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No Tav, parte l’appello e torna l’accusa di terrorismo

“No Tav, sbagliato bocciare il reato di terrorismo”, tuonava il procuratore generale di Torino Marcello Maddalena nel gennaio 2015 all’inaugurazione dell’anno giudiziario, ad un mese dalla sentenza emessa dalla Corte d’Assise il 17 dicembre con l’assoluzione dall’accusa di terrorismo, già respinta per ben due volte dalla Cassazione. Il monito del PG torinese Maddalena assume un diverso significato, ora che è stato confermato che sarà proprio Marcello Maddalena a sostenere l’accusa nel processo di appello che si aprirà il 15 ottobre e che ancora una volta si svolgerà in aula bunker, cornice che ben si presta al sostegno dell’accusa e che ha già visto lo svolgimento del maxi processo terminato con la condanna di 47 attivisti il 27 gennaio 2015 per lo sgombero del 27 giugno e la manifestazione del 3 luglio 2011.

Vale la pena ricordare anche le parole di Caselli in un’intervista rilasciata alla rivista Affari Italiani nel gennaio 2015:

“Sull’accusa di terrorismo, sostenuta dalla procura di cui io ero capo ma poi anche dalla procura diretta dal mio successore e soprattutto avallata dal gip nel primo e nel secondo caso, quindi da un magistrato giudicante, non è stata confermata da altri magistrati giudicanti. Non si può che prenderne atto nel senso che nel nostro ordinamento l’ultima sentenza è quella che ha ragione anche se magari non sempre è quella giusta. Ma esaurito il discorso tecnico giuridico credo che non si possa dimenticare neanche per un momento che pretendere con la violenza di impedire la realizzazione di un’opera deliberata rispettando tutte le procedure in ogni sede competente, europea e italiana, significa mettersi contro e fuori dalla democrazia (ovviamente mi riferisco solo ai violenti tra i No Tav). Soprattutto quando si aggredisce un cantiere, come quello di Chiomonte, mettendo a rischio la sicurezza di onesti lavoratori, che sono lì per guadagnarsi la pagnotta, e dei poliziotti costretti a vivere asserragliati in quel cantiere per difendere il diritto di lavorare. Sono troppi coloro che, per miopia o peggio, dimenticano queste verità elementari.”

Gian Carlo Caselli ha lasciato la direzione della procura di Torino a fine 2013, ma è di ottobre 2012 il rapporto dei ROS nell’ambito dell’indagine “San Michele” portato solo di recente agli onori della cronaca, evidenziando le “aderenze politche” dell’imprenditore Ferdinando Lazzaro (Italcoge), con riferimenti al senatore PD (ultras sì TAV)  Stefano Esposito, un rapporto che probabilmente a suo tempo sfuggì all’allora procuratore torinese, a proposito di miopia.
La sentenza del 17 dicembre viene contestata dalla richiesta della procura per l’appello, evidenziando come la corte abbia “impedito alla Procura di provare il fondamento del costrutto accusatorio di cui al capo A [ terrorismo, ndr] escludendo, con provvedimenti motivati con argomentazioni criticabili e ridotte ai minimi termini, parte delle prove richieste, così pervenendo alle conclusioni raggiunte in assenza dei necessari approfondimenti istruttori”.
Nelle 130 pagine a firma Padalino e Rinaudo i pm torinesi criticano la Corte d’Assise, accusando i giudici di “fondare i proprio convincimento in modo avulso dalla realtà”,  e ribadiscono che  quello del 13-14 maggio 2013 “non può essere visto come un episodio avulso da uno specifico contesto nel quale è, invece, fortemente radicato, ma va inquadrato come una rilevante tappa dell’evoluzione, in lotta violenta, posta in essere dall’area più radicale ed oltranzista del Movimento NO-TAV, facente capo a settori antagonisti ed anarchici.”

Dal 1° gennaio 2012 l’area del cantiere è stata definita “di interesse strategico nazionale” e da quella data, secondo l’accusa, si sarebbero susseguite numerose azioni “non riconducibili a manifestazioni di mera critica od opposizione pacifica”, come attacchi al cantiere, danneggiamenti gravi, atti intimidatori contro enti o persone, attacchi informatici, missive intimidatorie, danneggiamenti o imbrattamenti contro sedi del PD, blocchi del traffico ferroviario/veicolare. Il tutto accompagnato da numeri che dovrebbero dare il quadro di uno dei movimenti più attivi, popolari e trasversali della storia dell’opposizione negli ultimi vent’anni nel nostro paese, ma per la procura Torinese sembra essere prioritario dividere i No Tav tra buoni e cattivi, e dimostrare che esiste «un’area marginale ma non trascurabile di soggetti anarchici che, operando su un doppio livello, palese e occulto, costituiscono una minaccia per le regole costituzionali del Paese puntando, attraverso atti di terrorismo, all’eversione del sistema democratico», come dichiarato da Marcello Maddalena in un documento citato in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario.

“Al fine di dimostrare che l’azione contro il cantiere di Chiomonte fu eseguita con la finalità di terrorismo da parte dei NoTav (tesi smentita dalla corte d’assise di Torino e per ben due volte dalla Cassazione) i pm Andrea Padalino e Antonio Rinaudo si aggrappano al caso Moro e agli attentati della jihad  ”rimproverando” i giudici che avevano assolto gli imputati dall’accusa specifica.” è quanto fa notare Frank Cimini, rimproveri che non risparmiano il sarcasmo nel ribaltare alcuni passaggi della sentenza con la quale i quattro no tav erano stati assolti dall’accusa di terrorismo.

“Il nemico assoluto.”
Nelle 130 pagine dell’appello le dichiarazioni spontanee dei quattro imputati sono riportate per dimostrare come “gli imputati, arrogandosi il potere di scegliere ciò che loro ritengono giusto a prescindere dalla legalità, quale espressione di principi democratici nei quali gli imputati non si riconoscono, utilizzano termini tipici della lotta di classe”. “L’inimicizia assoluta“, scrivono i due PM, “è verso il nemico assoluto“, in questo caso “individuato nell’organizzazione preposta alla realizzazione di un’opera che rappresenta quello Stato e tutte le sue manifestazioni, oggettive e soggettive, con cui non c’è dialogo. Il nemico assoluto.”
Anche nelle motivazioni con le quali era stata rigettata la richiesta di scarcerazione per Lucio, Francesco e Graziano ritroviamo una dura reprimenda per le dichiarazioni spontanee di Francesco e Lucio,  un “comportamento processuale” che, per la corte,  “denota la totale assenza di qualsivoglia indicatore di resipiscenza”.
Due ulteriori sviluppi giudiziari possono aiutare ad evidenziare il quadro di particolare accanimento contro gli imputati nei processi per il compressoricidio, rei di non aver dato alcun segno di pentimento ma, al contrario, di aver spiegato e rivendicato la loro partecipazione all’azione. Per Chiara il Tribunale di Teramo ha emesso sentenza di applicazione di sorveglianza speciale per diciotto mesi, misura che scatterà al termine della detenzione ai domiciliari.

E per Lucio, nel giorno in cui si attendeva l’esito del ricorso in Cassazione per l’accusa di terrorismo, sono invece scattati nuovamente gli arresti , a causa di una violazione delle restrizioni alla comunicazione che Lucio motiva, in una lettera, con “l’irrinunciabile necessità ad avere  vicini i propri affetti, con la consapevolezza dei rischi che questo può a volte comportare”.

Gli appuntamenti a TORINO e MILANO – 12 e 15 ottobre 2015
A Torino e Milano lunedì 12 i No Tav hanno organizzato due momenti assembleari di preparazione all’avvio del processo, ed il 15 ottobre in aula bunker è stato indetto un presidio dalle ore 9:00 in solidarietà con i quattro imputati, Chiara, Claudio, Niccolò e Mattia, e con Lucio, Francesco e Graziano giudicati con rito abbreviato, condannati a due anni e 10 mesi e attualmente ai domiciliari dopo oltre un anno di detenzione in regime di alta sicurezza.

Da Tg maddalena

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