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Multe, sequestri e confische. Decreto Piantedosi sulle Ong

Il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto legge sull’immigrazione che introduce nuove regole per le navi delle organizzazioni umanitarie attive nel Mediterraneo. Multe fino a 50mila euro e la confisca della nave per le organizzazioni umanitarie che non rispettano la nuova norma

di Giansandro Merli

Intorno alle 20 di ieri il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto legge sull’immigrazione che introduce nuove regole per le navi delle organizzazioni umanitarie attive nel Mediterraneo. Contestualmente a un’altra misura analoga che riguarda impianti di interesse strategico e nazionale. In una logica opposta a quella dei «porti chiusi» salviniani, il regolamento garantisce «transito e sosta in territorio nazionale» a condizione che le Ong rispettino sette requisiti. Questi varranno soltanto per i mezzi che effettuano attività di ricerca e soccorso di natura sistematica. In caso di violazioni sono previste multe fino a 50mila euro, il sequestro dei mezzi, fino alla confisca.

L’OBIETTIVO PRINCIPALE del governo è quello di impedire alle organizzazioni umanitarie di realizzare più soccorsi durante la stessa missione. Per questo il porto di sbarco va chiesto nell’immediatezza del primo intervento e raggiunto senza ritardo. Inoltre le modalità di ricerca e soccorso non devono aggravare situazioni di pericolo a bordo – tradotto: le navi non devono continuare a pattugliare le acque internazionali davanti la Libia con i naufraghi a bordo – e nel caso di operazioni plurime queste devono rispettare l’obbligo di notifica e quello di arrivo nel luogo di sbarco senza ritardo. Un punto, quest’ultimo, che risulta ambiguo e sembra voler ostacolare la possibilità, o meglio il dovere, di rispondere a casi Sar (search and rescue) ancora aperti dopo aver già effettuato un soccorso.

PER COMPRENDERE in pieno questa disposizione bisognerà vedere cosa accade in mare perché è proprio in casi simili che la normativa italiana potrebbe entrare in conflitto con quelle internazionali di rango superiore. Già da due settimane il Viminale ha adottato la prassi di indicare un porto, lontanissimo, subito dopo il primo salvataggio: mentre Life Support e Sea-Eye 4 navigavano verso Livorno hanno risposto a degli Sos salvando i migranti in pericolo su due diversi barconi. Difficile credere che con il nuovo regolamento sarebbe cambiato qualcosa: se il comandante non offre assistenza a chi chiede aiuto si macchia di omissione di soccorso.

ALTRI PUNTI del regolamento prevedono che le navi rispettino alcune condizioni di sicurezza e idoneità alla navigazione nelle acque territoriali e che i capitani raccolgano le intenzioni di richiesta di protezione internazionale tra i naufraghi e forniscano tutti gli elementi necessari a ricostruire nel dettaglio le fasi del salvataggio. L’aspetto che riguarda le richieste di asilo è controverso e rischia di aprire un nuovo scontro a livello europeo, se l’intenzione del governo è insistere affinché i paesi di bandiera delle navi, almeno quelli Ue, se ne facciano carico. Il secondo elemento si riferisce alla collaborazione dell’equipaggio nell’identificazione degli scafisti. Ruolo che non ha nulla a che fare con quello dei trafficanti, come spesso si crede, e tende a ricadere sui migranti più poveri che non riescono a pagare il viaggio o su quelli che hanno delle competenze nautiche di base. In ogni caso non sarà semplice per personale che non è formato a ruoli di polizia concentrarsi su questo aspetto.

LE MISURE PUNITIVE previste dal provvedimento saranno di tipo amministrativo, come già nei decreti sicurezza di Salvini e differentemente dalla riforma Lamorgese. È una questione centrale perché, oltre a privare le Ong delle più ampie tutele garantite dal diritto penale, assegna il potere di imporre le sanzioni ai prefetti. Rendendole dunque più efficaci. Quelle previste sono multe fino a 50mila euro, fermi amministrativi e addirittura confische delle navi in caso di recidiva. Da notare che nei casi di blocco dei mezzi è stabilito esplicitamente che i custodi dovranno essere armatore, comandante o altri soggetti obbligati in solido. Questo per scaricare su di loro le spese di custodia. Evidentemente il governo è memore dello schiaffo che il giudice per le indagini preliminari di Trapani ha dato alla locale capitaneria di porto stabilendo che, in quanto custode giudiziario, deve ristabilire le condizioni originali della nave Iuventa sequestrata ad agosto 2017.

Le reazioni al decreto

Per il giurista ed esperto di diritto del mare Fulvio Vassallo Paleologo, la norma porterà a nuovi contenziosi tra il governo e le ong: “L’indirizzo politico del nuovo decreto legge è evidente: un codice di condotta imposto per legge, per creare i presupposti di violazioni il cui accertamento, affidato ai prefetti, potrebbe portare alla confisca delle navi, e forse anche a nuove denunce penali”.

Ma per Vassallo Paleologo un elemento interessante è che la norma di fatto smentisce il presupposto difensivo usato dall’ex ministro dell’interno Matteo Salvini nel processo che si sta svolgendo a Palermo, in cui è accusato di sequestro di persona per il caso della nave Open Arms nell’agosto del 2019: “Le nuove previsioni normative – se non saranno modificate prima della firma del presidente della repubblica nel corso dell’iter parlamentare per la conversione del decreto – smentiscono le basi della difesa di Salvini nel processo Open Arms a Palermo, che si gioca per intero sulla legittimità del divieto di ingresso imposto dall’ex ministro dell’interno nell’agosto del 2019. Il decreto in definitiva riconosce, come peraltro impongono le convenzioni internazionali di diritto del mare, che il transito attraverso le acque territoriali per sbarcare i naufraghi in un porto sicuro è inoffensivo”, e quindi non è legittimo imporre divieti di ingresso, come fece Salvini nel 2019.

Oscar Camps, fondatore dell’ong Open Arms, ha commentato: “Questo è l’ennesimo decreto immaginato per fermare il soccorso in mare. Ci hanno provato tutti, con mezzi e metodi differenti, ma l’obiettivo è sempre stato lo stesso: fermare le navi umanitarie. Perché? È questa la domanda vera che tutti dovrebbero porsi. Sappiamo che le persone arrivano sulle coste italiane prevalentemente con mezzi autonomi, dunque questa guerra scatenata contro la società civile europea che soccorre in mare non dipende da questo. Ma allora da cosa? Il punto probabilmente è che la flotta civile rappresenta un problema che va ben oltre le operazioni di soccorso che opera. È la testimone inconfutabile delle violazioni dei diritti, quotidiane e reiterate, che l’Europa compie in accordo con stati illiberali, con dittature, con regimi, ai quali peraltro continua a dare un mucchio di denaro pubblico. Il vero problema è questo”.

Il nuovo Decreto Sicurezza approvato dal Consiglio dei Ministri del Governo Meloni non è altro che l’ennesimo tentativo di ostacolare e criminalizzare le attività delle navi della società civile. Nessun governo può impedire a una nave di sottrarsi all’obbligo di soccorso e nessuna nave si rifiuterà di accogliere chi chiede aiuto nel Mediterraneo centrale. Rispetteremo il diritto internazionale, come abbiamo sempre fatto” dichiara Sea Watch,

Analoghe le valutazioni di Riccardo Gatti, responsabile soccorsi di Medici senza Frontiere:  “Il decreto del governo ostacola i soccorsi delle navi umanitarie fino a renderli inefficaci o insostenibili. Di fatto queste nuove norme non risolvono il vero problema: le persone che muoiono in mare perché mancano i soccorsi. Lasciare scoperta la zona dei soccorsi e assegnare porti sicuri lontanissimi va a discapito della protezione della vita, aumenta il rischio di altre morti in mare, aumenta di quattro volte le spese per gli spostamenti e allontana testimoni scomodi: quando le navi delle Ong non sono presenti sembra che non succeda niente e invece continuano ad avvenire naufragi con morti e dispersi e respingimenti in Libia. Le navi della società civile inoltre sono dei presidi temporanei e per quanto ben attrezzate non sono adatte ad avere persone a bordo per lunghi periodi”.

Il 2022 si chiude con delle cifre drammatiche: quasi 1.400 persone hanno perso la vita nel Mediterraneo centrale solo quest’anno. Di fronte a questi numeri terribili, le disposizioni contenute nel Decreto sono inaccettabili perché – imponendo alle navi umanitarie di portare immediatamente a terra i naufraghi – di fatto riducono le possibilità di fare ulteriori salvataggi dopo il primo soccorso. Le conseguenze di questo provvedimento saranno l’aumento dei morti in mare e dei respingimenti verso la Libia ad opera della Guardia Costiera libica. Nel 2022, sono state oltre 20 mila le persone respinte in Libia” denuncia Emergency.

Ostacolare il lavoro umanitario, che ha come unico obiettivo la messa in salvo di persone, è inspiegabile se non in termini di consenso politico. Noi continueremo a salvare vite umane, nel rispetto del diritto internazionale e nazionale. Rispetteremo il codice di condotta solo qualora non entri in contrasto con norme di diritto internazionale e non smetteremo di credere che salvare vite umane è la cosa giusta da fare” conclude il comunicato di Emergency.

DAL DECRETO sono rimaste escluse, per dissidi tra i partiti di maggioranza, le misure contro baby gang, cyberbullismo e violenza sulle donne. Saranno discusse nelle prossime settimane.

da il manifesto

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il commento a Radio Onda d’Urto di Beppe Caccia, di Mediterranea Saving Humans. Ascolta o Scarica

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«La stretta sulle Ong mette a rischio i diritti umani»

Il portavoce del Coordinamento delle Ong spiega cosa sta succedendo: dall’attacco alle navi che salvano vite nel Mediterraneo fino al Qatargate

di Luca Liverani

«La campagna contro le Ong è un attacco a una forma avanzata di organizzazione democratica. Da parte della politica populista che mal sopporta i corpi intermedi e le organizzazioni che difendono di diritti di tutti». Raffaele Salinari, medico con esperienza pluridecennale nei paesi in via di sviluppo, da una vita nelle organizzazioni non governative, è il portavoce del Cini, il Coordinamento italiano delle Ong internazionali. E vede con preoccupazione l’attacco sistematico portato ultimamente contro questo mondo.

Prima il soccorso in mare accusato di complicità con la tratta. Poi le generalizzazioni sul caso Qatargate per le organizzazioni costruite per fare affari. Le Ong sono sotto attacco?

È un orizzonte più vasto, è la crisi stessa della democrazia, intesa come partecipazione dei cittadini alla vita civile. Le ong sono nate nel secondo dopoguerra, non a caso nelle democrazie occidentali, mentre sono ostacolate in ogni modo sotto le autocrazie proprio per la loro componente strutturale di democrazia.

Come in Afghanistan, dove Save the children è in difficoltà per il divieto alle donne di collaborare con le ong.

È l’ultimo in ordine di tempo, e fa parte delle repressioni del movimento di autodeterminazione delle donne che si sta verificando in Iran. L’attacco è anche a ciò che queste organizzazioni rappresentano, una forma auto organizzata di partecipazione dei cittadini al vivere civile.

Ma in Italia? Perché questo clima politico ostile?

L’attacco alle Ong in occidente ci consegna una fragilità crescente delle strutture democratiche. Le Ong sono la punta avanzata del protagonismo diretto dei cittadini. Un attacco costruito su falsi sillogismi: c’è una Ong creata per riciclare denaro, quindi tutte le ong riciclano denaro.

Chi lo fa cerca il rapporto diretto e non intermediato con l’opinione pubblica?

Cerca il rapporto populista con i cittadini, privati delle loro forme di auto-organizzazione, quindi più dirigibili, bersagli facili della propaganda. È preoccupante perché in Italia, come in quasi tutta Europa, le Ong e in generale il Terzo settore gestiscono segmenti importanti di welfare comunitario. Senza le Ong durante la pandemia, il sistema sanitario e assistenziale sarebbe collassato. Disconoscere il ruolo centrale di queste organizzazioni nell’organizzazione dei diritti fondamentali dello Stato punta a spezzare l’anello più esposto della catena, per rompere a cascata l’unitarietà dei diritti umani. È la politica che non vuole controllo né critiche. Un esempio? Nella legge di bilancio abbiamo ribadito il rispetto degli accordi internazionali sullo 0,7 % del pil in cooperazione allo sviluppo. Chi altro lo fa? Spesso dobbiamo fare i cani da guardia degli impegni internazionali, ma poi non restiamo a guardare. Vada in un campo profughi, chieda alle bambine afgane, a chi è stato salvato in mare, ai ragazzini di Scampia o dello Zen. Le risponderanno citando una Ong, una delle tante che non fanno “la carità”, ma fanno giustizia e pretendono il rispetto dei diritti.

Cittadini attivi per un forte senso etico?

Per un senso molto spiccato di alterità. Consapevoli che nessuno esce da solo dai problemi comuni. O tutti hanno gli stessi diritti e la stessa dignità, oppure si comincia ad escludere qualcuno per arrivare prima o poi ad escludere tutti.

Come la poesia del pastore luterano Niemöller: prima vennero a prendere gli zingari, e fui contento, poi gli ebrei e stetti zitti, un giorno vennero a prendere me, e non c’era nessuno a protestare.

Si comincia con i più deboli, si arriva prima o poi a tutti. Il Covid ad esempio ha evidenziato i danni causati da anni di smantellamento della sanità pubblica, data in pasto ai privati. Non siamo altruisti perché concediamo tempo e energie a qualcuno, siamo persone consapevoli che non si esce da problemi se non si agisce in modo organizzato. Pensiamo in un’ottica di solidarietà di specie e di biosfera. Quello che dice papa Francesco nella Laudato si’ e Fratelli tutti.

da Avvenire

 

 

 

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