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Tra le vittime di Gaza famiglie intere, medici e ora anche poeti

Gaza, tra i 350 abitanti morti sotto le bombe negli ultimi due giorni c’è anche lo scrittore Refaat Al Areer: è un omicidio deliberato, dicono i palestinesi. Veto Usa all’Onu: no al cessate il fuoco

di Michele Giorgio da il manifesto

Per Ramy Abdul, docente di diritto e presidente dell’Euro-Med Human Rights Monitor, il bombardamento che due giorni fa ha ucciso a Gaza il poeta e intellettuale Refaat Al Areer non è stato casuale ma deliberato. «L’altro ieri – ha scritto Abdul su X (Twitter) – Refaat ha ricevuto una telefonata dai servizi segreti israeliani che gli dicevano di averlo localizzarlo nella scuola dove si era rifugiato. Lo hanno informato che lo avrebbero ucciso. (Refaat) È uscito dalla scuola per non mettere in pericolo gli altri, alle ore 18 è stato bombardato l’appartamento di sua sorella in cui sono rimasti uccisi lui, la sorella e i suoi quattro figli».

A Gaza credono che nei passati due mesi bombe sganciate dai jet israeliani abbiano preso di mira alcune delle espressioni più brillanti della società civile palestinese. Alla morte era scampato per miracolo qualche settimana fa Raja Sourani, storico attivista dei diritti umani. Privo di vita invece è stato estratto dalle macerie, qualche giorno fa, Sufian Tayeh, presidente dell’Università islamica e scienziato con rapporti con atenei di tutto il mondo. Ora Refaat Al Areer.

POETA, romanziere, traduttore e professore di letteratura che ha ispirato una generazione di scrittori palestinesi a Gaza, Al Areer è stato l’editore di Gaza Writes Back, una raccolta di racconti di giovani scrittori tradotta anche in italiano. E anche uno dei fondatori di We Are Not Numbers, una piattaforma per i giovani di Gaza che non vogliono essere considerati solo dei numeri in elenchi di vittime. La sua passione era la lingua inglese.

«Per Refaat, l’inglese era uno strumento di liberazione, un dispositivo di teletrasporto che sfida le recinzioni israeliane e il blocco intellettuale, accademico e culturale di Gaza», raccontava ieri Jehad Abusalim, uno dei suoi studenti. «Se devo morire, lascia che porti speranza, lascia che sia una favola. Tu devi vivere, raccontare la mia storia, vendere le mie cose», aveva scritto Al Areer il 1° novembre manifestando una tragica premonizione.

«Non siamo numeri» insisteva Al Areer parlando della gente di Gaza. Non è facile, di fatto impossibile, raccontare la storia dietro ogni vittima innocente di questa guerra mentre le cifre di morti e feriti salgono senza sosta in questi giorni in cui l’offensiva di terra israeliana travolge il sud di Gaza.

Il numero delle persone uccise dal 7 ottobre è aumentato a 17.487, migliaia sono ragazzi e bambini, secondo gli ultimi dati del ministero della Sanità a Gaza. Altre 46.480 sono rimaste ferite. Decine di persone sono morte ieri in un attacco aereo israeliano contro una casa accanto all’ospedale al-Amal e al quartier generale della Mezzaluna Rossa a Khan Younis.

«Il bombardamento ha rotto porte e finestre, oltre a provocare il panico tra i 14.000 sfollati che vi sono rifugiati», ha scritto il servizio di soccorso. Esplosioni ravvicinate hanno causato danni anche all’ospedale Yafa. Nell’ospedale di Rafah, avverte il dottor Salah Al Jafari, non ci sono più letti di terapia intensiva. Al Jazeera ieri riferiva che 350 palestinesi sono stati uccisi tra giovedì e venerdì mattina, in 450 attacchi aerei, di artiglieria e di carri armati – dato diffuso dell’esercito israeliano – avvenuti in prevalenza a Shujaye, ad est di Gaza city e a Khan Yunis dove si concentra l’avanzata dei reparti corazzati israeliani.

UN RAID AEREO ieri ha ucciso cinque membri della famiglia Abu Mustafa, e due donne e un bambino della famiglia Abu Jadallah. Dopo gli arresti nella scuola di Beit Lahiya, con decine di uomini portati via seminudi su camion militari, i soldati hanno preso altre dozzine di uomini sfollati in tre scuole di Gaza city e in una clinica. Sono stati portati in basi militari per essere interrogati come sospetti membri di Hamas. Decine di famiglie rimaste senza casa, intanto rientrano nell’ospedale Shifa occupato nelle scorse settimane dai militari israeliani alla ricerca di una base di Hamas. La primaria di ginecologia dello Shifa, Nahed Harazin, è morta con tutta la sua famiglia in un raid aereo.

I comandi militari sostengono che a Khan Yunis si troverebbe il grosso delle infrastrutture di Hamas. Per questo motivo, i combattenti del movimento islamico concentrerebbero la loro resistenza in questa città dove fino a qualche giorno fa vivevano 400mila abitanti e almeno 200mila sfollati dal nord di Gaza.

Abu Obeida, il portavoce delle Brigate Qassam, il braccio armato del movimento islamico, affermava ieri che Hamas ha sventato un blitz per il recupero di un soldato preso in ostaggio il 7 ottobre e di aver causato perdite al commando israeliano. Ha aggiunto che Hamas ha distrutto completamente o parzialmente 132 veicoli militari nelle ultime 72 ore. Sono più di 90 i soldati morti in combattimento.

Secondo alcune fonti, Israele starebbe facendo uso dell’intelligenza artificiale e di nuove armi a Gaza. E continuerà a farlo nelle prossime settimane. Secondo la rivista statunitense Politico l’Amministrazione Biden vuole che Israele metta fine alla sua offensiva entro dicembre o all’inizio del prossimo anno.

Fino ad allora darà appoggio all’offensiva israeliana perché punta a «distruggere Hamas» e si opporrà ad un cessate il fuoco generale. Quanto al ruolo dell’Autorità Nazionale di Abu Mazen nel futuro di Gaza, il premier palestinese Mohammed Shttayeh, intervistato da Bloomberg, ha detto che Hamas non sparirà come vorrebbero Israele e Usa. Piuttosto il movimento islamico deve far parte della vita politica palestinese entrando nell’Olp.

IERI al Consiglio di Sicurezza Onu è andata in scena una lunga trattativa intorno alla risoluzione degli Emirati, che chiedeva il cessate il fuoco immediato a Gaza, il rilascio degli ostaggi israeliani e l’accesso umanitario senza limiti. Mercoledì il segretario generale Guterres aveva invocato l’articolo 99 della Carta delle Nazioni unite per sollecitare il mondo a impedire una catastrofe a Gaza.

Guterres ieri è intervenuto di nuovo per ribadire che l’attacco di Hamas in Israele «non potrà mai giustificare la punizione collettiva del popolo palestinese». «Gli occhi del mondo e gli occhi della storia ci guardano. È tempo di agire», ha ammonito. Non è servito: come ampiamente previsto gli Stati uniti hanno messo il veto, affossando la risoluzione. Londra si è astenuta. Il resto del CdS aveva votato a favore.

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