Il tono è piatto, burocratico, grigio. Come se fosse la lettura di un atto amministrativo qualsiasi, di un verbale come un altro. Matteo Piantedosi – che non a caso prima di diventare ministro è stato per tanto tempo un prefetto -, ieri, è andato prima alla Camera e poi al Senato per informare «con urgenza» i parlamentari sulle manganellate prese dagli studenti a Pisa e a Firenze la settimana scorsa. E non sono arrivate scuse, nel senso di espressioni di dispiacere, ma solo scuse da intendere come giustificazioni.

QUINDI, «non bisogna fare processi sommari alla polizia», perché gli agenti «meritano il massimo rispetto». E il problema non risiede nelle violenze in divisa, ma casomai nel «clima di crescente aggressività nei confronti delle forze dell’ordine», che a dire del ministro potrebbe anche andare a peggiorare «per crisi internazionali, problematiche socioeconomico e impegni elettorali». Così, se da un lato Piantedosi si associa alle parole di Mattarella e concede che «quando si giunge al contatto fisico con ragazzi minorenni è comunque una sconfitta ed è necessario svolgere ogni verifica con puntualità obiettività e trasparenza», dall’altro segue il percorso giustificazionista tracciato da Meloni in persona: le manifestazioni toscane sono andate in scena «in totale violazione della legge». Per non parlare di chi è sceso in piazza: i quattro denunciati sono maggiorenni, «tutti con precedenti per reati attinenti all’ordine pubblico».

LA SPIEGAZIONE pratica di quanto accaduto è la stessa fornita lunedì in consiglio dei ministri: la manifestazione di Pisa non era autorizzata, né era stata fatta una qualche comunicazione alla questura. Piantedosi, appoggiandosi al Tulps, sostiene che si tratti di qualcosa di illegale, ma in realtà la Costituzione, all’articolo 17, dice che in Italia la riunione in luogo pubblico sarebbe libera. Per quello che riguarda Firenze, invece, il ministro giustifica le botte con il fatto che ci sarebbero stati «dieci minuti di pressione» dei manifestanti sul cordone degli agenti di polizia. Tutto regolare allora. E in ogni caso, «non vi è e mai vi potrà essere alcuna direttiva ministeriale né indicazioni volte a cambiare le regole operative di gestione dell’ordine pubblico». Spazio anche a un suggerimento: «Il rischio di scontri è pari a zero se i manifestanti non pongono in essere comportamenti pericolosi o violenti rispettando le regole». E infine il canonico invito ad «abbassare i toni».

PECCATO che ad alzare i toni siano soprattutto gli esponenti della destra, che approfittano di quanto accaduto mercoledì sera a Torino – una ventina di persone ha provato a bloccare una macchina della polizia per ostacolare un trasferimento in un Cpr. Risultato: cinque denunciati a piede libero – per accusare «la sinistra» di star organizzando autentiche campagne d’odio contro le forze dell’ordine allo scopo di delegittimarle, umiliarle, usarle come antagonista politico e chissà cos’altro. L’ineffabile vicepremier Tajani spiega quanto successo negli ultimi giorni facendo la parafrasi del Pasolini più bolso, quello di Valle Giulia: i poliziotti sono «figli del popolo e spesso quelli che li attaccano sono figli di papà radical chic, violenti che non hanno nessun rispetto della legge, dell’autorità dello Stato».

NESSUNO esprime una parola di solidarietà verso gli studenti feriti dalle manganellate, molti dei quali minorenni. «Fratelli d’Italia in una nota l’altro giorno ha detto che “la sinistra spalleggia i violenti ed è causa di questi disordini” – dice la segretaria del Pd Elly Schlein -. Sono parole irresponsabili, segno di una totale mancanza di senso delle istituzioni da parte di chi governa. Se c’è una parte politica che sta strumentalizzando in modo becero questi eventi che hanno scosso il paese è proprio il partito che esprime la presidente del consiglio, alla quale chiediamo di esprimersi finalmente su questo episodio».

MELONI, dopo i fatti di Torino, in effetti però aveva parlato. Non degli episodi toscani, ma di quelli torinesi. «Pericoloso togliere il sostegno delle istituzioni a chi ogni giorno rischia la sua incolumità» è il senso del discorso. Il fatto è che non si capisce a chi sia diretta la reprimenda, se alle opposizioni o se al presidente Mattarella. Probabilmente ai primi perché anche il secondo intenda.