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Stato Penale massimo

Il governo Meloni pensa di risolvere le presunte emergenze con più carcere per tutti. II filo conduttore dei due provvedimenti, devianza giovanile e immigrazione, è lo stesso: limitazione della libertà personale e di movimento. Un campo troppo delicato per intervenire con la decretazione d’urgenza

di Andrea Oleandri

A distanza di dieci giorni il governo interviene con due decreti legge per rispondere a due “emergenze” (le virgolette sono d’obbligo): la prima, quella della devianza giovanile; la seconda, quella dell’immigrazione. Due atti governativi differenti tra loro ma con un filo conduttore comune: la limitazione della libertà personale e di movimento. A lasciare dubbi non è solo il contenuto di questi due decreti, quanto lo strumento in sé. L’uso e l’abuso dello strumento della decretazione d’urgenza, di fatto, concentra nelle mani del governo anche buona parte del potere legislativo, esautorando un Parlamento che sempre più si sta trasformando in organo ratificante.

Come spiega Openpolis, il governo Meloni sta spingendo questa tendenza generale ancor più in avanti e, fino a oggi, riporta il valore più alto di leggi di conversione sul totale di quelle approvate, ben il 78,3%. Nel caso delle recenti norme sull’immigrazione, poi, le stesse sono state inserite in un decreto Sud, lasciando anche dubbi di costituzionalità, per la possibile mancata interconnessione dei temi, così come avvenne per la legge Fini-Giovanardi sulle droghe, inserita in un decreto per le Olimpiadi invernali di Torino e per questo dichiarata incostituzionale dalla Consulta alcuni anni dopo.

Il tema dell’utilizzo ingente dei decreti legge è tutt’altro che secondario. L’approvazione di norme ordinarie offre, infatti, la possibilità di discuterne anche a lungo laddove necessario, di analizzare tutti gli aspetti del tema su cui si vuole intervenire e le possibili modalità di intervento. I decreti, con i loro limiti di 60 giorni per la conversione in legge, non lasciano spazio a grandi discussioni. Che invece servirebbero quando si interviene in campi delicati, come quelli che riguardano la privazione delle libertà personali. Anche perché, a ben vedere, queste emergenze non sembrano sussistere.

Se guardiamo ai minori, scopriamo che quelli fermati o arrestati nel 2022, anche in assenza di dati ufficiali definitivi, sono in linea con quelli fermati o arrestati nel 2016 (circa 34.000 persone). Dunque non si intravede un’emergenza criminalità e non si intravedono numeri molto problematici rispetto al passato. Nonostante questo, la strada scelta dal governo è stata quella di un’ampia risposta penale e in alcuni casi limitativa della libertà personale e di movimento. Una strada che, peraltro, non sembra tenere in considerazione l’inefficacia degli approcci penalistici come strumenti di prevenzione dei reati.

Guardando ai migranti, invece, i numeri fino a oggi ci parlano di circa 160.000 persone arrivate in Italia da inizio anno. Sicuramente un dato più elevato di quello fatto registrare negli ultimi anni, ma in linea con quanto accadde nel 2015, quando ad arrivare via mare furono oltre 150.000 persone e ancor di più nel 2016, quando ne arrivarono 181mila. La risposta del governo, finora, è stata anche in questo caso una risposta penale e securitaria. Dapprima con il decreto legge Piantedosi, approvato all’indomani del drammatico naufragio di Cutro. Lunedì con un nuovo decreto che punta a utilizzare la detenzione amministrativa delle persone migranti come strumento di governo del complesso fenomeno migratorio, aumentando il numero dei Centri di Permanenza per il Rimpatrio (Cpr) e il tempo di trattenimento, con l’obiettivo di aumentare anche il numero dei rimpatri.

Poco importa che la detenzione senza reato lasci profondi dubbi di carattere legale. Poco importa che si tratti di un sistema costoso, dove i privati che gestiscono i centri si sono buttati a capofitto scorgendo possibilità di grandi profitti. Poco importano le costanti denunce di violazioni di alcuni dei più basilari diritti riscontrati nel tempo. Poco importa, anche e soprattutto, che il tempo di trattenimento fino a 18 mesi sia stato in vigore fino al novembre del 2014 e il numero dei rimpatri fosse, anche allora, attorno al 50% del totale di chi per questi centri transita.

La stessa percentuale registrata con tempi di permanenza a 90 giorni prima e 180 giorni poi. Perché, e ce lo raccontano i 25 anni di storia di questi luoghi, le persone o si riescono a rimpatriare subito o non è il tempo a rappresentare un alleato verso questo obiettivo. Questi appena riportati sono solo alcuni elementi che andrebbero presi in considerazione e discussi, ma che non ci sarà tempo di approfondire in nome di un utilizzo ideologico di uno strumento legislativo, il decreto legge, che guarda molto più alla propaganda del momento che alla più complessa gestione dei fenomeni.

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“Il governo fa populismo penale”

Intervista a Stefano Musolino segretario di Magistratura democratica: “Tenerli 18 mesi in luoghi peggiori di un carcere non aiuta a rimpatriare i migranti, grava inutilmente sui loro diritti

intervista a cura di Angela Stella

Che direzione sta prendendo il Governo in materia di immigrazione e giustizia? Ne parliamo con Stefano Musolino, Segretario di Magistratura Democratica.

Qual è il suo giudizio su come il Governo sta gestendo la questione migratoria? È accettabile ad esempio trattare con dittatori, come quello tunisino?
Da molti anni e da molti Governi le politiche migratorie sono regolamentate da decreti legge, emanati sull’onda emotiva delle periodiche emergenze. Dovrebbe essere, ormai, evidente che si tratta di un fenomeno strutturale e non emergenziale ed, anzi, l’aumento degli sbarchi nonostante l’avvento di un Governo di destra che immaginava di potere esercitare funzioni dissuasive con aumenti di pene, riconoscimento di pieni poteri al Ministro degli Interni, riduzione delle capacità operative delle ONG, riduzione degli interventi della Capitaneria di Porto, conferma definitivamente che flussi di migrazione determinati da fenomeni storici non si governano con “chiacchiere e distintivo”. L’allungamento dei tempi di trattenimento nei CPR dovrebbe essere esclusivamente finalizzato ad attuare materialmente i rimpatri. In base alle norme nazionali ed alle direttive europee, dovrebbe durare il tempo strettamente necessario a consentire l’identificazione del migrante, con l’ausilio del Paese di provenienza; al di là di questa necessità, la limitazione della libertà del migrante è illegale. Per questo mi pare che un anno e mezzo di restrizione della libertà in luoghi che sono peggiori di un carcere (perché tra, l’altro, non è previsto alcun servizio, né alcuna attività che i trattenuti possano svolgere), non si giustifica con i tempi necessari ad organizzare il rimpatrio. Ed infatti, il numero ridotto di rimpatri effettivi dipende da deficit strutturali del nostro sistema amministrativo e non già da difficoltà oggettive per superare le quali è necessario allungare i tempi di trattenimento. In sostanza, l’allungamento dei tempi di restrizione nei CPR non aumenterà i rimpatri, ma graverà inutilmente sui diritti di libertà dei migranti. Anche le attuali difficoltà di gestione dell’accoglienza dipendono da una mancata programmazione dell’accoglienza, resa più grave dall’esclusione dei richiedenti asilo dal SAI (sistema di accoglienza diffuso gestito dai sindaci). Per questo, l’ennesimo tentativo di stipulare accordi con i paesi magrebini di partenza sono destinati al fallimento. Sappiamo, inoltre, che in Tunisia c’è un governo autoritario, violento e razzista che gestisce i flussi migratori anche attraverso la deportazione e l’abbandono dei migranti nel deserto al confine libico. E’ pura ipocrisia costituzionale stipulare patti con autocrati privi di scrupoli, facendo finta di non sapere che consegniamo loro il destino di migliaia di persone deboli e bisognose, pur di non assumerci la responsabilità di gestire i flussi migratori. E’ successo anche con Erdogan sull’altro fronte migratorio ed è l’Europa dei diritti che dovrebbe avere uno scatto di dignità ed orgoglio, rifiutando patti con il diavolo, sulla pelle di poveri cristi.

Secondo lei come andrebbe gestito il problema?
Faccio il magistrato e non ho ricette pronte! Registro, però, che anche Confindustria e gli esperti di previdenza indicano la strada di un ampliamento dei canali di accesso legale quale soluzione alternativa ed efficace alle politiche restrittive e repressive che generano solo irregolarità, lavoro nero e sfruttamento, offrendo risorse a basso costo alla criminalità. Io credo sarebbe utile accettare la natura strutturale e non emergenziale dei flussi migratori, guardando al fenomeno con una prospettiva di lungo termine che ne sappia cogliere gli aspetti positivi, avviando una nuova politica europea che superi le restrizioni del regolamento di Dublino ed attui una concreta accoglienza solidale, superando gli ipocriti scaricabarile a cui stiamo assistendo o le schiette pulsioni egoiste di paesi come l’Ungheria.

La Bongiorno dal palco di Pontida ha detto: la nostra prossima battaglia sarà sulla castrazione chimica farmacologica per i violentatori seriali. Che ne pensa?
Non ho letto l’intervento e trovo singolare che un’avvocata ed una giurista dello spessore della Sen. Bongiorno, proponga soluzioni che sembrano evocare la logica dell’occhio per occhio, dente per dente. Non credo affatto che questa fosse davvero la sua proposta che, da chiunque, giunga incontra divieti e limiti difficilmente compatibili con la Carta costituzionale e con la normativa sovranazionale. Esiste un problema connesso ai reati di genere che riposa su stereotipi culturali di tipo patriarcale, fondati sulla logica del possesso e della forza, in luogo della libertà e della protezione. E’ molto più efficace intervenire su questo fronte, piuttosto che esacerbare lo strumento penale, affidandogli compiti educativi che gli sono estranei.

L’istituzione di nuovi reati e l’aumento delle pene sono le uniche forme di intervento in materia di giustizia messe in atto da questo governo. Siamo all’apice del populismo penale?
Magari fosse così! Seguendo l’andamento ciclico dei corsi storici, vorrebbe dire che oltre non si può andare. Temo, invece, che il diritto penale continuerà ad essere usato per occultare l’incapacità di affrontare le cause (che sono essenzialmente educative, sociali ed economiche) che stanno a fondamento di alcuni reati e della percezione di insicurezza che ne consegue. Questo significa – di fatto – assegnare alla funzione giudiziaria compiti performativi che sono estranei alla sua natura e, soprattutto, al ruolo riconosciuto dalla Costituzione.

In questo contesto come si colloca Nordio che scriveva: l’errore, l’equivoco della destra, è quello di pensare di garantire la sicurezza attraverso l’inasprimento delle pene, la creazione di nuovi reati e magari con un sistema carcerario come quello che abbiamo che diventa criminogeno?
Il Nordio ministro è in perfetta antitesi con l’acuto editorialista che allertava la sua parte politica. Il problema è che nel tentativo di recuperare lo smalto letterario di un tempo, le sue più recenti proposte di riforma sono animate da un apparente garantismo che si risolve nella tutela penale dei colletti bianchi, stridente con la natura essenzialmente emancipatrice dei diritti deboli che sta a fondamento di ogni sano garantismo, costituzionalmente orientato.

Si discute molto di intercettazioni sia alla Camera che al Senato. Secondo lei esiste un problema sul tema e come andrebbe risolto?
Il sistema delle intercettazioni oggi regola in modo equilibrato le esigenze investigative con la privacy dei soggetti coinvolti. Anzi, i tempi ristretti di formazione dell’archivio riservato, possono pregiudicare gli interessi di maggiore conoscenza del materiale acquisito da parte degli indagati. A me pare che solo sul tema dell’utilizzo del trojan per reati diversi da quelli di criminalità organizzata, si possa perfezionare un migliore equilibrio che tenga conto dell’invadente capacità dello strumento di acquisire informazioni personali che devono restare riservate, insieme alle specifiche difficoltà nell’accertamento di alcuni perniciosi reati.

Secondo lei si arriverà a fare la riforma costituzionale della separazione delle carriere? E la magistratura è pronta ad affrontare l’eventuale battaglia referendaria?
Nell’interesse dei cittadini mi auguro che la riforma non vada in porto; ne uscirebbe un pubblico ministero, meno indipendente, non più chiamato a controllare e coordinare verso un obiettivo probatorio efficace e legale l’attività della Polizia Giudiziaria, ma piuttosto indirizzato da quest’ultima al raggiungimento di un obiettivo securitario. Le riforme in cantiere, poi, contengono innovazioni che squilibrano i rapporti tra i poteri dello Stato, incidendo sulla autonomia e l’indipendenza anche dei Giudici. Per questo la magistratura è già compatta ed allertata, pronta a contribuire al dibattito che si aprirà su questi temi, affinché le scelte da assumere siano consapevoli ed informate.

da l’Unità

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