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Processo Uva: I periti confermano Giuseppe è morto per le violenze subite in caserma

L’udienza del processo Uva celebrata oggi, tanto attesa e tanto gravida di aspettative, si è conclusa in un clima abbastanza surreale.
All’inizio, quando il collegio ha preso la parola, i toni erano abbastanza tesi.
Il professor Santo Davide Ferrara ha cominciato esponendo in sintesi i risultati del lungo e faticoso lavoro del collegio peritale.
Le verità sono emerse gradualmente, inoppugnabili, inappellabili.

Sul corpo di Giuseppe Uva, persino a distanza di quasi quattro anni, sono ancora evidenti dei segni e delle lesioni, di origine sì incerta, ma che in qualche modo rimandano a quelle fatidiche tre ore trascorse in caserma. O meglio, si tratta di segni che possono essere spiegati solo producendo prove e documentazione – indagando a fondo quindi – sull’arco di tempo che Giuseppe ha trascorso con le forze dell’ordine. Ed è sempre in quei momenti che va ricercata l’origine della “tempesta emotiva” che ha portato il cuore di Uva a cedere.

Di responsabilità mediche, tema su cui si articola il processo, neanche a parlarne. Non esistono, perché tutto è stato fatto a norma: somministrazione di calmanti, analisi, radiografie e quant’altro. Parola di superperiti.

C’è una traccia in particolare, più evidente delle altre: delle grosse tumefazioni sulla calotta cranica, la cui origine lascia poco spazio a dubbi. Senza contare le altre lesioni sparse lungo tutto il corpo. Senza contare le macchie di sangue sparse sugli indumenti e le tracce biologiche di origine incerta, ma di certo non appartenenti a Giuseppe Uva. Il PM Agostino Abate ha interrogato i periti per quattro ore con l’unico scopo di confutare le loro conclusioni, ma col risultato di consolidarle ancora di più. Diverse volte, vista l’estrema meticolosità di alcuni quesiti posti dal Dott. Abate ai Professori, si sono registrati in aula momenti di ilarità.

Lo stesso giudice Orazio Muscato non si è tirato indietro, quando si è trattato di contenere l’ “esuberanza inquisitoria” del PM. Il momento clou della giornata è stato il tentativo del PM di produrre una consulenza, l’ennesima, firmata da un medico delle assicurazioni dell’ospedale di Varese. Richiesta respinta dal giudice.

Quello che doveva essere un colpo di scena, si è rivelato infruttuoso.

Il dettaglio che ha lasciato tutti perplessi, è che la nuova consulenza era frutto di indagini contenute in quel famoso fascicolo che il PM tiene ben chiuso in un cassetto da anni, a carico di ignoti. Uno scivolone? Un autogol? Si vedrà.

Sembrava una perizia ambigua quella dei tre professori, ma oggi in dibattimento non pochi dubbi sono stati spazzati via.

Solo uno resta irrisolto: cos’è successo in quella caserma?

Se lo sono chiesti i periti. Se lo chiede Lucia Uva da quattro anni, insieme ai suoi avvocati. Se lo chiedono le sorella di Lucia. Ce lo chiediamo tutti.
Uno dei periti, da noi interpellato dopo l’udienza, ha espresso senza mezzi termini tutti i suoi dubbi: “Noi non sappiamo cosa sia successo in quella caserma. Certo è che abbiamo un testimone che dice di aver sentito delle urla. Lo stesso testimone di cui abbiamo tutti sentito delle telefonate precise e circostanziate, effettuate prima che gli togliessero il telefono. Dei segni sul corpo. Una tempesta emotiva scattata nei momenti precedenti il ricovero. E poi, quei due cospicui ematomi sul cranio…”.

E si è allontanato sorridendo.
 
 
Adriano Chiarelli

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