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Reggio Calabria: privata dell’identità la detenuta rom deceduta al carcere di San Pietro

Spogliata della propria identità, etichettata come detenuta straniera e inserita, in maniera anonima, nelle statistiche dei decessi in carcere. Loredana Berlingeri era una cittadina italiana di cultura rom, che dopo aver vissuto per 44 anni con il pregiudizio riservato al suo gruppo è stata privata nella morte, delle sue origini, della sua storia e della cittadinanza italiana. Ma almeno davanti alla morte non dovremmo essere tutti uguali, cittadini liberi e detenuti, rom o meno? Se lo chiede la signora Giuliana, sorella di Loredana, che assieme all’Opera nomadi chiede che venga fatta chiarezza sulla morte della sorella avvenuta alla casa circondariale di via San Pietro, il 18 marzo.
“Non ci spieghiamo perché – afferma Giacomo Marino, presidente dell’associazione – tutti i media hanno dato la notizia della morte della signora Berlingeri come di una detenuta straniera. Se si è trattato un errore da parte degli organi della casa circondariale o come mai non si è provveduto a correggerlo? La categoria di detenuta straniera, è stata utilizzata con una connotazione tesa a spersonalizzare e annullare l’identità, in modo da evitare ogni possibile attenzione sulla persona. In questo modo la donna è diventata uno dei tanti casi di decesso, semplicemente un numero nella statistica”. Una rivendicazione che il presidente dell’Opera nomadi argomenta, “ogni detenuto che muore deve avere lo stesso rispetto che viene riservato ad una persona libera che muore, considerare i detenuti un numero e non come una persona porta a spersonalizzare anche l’approccio è una mancanza di rispetto”.
Ma quello sull’identità non è l’unico dubbio che accompagna questa vicenda: “Per questo caso bisogna chiamare in causa anche il diritto del detenuto ad essere curato adeguatamente. La signora Loredana – prosegue Marino – era affetta da una patologia grave che mal si conciliava con le condizioni di vita di un carcere sovraffollato. Non vogliamo entrare nel merito della pena, non sta a noi dare giudizi, ma il diritto alla salute che dovrebbe essere garantito ai detenuti? In carcere si dovrebbe scontare solo la pena a cui si è condannati e non un’altra aggiuntiva”.
E la sorella della signora Loredana conferma: “Mia sorella non stava bene, aveva avuto una paralisi facciale ed era seguita dai medici dell’ospedale “Riuniti”, avevamo chiesto più volte che scontasse la pena agli arresti domiciliari, ma non gli erano mai stati concessi” dice ripercorrendo i capitoli della storia della sorella condannata per furto, che ad agosto avrebbe scontato la sua condanna. “Sono andata a trovarla a colloquio qualche giorno prima e mi sembrava che stesse bene. Poi abbiamo saputo che mia sorella era morta tramite gli avvocati. Nessuno è venuto a spiegarmi cosa è successo e anche la richiesta di fare l’autopsia è stata negata. Io voglio sapere, qualcuno mi ha detto che due giorni prima mia sorella si è sentita male, se è vero perché non l’hanno portata in ospedale?”
“Di fronte a questo modo di gestire le cure di una detenuta malata – conclude Marino – chiediamo che la magistratura apra un’indagine sul caso per approfondire la vicenda”.
L’Opera Nomadi: stava male e non è stata portata in ospedale
Prima di morire è stata male ma il personale del carcere di Reggio Calabria non l’ha trasferita in ospedale. A denunciare la vicenda di Loredana Berlingieri, morta il 18 marzo scorso nel carcere di Reggio, è l’Opera Nomadi che chiede alla magistratura di aprire una inchiesta. “Loredana – afferma una nota dell’Opera Nomadi di Reggio Calabria – era affetta, ormai da tempo, da una grave cardiopatia tuttavia la sua condizione di salute era stata considerata compatibile con la situazione carceraria.
Da quanto riferiscono i familiari il 16 marzo Loredana si era sentita male, ma non è stata trasferita in ospedale dove poteva essere curata adeguatamente. Il tragico epilogo della morte ci fa capire che la sua condizione di salute non era compatibile con la condizione carceraria, soprattutto con la situazione carceraria che presenta oggi il carcere di San Pietro”.
“Lo stesso segretario aggiunto – prosegue la nota – del Sindacato autonomo di polizia penitenziaria, Giovanni Battista Durante, nel comunicato del 18 marzo lo ammette dicendo che molti detenuti soffrono di patologie che nel carcere non possono essere curate per carenza di mezzi e strutture adeguate. Spesso mancano le risorse economiche e le figure professionali adeguate. Di fronte a questo modo di gestire le cure di una detenuta gravemente ammalata, che si è concluso con la morte della stessa, l’Opera Nomadi e i familiari chiedono alla magistratura che si apra una indagine sul caso”. L’opera nomadi, inoltre, lamenta che sia stata data notizia della morte di una donna straniera quando invece non “vi è alcun dubbio della cittadinanza italiana di Loredana Berlingieri. La categoria di “detenuta straniera”, in questo caso come in altri, è stata utilizzata con una connotazione tesa a spersonalizzare ed ad annullare l’identità, in modo da evitare ogni possibile attenzione sulla persona”.
fonte: Gazzetta del Sud

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