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Riqualificare le periferie? Degrado urbano? Tra il dire e il fare c’è di mezzo la burocrazia?

Una relazione della Corte dei Conti rivela che solo 24 progetti su quasi 100, relativi ai progetti di riqualificazione delle Periferie, è arrivato a buon punto.

Solo 24 i progetti avviati, mentre altri 96 ssono o solo nella fase iniziale o attendono ancora di essere realizzati. Colpa della lentezza burocratica della macchina amministrativa, dei finanziamenti che debbono attraversare le forche caudine di innumerevoli pareri vincolanti oppure c’è qualcosa di piu’ grave? La riqualificazione delle periferie dovrebbe essere la parte buona della lotta al degrado urbano ma in pratica altri sono gli scenari. Leggere la deliberazione \3\20019 della Corte dei Conti sarebbe utile per comprendere non tanto i ritardi ma il fallimento del programma complessivo di intervento per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie delle Città metropolitane e dei Comuni capoluogo di provincia, il fallimento della stessa nozione di degrado urbano applicato a colpi di daspo, ordinanze dei Sindaci, militarizzazione dei centri cittadini.

Sono trascorsi 3 anni da quando, correva l’anno 2015, la Legge di Stabilità prevedeva un intervento atto a contrastare il degrado edilizio, delle periferie, un piano che in teoria avrebbe dovuto restituire dignità a luoghi e aree cadute per decenni nel dimenticatoio.

La relazione della Corte dei Conti parla di gravi e colpevoli ritardi e il decisionismo del Governo in materia di immigrazione e Pacchetto sicurezza stride con i continui ritardi degli interventi di riqualificazione.

Eppure parliamo di tanti progetti e tantissimi soldi, circa 120 progetti per un totale di 3881 milioni, di cui 2061 milioni a carico del bilancio statale.
Tanta solerzia nell’emanare ordinanze per impedire il consumo dell’alcool nei quartieri del centro storico, ordinanze per chiudere le fontane pubbliche o impedire di sedersi sui gradini dei palazzi pubblici o perfino sul sagrato delle Chiese ma altrettanto lassismo nell’accelerare le procedure burocratiche per gli interventi necessari?

Eppure già nella primavera di due anni i progetti ammessi erano già noti, in questi due anni cosa è stato fatto per vigilare e controllare la esecuzione dei lavori? Sia ben chiaro che da parte nostra dubitiamo di alcuni interventi decisi a tavolino e senza coinvolgere la popolazione che abita e anima certe aree cittadine. Nei giorni scorsi abbiamo letto articoli e prese di posizione di singoli cittadini che entravano nel merito di alcune opere contro il degrado criticandone la natura ornamentale ma assai disattenta alle problematiche sociali, basterebbe ricordare la concezione di panchine non funzionali al dialogo e alla convivialità, a quartieri ripensati ad uso dormitorio, con abitazioni troppo piccole e annullando l’agorà, lo spazio in comune, lo spazio di aggregazione al posto del quale troviamo fondi destinati al privato previo pagamento di affitti.

Un primo bilancio degli interventi realizzati partendo dalle 46 amministrazioni comunali beneficiarie dei finanziamenti sarebbe necessario e doveroso, uno dei compiti della politica e del sindacato ai quali non sottrarsi. Ma restando alle cifre o ai numeri, si capisce che meno di un quarto dei soldi previsti sono stati stanziati e impiegati per le opere previste, la memoria corre veloce ai tanti finanziamenti europei perduti dall’Italia per incapacità di presentare e gestire dei progetti, i ritardi non sono solo imputabili agli enti locali (che hanno perso intanto 80 mila dipendenti in meno di 10 anni) ma allo Stato.
L’invito della Corte è finalizzato a recuperare il tempo perduto e si chiede alla politica di snellire il quadro normativo di riferimento, entra in gioco un leit motive delle politiche liberiste per le quali lo Stato dovrebbe solo rimuovere gli ostacoli per la libera imprenditoria. Ma forse una buona parte dei ritardi non è imputabile agli orpelli burocratici ma alla assenza di figure professionali incaricati e formati per seguire la realizzazione di queste opere, all’idea che il degrado urbano poi si debba combattere solo declinandolo nella logica repressiva e securitaria.

In gioco sono molti fattori, non ultimo quelli di carattere urbanistico e sociale,  ripensare un quartiere dovrebbe essere un lavoro complesso e di squadra per assicurare scuole, servizi socio sanitari, spazi di socializzazione accessibili, non è possibile scaricare ogni responsabilità sulla lentezza della macchina burocratica, ai conflitti di competenze, sono in gioco le politiche urbane non riducibili solo a interventi edilizi ma ad un intervento sociale statale complessivo di cui invece si è perso traccia.

Un ruolo dirimente dovrebbe giocarlo il welfare, urbano o statale che sia, la mobilità intesa come presenza di servizi pubblici non sporadici ma funzionanti, lo Stato dovrebbe definire un quadro complessivo degli interventi stabilendo le priorità e gli ambiti di intervento dei soggetti privati, siano essi sociali o no. Invece di questa programmazione che parte dalla natura sociale degli interventi urbanistici si è persa traccia e la lotta al degrado viene praticata come esclusione degli ultimi dal contesto sociale. Del resto cosa possiamo attenderci da Governi per i quali la alta velocità diventa prioritaria in un paese nel quale si viaggia per centinaia di km con il binario unico o per raggiungere distanze di 100 km con i mezzi pubblici si impiegano 3 o 4 ore e incredibili odissee ?

Federico Giusti

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