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Il sogno interrotto di Sankara brucia ancora

L’assassinio nell’ottobre 1987 del presidente rivoluzionario Thomas Sankara ha rappresentato anche la fine del sogno anticoloniale per alcune centinaia di ragazzi inviati a Cuba per diventare la nuova classe dirigente del Burkina Faso.

di Gianni Sartori

Ogni tanto se ne torna a parlare, magari con un tono pietistico del tutto fuori luogo.

Per esempio quando nel 2022 l’ex presidente e dittatore Blaise Compaoré era stato riconosciuto colpevole e condannato per l’assassinio di Thomas Sankara.

Parlo dei circa 600 ragazzi burkinabé (di cui 135 ragazze) tra i 12 e i 15 anni, in gran parte orfani e tutti provenienti da famiglie povere, inviati da Sankara a Cuba nel 1986 . Sicuramente la pallottola che nel 1987 (solo qualche mese prima si era recato a Cuba per incontrarli e incoraggiarli) doveva fermare quel cuore generoso, in qualche modo ha stroncato (“di rimbalzo” commentava uno di loro) anche i progetti di quei giovani. Così come le speranze di liberazione dal neocolonialismo per l’ex Alto Volta.

A Cuba, dopo sei mesi dedicati all’apprendimento dello spagnolo, vennero inseriti in un programma di scambio culturale (di formazione scolastica, professionale e ideologica) concordato tra Sankara e Fidel Castro. Avrebbero dovuto – nelle intenzioni di Sankara – rappresentare la nuova classe dirigente del paese, coerentemente con il processo di autodeterminazione antimperialista da lui intrapreso. Ma nell’ottobre 1987 (coincidenza: a 20 anni e cinque giorni dall’uccisione del “CHE”) quello che appunto era stato definito il “Che Guevara d’Africa”, veniva ammazzato dall’ex amico e compagno di lotta, presumibilmente su istigazione di qualche Servizio occidentale.

Di conseguenza, prima vennero sostituiti gli insegnanti burkinabé che li avevano accompagnati a Cuba (troppo in linea con le politiche di Sankara evidentemente) e poi anche i ragazzi furono anticipatamente richiamati in patria. Senza nemmeno la possibilità di completare il ciclo di studi. Inoltre i titoli di studio, le qualifiche conseguiti a Cuba non vennero riconosciuti dal nuovo regime insediatosi a Ouagadougou.

Per molti di loro la vita smise di sorridere. Discriminati, emarginati in quanto memoria vivente dell’era Sankara. Soprannominati con malcelato disprezzo “i cubani”. E forse anche con un certo timore, sia per l’addestramento militare ricevuto a Cuba, sia pensando che avrebbero potuto voler vendicare Sankara.

Qualcuno ricorda che alla notizia del golpe e della morte di Sankara erano rimasti per tre giorni in silenzio, piangendo. Senza dormire e senza mangiare e bere, consapevoli che era accaduto l’irreparabile. Nel corso degli anni un’ottantina di loro sono morti, alcuni suicidi e comunque in gran parte (almeno 400) sono rimasti senza un lavoro. Anche la maggioranza dei pochi, una trentina, che hanno potuto accedere a una formazione universitaria.

Ancora oggi gli “orfani di Sankara” reclamano – finora inutilmente – il riconoscimento dei diplomi e un risarcimento per le famiglie dei loro compagni che hanno perso la vita anche a causa delle difficoltà incontrate rientrando “in un Paese che non riconoscevano più”.

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