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Legittima difesa e furto domestico, una proposta indecente

Nella formulazione originaria (del codice Rocco!), la disciplina contemperava in modo equilibrato la tutela del bene e i limiti di una reazione proporzionata. La proposta leghista prevede l’inasprimento delle pene, più che per reati come omicidio colposo, disastro doloso l’associazione per delinquere e stupro

A fronte della diminuzione dei reati predatori contro il patrimonio, ed in particolare di scippi e furti all’interno di abitazioni, in riferimento a questi ultimi la Lega ha presentato alla Camera un disegno di legge, n.274, per inasprire in senso repressivo-deterrente la normativa in materia. Viene proposta una modifica della disciplina relativa sia al furto domestico, di cui all’art.624-bis c.p., sia alla legittima difesa agita nei confronti degli autori di quel fatto, art.52 c.p.

Il problema non viene considerato dal punto di vista di un sistema penale, secondo moduli precostituiti e formalizzati, bensì come problema di singoli fenomeni criminali, per cui appare scontato liberarsi di impaccianti presupposti, quali ad esempio i principi costituzionali, per dare l’illusione di consentire un’azione quanto più rapida ed efficiente.

In realtà, diffuse esigenze di ‘sicurezza’, unitamente ad una caratterizzazione di forte alterità dal comune cittadino dei potenziali criminali (di solito tossicodipendenti, immigrati ed altri variamente ‘marginali’) rendono costoro soggetti a diritti minorati e fanno percepire principi e garanzie come dei veri e propri ostacoli ad una ‘effettiva lotta al crimine’. E tutto questo si verifica perché nella considerazione di fenomeni socialmente rilevanti si sta producendo un mutamento radicale di prospettiva in senso disumanizzante: dagli individui verso aggregati statistici del tutto impersonali – delinquenti presunti, migranti, zingari – che tuttavia hanno il trait d’union di rappresentare un rischio per una disinformata pubblica opinione. La sicurezza, allora, non è più la conseguenza di un ordine sociale teso alla giustizia, ma è l’esito di scelte politiche approssimative, orientate nel migliore dei casi alla riduzione del danno: esse, come l’esperienza ha già dimostrato, sono condannate al fallimento.

Appare esemplare la proposta in materia di legittima difesa e furti. La linea di politica criminale sottesa alla proposta si caratterizza, per una irragionevole ipervalutazione del patrimonio, a scapito essenzialmente di diritti fondamentali dell’individuo, compresa la vita e l’incolumità.

Nella formulazione originaria del codice penale – sì, proprio quella del codice Rocco! – la disciplina della legittima difesa contemperava in modo equilibrato la tutela con l’esigenza che la condotta della vittima, a difesa di un bene personale o patrimoniale, si mantenesse nei limiti di una reazione necessitata dall’impossibilità di rivolgersi all’autorità, nonché, sottolineo, proporzionata.
Sempre su iniziativa leghista, questo equilibrio era già stato alterato dalla riforma del 2006 che, nell’ambito di aggressioni realizzate in un contesto domiciliare (o in contesti a questo equiparati), aveva ampliato gli spazi della legittima difesa, in particolare in relazione alla tutela di beni patrimoniali, riducendo significativamente il potere discrezionale del giudice nella valutazione della proporzione tra aggressione e difesa.

L’attuale proposta amplia ancor più lo spazio applicativo della legittima difesa. Manca ogni riferimento alla proporzione, che non può essere dedotto da un implicito richiamo alla necessità. Si tratta, infatti, di requisiti che vanno distintamente evidenziati, essendo strutturalmente e funzionalmente diversi: all’interno di una situazione necessitata, può ben esservi una reazione sproporzionata. Senza il riferimento esplicito alla proporzione passa il messaggio della legittimità di qualsiasi, irragionevole reazione, anche a scapito della vita, per tutelare il patrimonio!
Va anche precisato che, al di là di ogni proclama demagogico, qualsiasi disciplina innovativa non potrà mai evitare che la vittima di un’aggressione sia indagata qualora l’aggressore sia ferito o ucciso, dal momento che dovranno comunque essere accertati gli elementi del fatto, in base all’art.112 Cost. ancora vigente.

L’altra parte della riforma riguarda l’inasprimento del già durissimo trattamento sanzionatorio previsto per furto in abitazione e scippo: la proposta leghista dispone la reclusione da cinque ad otto anni e, per le ipotesi aggravate, la reclusione da sei a dieci anni. Siamo veramente oltre i limiti della ragionevolezza, se paragoniamo queste sanzioni con quelle, inferiori, previste per la tutela di beni di significatività notevolmente maggiore rispetto al patrimonio. Penso all’omicidio colposo, alle lesioni dolose aggravate, all’associazione per delinquere, all’incendio, all’abbandono di persone minori o incapaci, al sequestro di persona, al crollo di costruzioni o altri disastri dolosi, allo stalking e alla violenza sessuale.
A ciò si aggiunga anche l’esclusione dell’applicabilità di misure alternative alla detenzione .

Rispetto alla riforma in materia di furti, l’aspirante legislatore vuole lasciare intendere che sia la vigente normativa, presuntamente poco severa, la causa del ricorrere del fenomeno e non, piuttosto, l’aggravarsi del disagio legato a tossicodipendenza, emarginazione, disoccupazione, espressivo del sempre più deciso – ed irresponsabile – abbandono di quell’ordine sociale equo e razionale alla cui realizzazione mirava l’ideale dello stato sociale di diritto. Ma questo è un addebito da muovere anche a quella classe politica che già da anni ha disatteso le aspettative di umanità e solidarietà tanto diffuse.

Sergio Moccia

da il manifesto

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