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Quei migranti intrappolati tra Como e Ventimiglia

I dati del Brief Report di Weworld dopo la chiusura delle frontiere francesi e austriache

Città lasciate sole e senza sostegno del governo, violazione dei diritti, violenze e abusi dopo la chiusura delle frontiere. Lo denuncia il nuovo Brief Report dell’organizzazione umanitaria WeWorld redatto per la giornata internazionale dei migranti del 18 dicembre scorso. Con la chiusura delle frontiere da parte di Francia e Austria – si legge nel report – i migranti approdati sulle coste italiane si trovano intrappolati nel nostro territorio, senza possibilità di proseguire il viaggio verso altri paesi europei come invece avveniva prima di queste misure di irrigidimento.

A farne le spese sono soprattutto le città di frontiera, come Ventimiglia e Como, che si trovano a dover gestire i continui flussi di migranti che transitano da quei territori e vi si fermano temporaneamente, aspettando di varcare i confini. «Molto spesso sentiamo ripete la frase “emergenza migranti” ma ci teniamo a sottolineare che la chiusura parziale della rotta balcanica, non ha avuto influenze di rilievo sui flussi diretti verso l’Italia: i migranti arrivati sulle nostre coste nel 2016 sono 159.410, a fronte dei 153.842 arrivati nel 2015. Semmai è la chiusura delle frontiere che ha avuto forti ripercussioni sul contesto italiano: i migranti che sbarcano in Italia vi rimangono intrappolati», commenta Stefano Piziali, responsabile Advocacy e programma italia di We-World.

Il nuovo Brief Report di WeWorld evidenza come le iniziative restrittive da parte degli stati europei stanno avendo forti ripercussioni sui migranti stessi e i loro progetti migratori, sui paesi d’approdo come Italia e Grecia, e sulle città di frontiera, in particolare, come Ventimiglia e Como. Queste due città – sem- pre secondo l’organizzazione umanitaria – sono lasciate a sé stesse, senza un sostegno concreto da parte del governo centrale. L’istituzione dei campi di accoglienza della Croce Rossa, uno per città, risultano insufficienti e inadeguate, dettate più dall’emergenza del momento. Queste strutture, in pratica, non sono servite a risolvere la questione. Molti migranti, di cui la metà sono donne, bambini, bambine e adolescenti – nella maggior parte dei casi minori non accompagnati – continuano a stazionare in altri luoghi delle due città, più o meno informali, più o meno pubblici. I centri di prima accoglienza sono poco accoglienti, sovraffollati, con scarsità di servizi igienici. Inadeguati per accogliere, a maggior ragione se si tratta di persone vulnerabili e a rischio, come donne e popolazione under 18.

Le criticità principali che si riscontrano sono legate sia ai bisogni primari sia alla burocrazia perché – scrive l’organizzazione – anche quando i migranti sono a conoscenza delle procedure di regolarizzazione e avrebbero diritto alla relocation, spesso preferiscono rimanere irregolari a causa della lentezza delle procedure burocratiche per ottenere uno status regolare, sia in Italia sia all’estero ( tramite relocation). Come racconta Rashid: «Sono arrivato un mese fa, e solo qui a Ventimiglia ho sentito parlare del programma di relocation. Ho deciso di fare domanda ma sono sconfortato dai lunghi tempi di attesa». Finora, infatti, c’è stata la ricollocazione di soli 1.549 migranti dall’Italia ( sui 39.600 previsti) e di 5.437 dalla Grecia ( su 66.400 previsti).

Dal report di WeWorld si evince che sul totale dei migranti a Ventimiglia, quasi la metà sono donne ( 32,7%) e adolescenti ( 15,9%). E gli/ le adolescenti sono quasi tutti minori non accompagnati. Questi giovanissimi, al pari degli adulti, non hanno intenzione di rimanere in Italia, ma andare in altri paesi europei dove inoltrare domanda di protezione internazionale. Piuttosto che attendere un destino incerto, i migranti preferiscono allora rimanere irregolari e tentare di varcare i confini alla volta di altri paesi europei: a Ventimiglia solo il 7,5% dei migranti ha espresso il desiderio di fare richiesta di protezione internazionale in Italia.

Poi c’è il problema delle violenze e abusi. L’organizzazione del We-World evidenzia sempre tramite il report che gran parte dei migranti intrappolati in Italia hanno subito conseguenze devastanti di guerre, conflitti, assenza di democrazia e diritti umani nei paesi d’origine. Rischiano violenze e soprusi durante il lungo viaggio per l’Europa, ma anche in Italia. Il 24,30% dei migranti in transito a Ventimiglia ha apertamente dichiarato di aver subito violenza: in Libia, durante il viaggio sul barcone o in Italia, Grecia e Ungheria. Tra questi le donne sono il 27% e più della metà ( 67%) ha subito violenza sessuale in Libia. Le situazioni di Ventimiglia e Como non sono paragonabili a quella di Calais in Francia, ma rischiano di trasformarsi in qualcosa di simile se non si affronterà la questione a livello europeo. «Chiudere le frontiere non è una soluzione, e non fa altro che contribuire a peggiorare le condizioni di vita dei migranti, già segnate da lunghi viaggi ed esperienze traumatiche», denuncia sempre Piziali di WeWorld

Damiano Aliprandi da il dubbio

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