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L’«immigrazione clandestina», un reato irragionevole

Il reato di «immigrazione clandestina» introdotto dal pacchetto «sicurezza», ha spinto molte procure a sollevare dubbi di legittimità presso la Corte costituzionale. Gli ultimi casi, ieri, a Torino e Agrigento. «Da Agrigento a Torino, emergono le contraddizioni di un ‘reato’ allo stesso tempo incostituzionale e irragionevole»: l’avvocato Nazarena Zorzella, membro del direttivo dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione [Asgi], non è sorpresa dai rilievi di legittimità mossi alla Consulta dalle Procure di mezza Italia. «Il nuovo reato di immigrazione illegale – dice Zorzella – non ha giustificazioni: l’ingresso illegale in un paese non è in alcun modo indice di pericolosità sociale, la condizione necessaria per ogni fattispecie penale».Introdotto dall’articolo 10 comma bis della legge sulla «sicurezza» in vigore da agosto, il reato di «immigrazione clandestina» ha spinto molte Procure a sollevare rilievi di legittimità presso la Corte costituzionale. Gli ultimi casi sono di ieri. A Torino la Procura guidata da Gian Carlo Caselli ha scritto che le nuove norme prevedono sanzioni pecuniarie irragionevoli e inapplicabili e puniscono «una mera condizione personale dello straniero».Simili le preoccupazioni della Procura di Agrigento, intervenuta sul procedimento a carico di 21 migranti africani sbarcati nell’isola di Lampedusa. I magistrati siciliani segnalano il mancato rispetto degli obblighi internazionali assunti dall’Italia con il Protocollo Onu di Palermo del 2000 e denunciano l’incriminazione di persone che ci si è impegnati «ad assistere e proteggere».In un documento depositato dal procuratore capo di Agrigento, Renato Di Natale, si sottolinea che «il mancato rispetto delle norme sull’ingresso o la permanenza nel territorio dello stato non può essere di per sé indice di pericolosità sociale» e che la norma impugnata «viola i principi costituzionali di ragionevolezza e proporzionalità». Secondo Zorzella, il reato di immigrazione illegale «non ha significato in sé, perché non ha effetti né dissuasivi né punitivi». Il governo, questa la tesi della giurista, si è dotato di «uno strumento» che agevola i provvedimenti di espulsione e il conseguente divieto per i migranti di ritornare nei paesi europei dell’area Schenghen per 10 anni. Al di là degli aspetti prettamente giuridici, l’Asgi sottolinea le incongruenze di una legislazione italiana che da una parte impedisce l’immigrazione regolare e da un’altra criminalizza il «clandestino». «Le quote flussi non rispondono alle esigenze del mercato del lavoro – sottolinea Zorzella – mentre l’obbligo della chiamata nominale presuppone un incontro tra domanda e offerta a distanza, un assurdo di per sé».

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