Pacchetto sicurezza del Governo Meloni, intolleranza verso gli ultimi e libera circolazione di armi
- novembre 20, 2023
- in misure repressive, riflessioni
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Il governo Meloni presenta l’ennesimo pacchetto sicurezza il cui il principale intento non è pratico, ma propagandistico, e teso a disciplinare la vita pubblica secondo l’antico motto “legge e ordine”, pur sapendo che la promessa di sicurezza in cambio di libertà, durante una falsa emergenza, dissemina ingiustizia, rabbia e quindi genera insicurezza.
di Lorenzo Guadagnucci da PerUnAltraCittà
Ha scritto Miguel Benasayag, psicoanalista e filosofo militante, che la “promessa di sicurezza è una falsa promessa”: chiede in cambio un po’ di libertà e genera l’opposto di ciò che lascia intravedere; genera regolarmente insicurezza. Che altro pensare dell’ennesimo pacchetto sicurezza governativo? Stavolta la firma in calce è di Giorgia Meloni e dei suoi ministri, ma lo schema non cambia, dal “pacchetto Prodi” in poi. Era l’epoca dell’ordinanza fiorentina contro i lavavetri, della legittimazione della “insicurezza percepita”, nonostante l’inesistenza di un’emergenza criminale, come motivo sufficiente per inasprire le pene, colpire gruppi sociali marginali, offrire nuovi strumenti d’azione alle forze dell’ordine. Da allora abbiamo assistito a un’escalation senza fine, ultimo epigono l’attuale governo di destra-destra, che interviene da par suo, facendo gridare – inevitabilmente – al populismo penale, alla scure autoritaria, allo stato di polizia. Cambiano le norme, si inventano nuovi reati, si prevedono pene strabilianti, ma sempre dentro la medesima cornice di almeno 15 anni fa, fondata su tre presupposti: un’inesistente emergenza criminale o microcriminale; la proposta di uno stato forte, che usa il pugno di ferro contro devianti e disturbatori; il rifiuto d’intendere la sicurezza secondo la sua storica accezione di sicurezza civica e sociale, nell’uguaglianza e nella solidarietà.
Il governo Meloni presenta dunque i suoi disegni di legge, tanto banali quanto pericolosi (qui il comunicato di Palazzo Chigi); in attesa che il parlamento ne discuta, possiamo riassumerli, anziché punto per punto, ordinandoli secondo le minoranze colpite, le fattispecie evocate, i soggetti favoriti, sempre ricordando che il principale intento non è pratico, ma propagandistico, e teso comunque a disciplinare la vita pubblica secondo l’antico, sempreverde motto “legge e ordine”, pur sapendo che la promessa di sicurezza in cambio di libertà, durante una falsa emergenza, dissemina ingiustizia, rabbia e quindi genera insicurezza.
Indesiderati. Dice Palazzo Chigi, quasi con nonchalance, che “si modificano le norme relative al rinvio della pena per donne incinte e madri di bambini fino a un anno di età, in modo da rendere tale rinvio facoltativo anziché obbligatorio”, una norma tradotta non a torto dai media con il titolo: “più bambini in carcere”. Un’aberrazione. Ma anche un messaggio, perché lo spirito della norma non guarda ai bambini ma alle madri, in particolare alle madri rom, anzi alle “borseggiatrici rom”, simbolo mediatico e politico di infinite campagne sull’emergenza sicurezza in città. Quanti titoli, quanti articoli abbiamo letto sulle “ladre che appena prese tornano libere perché sempre incinte, sempre coi figli piccoli attorno”? Altre norme su misura, col medesimo obiettivo, prevedono “Daspo ad hoc” per impedire di avvicinarsi alle stazioni ferroviarie per “soggetti denunciati o condannati per reati contro la persona o il patrimonio” e l’innalzamento da 14 a 16 anni dell’età considerata per configurare il reato di costrizione all’accattonaggio. Insomma, fuori dai piedi i mendicanti e carcere più facile per le donne rom.
Disturbatori. Secondo i canoni del diritto, le norme dovrebbero avere caratteri “generali” e “astratti”, senza riferirsi cioè a casi specifici, ma come non pensare agli attivisti ecologisti di Ultima Generazione e altri gruppi – imprudentemente e colpevolmente definiti da molti media “eco-teppisti” se non “eco-terroristi” – di fronte alle nuove norme che prevedono la trasformazione in reato penale, da illecito amministrativo qual era, per i casi di “impedimento della libera circolazione su strada ordinaria” quando il fatto è compiuto “da più persone”. Una norma che potrebbe riguardare anche certe manifestazioni sindacali. Altri disturbatori individuati dal pacchetto sicurezza Meloni sono quei migranti e quei carcerati che non piegano la testa e magari cercano di protestare di fronte a costrizioni e angherie. Sembrano pensate per loro le norme che puniscono la “rivolta” (anche come “resistenza passiva”) nelle “strutture di accoglienza e di contrasto all’immigrazione illegale” e la configurazione in un nuovo reato, il “delitto di rivolta in istituto penitenziario”, una fattispecie di per sé superflua (sono in corso numerosi processi per reati compiuti da detenuti durante rivolte carcerarie), ma utile a marcare il territorio e mandare un messaggio esplicito alle forze di sicurezza, alle prese, a loro volta, con alcuni processi per il crimine di tortura, a seguito di fatti avvenuti proprio durante presunte o reali rivolte carcerarie. Altri disturbatori individuati con nuove norme ad hoc, sono gli “occupanti di immobili destinati a domicilio altrui”, una presunta emergenza delle cui dimensioni ben poco si sa e a prima vista coperta da figure di reato già esistenti.
Lisciare il pelo. Non si capisce la reale natura del pacchetto sicurezza Meloni senza leggere le norme dedicate alle forze dell’ordine, da tempo sotto stress per le carenze d’organico e altri deficit strutturali (nella formazione, nella trasparenza, nelle regole d’accesso, nelle retribuzioni), ma anche sfregiate, nella propria immagine e credibilità, da numerosi casi di conclamati e documentati abusi. Oltre a quanto già stabilito per il carcere, il governo Meloni prevede di aumentare ancora una volta le sanzioni per casi di resistenza, minaccia e violenza verso agenti in servizio e anche per “imbrattamenti” commessi con “la finalità di ledere l’onore, il prestigio o il decoro dell’istituzione cui il bene appartiene”, fino alla detenzione in caso di recidiva. E aggiunge, a sorpresa, la facoltà per gli agenti di pubblica sicurezza di “portare senza licenza un’arma diversa da quella di ordinanza quando non sono in servizio”, una misura di cui si è minimizzata la “ratio” (le pistole d’ordinanza sono ingombranti e scomode, ha spiegato il ministro dell’Interno Piantedosi), ma che pare, ancora una volta, un messaggio “da duri a duri”, o presunti tali, e anche un modo per legittimare la circolazione delle armi come strumento di autodifesa universale da non precisate minacce.
Il pacchetto Meloni include varie altre norme e fattispecie di cui ci sarà tempo per discutere in parlamento, ma ne varrà davvero la pena solo se prenderà finalmente forma, nelle aule di Camera e Senato e soprattutto fuori, una forte consapevolezza che serve a poco discutere dei singoli provvedimenti senza mettere in discussione la cornice che li rende possibili. Il bisogno di sicurezza – sociale, umanitaria, esistenziale – è reale per molte persone e dev’essere affrontato, ma fuori dal clima di fasulla emergenza e di concreta criminalizzazione di minoranze e disturbatori sgraditi, un clima nel quale siamo immersi da troppo tempo.
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