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Livorno: negata sospensione della pena, detenuto calabrese di 38 anni muore all’ospedale

L’ultimo sorriso ieri pomeriggio in un ospedale di Livorno, dov’era stato ricoverato una manciata di giorni addietro ormai in fin di vita. Michele Bruni, 38 anni, s’è spento da detenuto. Nonostante le richieste degli avvocati Rossana Cribari e Nicola Rendace, che insistevano sull’incompatibilità del suo stato di salute con la detenzione, il gip di Catanzaro non aveva ancora reso nota la decisione.
Bruni, per tutti Michele ‘i Bella Bella, era perciò rimasto sotto stretta sorveglianza nel reparto di Rianimazione dove alle 16.30 ha esalato l’ultimo respiro, stremato da un male incurabile che lo ha ucciso in poche settimane.
Era finito dentro per l’ordinanza di custodia cautelare della maxi operazione “Telesis” con cui nei mesi passati la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro ha sgominato il clan Bella Bella con quarantanove ordinanze di custodia cautelare emesse anzitutto nei confronti dei fratelli Bruni: Luca, Fabio e, appunto, Michele. Nei giorni scorsi, però, con due diverse decisioni, la Corte di Cassazione aveva annullato con rinvio ad altra sezione del Tribunale della libertà di Catanzaro il provvedimento cautelare in cui era contestato ai tre il reato di associazione a delinquere di tipo mafioso. La Suprema Corte aveva accolto per tutti e tre il ricorso degli avvocati Rossana Cribari, Nicola Rendace e Luca Acciardi. Michele, quindi, era rimasto detenuto solo per associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di stupefacenti. Bella Bella junior era considerato il capo indiscusso del clan che alla fine degli anni Novanta era stato messo in piedi dal padre Francesco con un lungo a paziente lavoro di affiliazione.
Molti dei famigliari di Bruni erano da tempo a Livorno, da quando era stato trasferito dal penitenziario e ricoverato d’urgenza in ospedale. Ieri, dopo la notizia della morte, altri hanno raggiunto la cittadina toscana. Domani torneranno tutti in città perché alle 12 in Duomo si svolgeranno i funerali.
Punti cruciali del suo passato personale e giudiziario sono nel 2000 la fuga da una casa di cura catanzarese dov’era ricoverato, e nel 2010 l’assoluzione per l’omicidio di Antonio Paese avvenuto nel luglio ‘91 in città: le accuse nei confronti di Bella Bella sono crollate al termine del processo Missing. Lo accusava Erminio Munno, Erminiuzzo, il vecchio amico cresciuto in casa Bruni, che negli anni Novanta decise di cambiare vita cominciando a collaborare con la magistratura, accusandosi e accusando Michele del delitto Paese per il quale Munno è stato condannato con sentenza definitiva a otto anni di reclusione.
Il leader del movimento Diritti Civili, Franco Corbelli, interviene, dopo la morte del giovane detenuto cosentino Michele Bruni, di 38 anni, deceduto in ospedale a Livorno, città dove era recluso, del quale “per giorni avevo denunciato le sue disperate condizioni di salute e chiesto la scarcerazione, come un atto di giustizia giusta e umana, di pietà cristiana”. Corbelli, nella nota, esprime grande sdegno per quella che definisce una pagina nera della giustizia italiana, un fatto indegno di un Paese civile e di uno Stato di diritto. Esprimo tutta la mia indignazione per una giustizia che nel caso di Michele Bruni ha mostrato il suo volto feroce, ha dimostrato di non essere nè giusta nè umana. Sono stati calpestati i diritti elementari e fondamentali di una persona in fin di vita. Per molti giorni, dopo aver ricevuto la telefonata di un familiare del giovane detenuto, ho, da solo, insieme ai congiunti e ai legali del Bruni, denunciato e gridato che il Bruni era in fin di vita. Ho chiesto, invocato per lui un atto di giustizia, di umanità, di pietà cristiana. I miei accorati appelli sono purtroppo caduti nel vuoto. Mi vergogno come cittadino italiano di una Giustizia che impedisce ad un detenuto morente di trascorrere i suoi ultimi giorni di vita a casa, accanto al suo bambino anche lui molto malato”.
fonte: La Gazzetta del Sud

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