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Militari stupratori: scempio agli eroismi de L’Aquila

La militarizzazione delle città in nome dell’emergenza sicurezza crea ovunque dei mostri. A Falluja come a L’Aquila. La denuncia arriva dal comitato aquilano 3e32: «I tre caporali del 33mo reggimento Acqui indagati per lo stupro di Pizzoli rientrano in servizio dopo un breve congedo nel giorno in cui lo stesso reggimento prende il posto degli Alpini nei servizi di pattugliamento del centro storico nell’ambito dell’operazione “Strade Sicure”. Ci sembra il minimo quindi chiedere al Reggimento Artiglieria Acqui e alle istituzioni competenti che i tre caporali indagati per il violentissimo stupro vengano immediatamente sospesi dal servizio in via precauzionale e che di questo venga reso nota pubblicamente».
L’antefatto: la notte dell’1 febbraio fuori da una discoteca del paese dell’aquilano. Il locale si chiama Guernica, come la città spagnola rasa al suolo dalle bombe naziste durante la guerra di Spagna. Per chi indaga sarebbe avvenuto uno stupro bestiale, così estremo che il capo di imputazione starebbe per tramutarsi da abuso sessuale e violenze gravissime in tentato omicidio.
L’ha trovata il buttafuori del Guernica, mezza assiderata, seminuda e sanguinante nel parcheggio ghiacciato. E’ di Tivoli, vicino Roma e studia nel capoluogo abruzzese. Ora è sotto choc in ospedale. Non riesce ancora a parlare con chi indaga ma ha detto che «quelli» la volevano uccidere. Ma il legale di uno dei quattro indagati parla di «atti amorosi» e di «rapporto consenziente».
Le ferite sulla ragazza? «Accidentali». Oltre ai tre soldati dell’Acqui è indagata anche la fidanzata dell’unico militare aquilano. Gli altri due vengono dalla Campania e uno di loro, 21 anni, avrebbe avuto macchie di sangue su un braccialetto, sulla camicia e sulla mano. I Ris non hanno dubbi: quel sangue è della studentessa quasi ammazzata dallo stupro di gruppo. E si cerca un corpo estraneo, un oggetto, che possa dar conto delle lesioni. Il 3e32 si è formato pochi giorni dopo il terremoto del 6 aprile di 3 anni fa.
«Il terremoto oltre agli squarci sui muri delle case e nelle nostre anime ha aperto una crepa anche nel muro invisibile che prima del 6 aprile ci teneva divisi – scrivono su un noto social network gli attivisti aquilani – un varco attraverso il quale s’è potuto sprigionare un potenziale che ha saputo resistere e crescere anche di fronte al grande esperimento di controllo sociale messo in atto sui nostri corpi in questo territorio a partire da quell’ora. Un potenziale da esprimere per affrontare la sfida e la lotta per una ricostruzione giusta e secondo i reali bisogni dei cittadini. L’Operazione “Strade Sicure” è un servizio di vigilanza e controllo della zona rossa aquilana, abbandonata a se stessa dagli stessi governi che hanno scelto di acquistare 131 F35 anziché ricostruire la città.
Checchino Antonini da globalist.it

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