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Milano: Il PD vota contro la proposta di dare la cittadinanza onoraria a Assange

No alla cittadinanza onoraria e no a esprimere contrarietà all’estradizione del fondatore di Wikileaks. Il Partito democratico si è opposto alla mozione di Europa verde, stravolgendola con due emendamenti: “Non si possono spiattellare documenti riservati così”

di Valeria Casolaro

A Milano il Partito democratico si è opposto a una mozione di Europa verde che proponeva il conferimento a Julian Assange della cittadinanza onoraria milanese e si opponeva alla sua estradizione dal Regno Unito agli USA, dove rischia ergastolo e pena di morte. I dem hanno preferito ridimensionare notevolmente la proposta, presentando due emendamenti per eliminare la richiesta di cittadinanza onoraria e il riferimento all’estradizione e preferendo puntare a un più neutrale accenno alla libertà di informazione. Ad opporsi agli emendamenti, oltre ai Verdi, due esponenti della maggioranza, che si vede dunque spaccata sull’argomento. Alla fine la mozione è stata approvata, seppur ridimensionata e privata del suo iniziale significato.

Spiattellare così documenti riservati non va bene, configge con il diritto di uno Stato a secretare cose che non vuole diffondere” ha commentato Daniele Nahum, del PD, aggiungendo che pur avendo “i suoi limiti”, gli Stati Uniti non sono certo “la Cina o la Russia”.

Come fa notare Francesca Cucchiara, consigliera dei verdi e ideatrice della mozione, “Non possiamo prendercela solo quando i diritti umani vengono violati da Paesi diversi dalle democrazie occidentali“, aggiungendo come quanto successo sia espressione di un chiaro timore di un incidente diplomatico con gli Stati Uniti. Di altro parere Lisa Noja, di Italia Viva, che ritiene che Assange abbia “messo a rischio la democrazia liberale”.

Va ricordato che i documenti pubblicati da Assange hanno permesso alla popolazione mondiale di venire a conoscenza dei crimini di guerra commessi dall’esercito degli Stati Uniti nel contesto delle guerre in Medio Oriente.

Il diritto alla libertà di informazione e alla libertà del giornalismo, così come la più generale lotta per i diritti umani, si delineano così più come argomenti politicamente efficaci da usare secondo necessità che dichiarazioni concrete d’intenti. A confermarlo, le affermazioni del capogruppo dem Filippo Barberis: “Le posizioni assunte dal Comune di Milano hanno una rilevanza che va al di là delle funzioni amministrative e giuridiche strette dell’ente, per cui occorre anche rispetto ed equilibrio nelle vicende su cui l’aula non si esprime”.

da L’Indipendente

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Julian Assange e quella strana idea che sia giusto secretare notizie sui crimini di guerra

di Riccardo Noury – portavoce di Amnesty International Italia

Il tema della cittadinanza onoraria dei Comuni italiani è spesso controverso: lo abbiamo scoperto, ultimamente, a proposito dei dibattiti sul suo conferimento a figure note come Liliana Segre o Patrick Zaki. Chiedono, pretestuosamente, i contrari: “Cosa ha fatto la tale persona per la nostra città?”

Ma a Milano, il 27 maggio, sulla proposta di attribuire la cittadinanza onoraria a Julian Assange, è successo qualcosa di diverso e particolarmente grave.

La domanda non è stata: “Cosa ha fatto per la nostra città?”. La risposta, peraltro, sarebbe stata davvero semplice: “Ha difeso la libertà di stampa nel mondo, quindi anche quella dei giornalisti italiani e dunque pure quella dei giornalisti di Milano e il conseguente diritto, pure dei cittadini milanesi, di ricevere informazioni”.

La domanda è invece stata: “Dobbiamo premiare chi ha rivelato segreti di Stato, conferendogli la cittadinanza onoraria e battendoci contro la sua estradizione negli Usa?”

Il dibattito all’interno del Consiglio Comunale ha dunque preso una china pericolosa.

Si è messo in dubbio, e alla fine quel dubbio ai voti ha prevalso, che informazioni di interesse pubblico relative a crimini di guerra possano (direi, debbano) essere rese note. Si è messo in dubbio che una persona che quelle informazioni le ha rese pubbliche vada protetta dall’estradizione e dal conseguente rischio di detenzione equivalente a tortura, processo iniquo e possibile condanna fino a 175 anni di carcere.

Tutto questo quando potrebbero mancare pochi giorni alla decisione della Ministra dell’Interno britannica Priti Patel sul futuro di Assange e della libertà d’informazione nel mondo. Anche in Italia e pure a Milano. Una brutta pagina, davvero.

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