«Migranti nel totale degrado» Le visite dei parlamentari Nugnes, Sarli, Suriano e De Falco. Acqua non potabile, caldo soffocante, zero socialità, abuso di psicofarmaci
di Giansandro Merli
Deliri psicotici, lamette ingerite, suicidi tentati, fiumi di psicofarmaci, acqua non potabile, mancanza di cure, degrado igienico-sanitario, socialità negata. E poi il caldo, che sta colpendo tutto il paese ma nei luoghi di coscrizione moltiplica le sofferenze, trasforma le celle in serre e il cibo precotto in poltiglia maleodorante. Sono alcune delle istantanee scattate dai parlamentari che nelle ultime settimane hanno visitato i Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di Caltanissetta, Gradisca d’Isonzo e Milano. Al loro interno hanno potuto ascoltare le storie individuali dei migranti trattenuti e verificare i problemi delle singole strutture, ma anche comporre una fotografia d’insieme del sistema della detenzione amministrativa.
Un unicum tra le ipotesi di privazione della libertà personale per due ragioni: non è motivata da reati o da finalità di prevenzione; è affidata a privati, sul modello statunitense, che nella gestione delle strutture perseguono i loro interessi economici. Secondo i dati del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Viminale, resi disponibili dal Garante nazionale, al 30 giugno scorso i reclusi nei dieci Cpr italiani erano 667 uomini e 5 donne. In tutto il 2021 sono stati 5.147. Di questi è stato espulso il 49%.
«LA SITUAZIONE è drammatica. Il caldo in questa parte di Sicilia è devastante e nella struttura non c’è un albero, un luogo dove prendere un po’ di fresco. Non ci sono tv, possibilità di distrarsi, leggere un libro», dice Simona Suriano, deputata del gruppo Manifesta. Giovedì è entrata nel Cpr di Pian del Lago, provincia di Caltanissetta, mentre fuori si teneva un presidio di solidarietà con i reclusi organizzato da Lasciatecientrare e altre associazioni. «Nei giorni scorsi ci sono state delle proteste. Ho visto persone con gli arti fasciati. N., 25 anni, ha pianto tutto il tempo. Diceva di essere stato picchiato. Le forze dell’ordine negano, ma interrogherò la ministra Lamorgese», continua.
ALL’ALTRO CAPO DELL’ITALIA, mille chilometri a nord-est, c’è il Cpr di Gradisca d’Isonzo. Ha riaperto a gennaio 2020 e da allora sono morte già tre persone: Vakhtang Enukidze, Orgest Turia e Anani Ezzeddine. Il 17 giugno scorso la senatrice Paola Nugnes (Misto) e la deputata Doriana Sarli (Manifesta) hanno effettuato un’ispezione. «Le persone sono chiuse in gabbie da sei. Non escono mai. Le finestre sono sbarrate da pannelli di plexigas che creano un calore assurdo. La situazione è oltre ogni limite», dice Nugnes. L’ispezione è durata otto ore. Non c’era il medico, ma solo un infermiere che secondo quanto riferito dall’ente gestore, la cooperativa Ekene che ha anche il Cpr di Macomer, rimarrebbe dentro per due-tre giorni con turni continui.
LE PARLAMENTARI hanno riscontrato molte difformità con il regolamento d’appalto. «Dal Viminale alla prefettura, dalla questura alle forze dell’ordine presenti c’è una catena di comando che dovrebbe rendersi conto della situazione. Che le cose non sono a norma non è un’ipotesi, è evidente alla vista», denuncia Nugnes. «La Ekene si chiama Onlus ma segue il modello del profitto: meno ti dà, più guadagna», sostiene Sarli.
«Un signore diabetico vomitava sangue. Non era curato e aveva smesso di mangiare per paura che gli salisse la glicemia. Un altro ragazzo non parla con nessuno, è inavvicinabile, ma urla tutta la notte: come può un paziente psichiatrico in uno stato psicotico così forte essere tenuto lì?», continua la deputata. Le parlamentari stanno preparando un esposto in procura e una relazione al Garante nazionale.
IL CPR DI VIA CORELLI, a Milano, è stato visitato il 29 maggio scorso dal senatore Gregorio De Falco (Misto) e dall’infettivologo Nicola Cocco, esperto di medicina penitenziaria. Rispetto alla precedente ispezione di giugno 2021 è cambiato il gestore, da Engel Italia a Martinina (peraltro con una procedura poco chiara), ma sono rimasti i problemi già denunciati nel rapporto Delle pene senza delitti. Tra questi: mancanza di visite specialistiche, assenza di medicinali, cibo scadente, limitazione del diritto alla difesa. Particolare degno di nota: l’ispezione non ha potuto accertare se l’acqua della struttura è potabile o meno, come farebbe pensare un cartello sul lavandino dell’infermeria. Il direttore del centro non ha trovato, né poi fatto avere, la certificazione di potabilità dell’acqua.
TRA LE PERSONE incontrate dalla delegazione tre ragazzi finiti dietro le sbarre dopo aver chiesto asilo in questura, un uomo che ha moglie e sei figli e risiede in Italia dal 1993, altri due che ci vivono da 22 anni. Emblematica la storia di D. D., egiziano di 28 anni. Il ragazzo ha terminato di scontare un periodo di detenzione nel carcere di Trento il 18 maggio scorso. Scarcerato per buona condotta non è stato rimesso in libertà, ma portato senza preavviso al Cpr di Milano. Qui non ha ricevuto le cure per la malattia di cui soffre, l’epilessia, e in 48 ore ha avuto due violente crisi. Una gli ha causato un trauma facciale.
In prigione D. D. aveva ottenuto la certificazione di italiano A2 e superato la terza classe dell’educazione per adulti. Aveva anche studiato tutto l’anno per un esame che avrebbe dovuto fare all’uscita. Alla data della prova, però, ha capito che dal Cpr non sarebbe stato portato a Rovereto per sostenerla. E ha tentato di uccidersi. Il caso si è chiuso solo grazie all’intervento del Garante nazionale, quattro giorni prima dell’ispezione di De Falco. Così D. D. è stato liberato, ha superato l’esame e si è ricongiunto con moglie e figlio. Ma resta irregolare e in qualsiasi momento può finire di nuovo al Cpr.
NUGNES, SARLI, SURIANO E DE FALCO concordano sul fatto che la detenzione amministrativa vada superata. I problemi non dipendono solo dalle singole strutture, ma da un sistema che toglie la libertà a chi non ha commesso reati. L’ultimo tassello del più ampio mosaico delle politiche anti-migranti che hanno creato i lager in Libia, trasformato il Mediterraneo in un cimitero e portato le frontiere fin dentro le città, intorno ai corpi degli «irregolari». I Cpr, si legge in un’anticipazione del report curato da De Falco che sarà pubblicato nei prossimi giorni, sono «la chiusura del cerchio di un preciso progetto di razzismo istituzionale di costante respingimento e rifiuto, che pretende di sanzionare con la privazione della libertà individuale un mero illecito amministrativo».
da il manifesto
Leave a Comment