che discrimina gli uomini, i giovani, gli stranieri o di origine straniera, i disoccupati, i residenti in aree geografiche svantaggiate”, ha ricordato le Syndicat de la Magistrature (l’equivalemte di MD in Francia ma rimasto ben a sinistra e contro il regome Macron-Darmarin) in una comunicato stampa di luglio. “È rallegrarsi di un giudizio precostituito, in condizioni altamente sfavorevoli alle alternative alla carcerazione e agli aggiustamenti di pena e che alla fine porta a una probabilità di essere incarcerato otto volte maggiore rispetto ad altri metodi di giudizio” . È chiaro che i rivoltosi, nel protestare contro la violenza della polizia e la morte di Nahel, non hanno avuto le stesse possibilità degli altri.

Carcere a tutti i costi

Anche le pene detentive sono state significative. Poco più del 60% degli adulti condannati ha ricevuto una pena detentiva. Anche in questo caso il dato è molto più alto della media nazionale per il 2022, che è pari al 38% del tasso di detenzione fisso pronunciato nel 2021 dai tribunali penali. Per due terzi di loro le condanne sono inferiori a 12 mesi: 8,9 mesi in media. Per confronto, per l’anno 2021, ammontano a 9,7 mesi a livello nazionale, tenuto conto che quest’ultimo dato riguarda un ambito di reati più ampio. Nel 53% dei casi sono stati emessi mandati di arresto o di detenzione continuata, il che ha contribuito sostanzialmente all’esecuzione immediata delle pene detentive. Il tasso di aggiustamento della pena in udienza è stato del 20%, un livello inferiore al tasso medio nazionale del 29% osservato per l’intero 2021. “Svuotare le strade mettendo tutti in prigione, è ovvio che questo produce effetti immediati e visibili. Ma la risposta giudiziaria è valutabile su tempi lunghi: che ne sarà di questi condannati? Si reintegraranno? Per non farlo di nuovo?

Il rapporto risponde ad un ordine politico. Non ha senso per l’efficienza della giustizia”, conclude Samra Lambert, segretaria nazionale del sindacato dei magistrati.

Note:

* Primo pregiudizio: il rapporto costituisce solo il suo ritratto robotico basato sui rivoltosi condannati. La seconda: le dichiarazioni trattenute possono far parte di una strategia di difesa prima del pubblico ministero e poi in udienza. Devono essere compresi con una certa prospettiva.

** La stampa si è abituata a descrivere le situazioni di scontro con la polizia come “sommosse” o rapine, quando vengono portate a termine in massa da persone provenienti dai quartieri popolari. Preferiamo quella della “rivolta”, che non dimentica che questa violenza ha cause politiche.

da rapportsdeforce.fr

traduzione e note a cura di Salvatore Palidda

 

 

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