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Le procure contro le lotte dei lavoratori. Piccoli laboratori repressivi in vista dell’autunno?

Una ventina di giorni fa scrivevamo dell’operazione giudiziaria da parte della Procura di Piacenza nei confronti dei lavoratori e delle lavoratrici della TNT-Fedex dopo un duro sciopero che aveva portato a due delegati sindacali di Si.Cobas ai domiciliari, 5 divieti di dimora, 6 avvisi di revoca dei permessi di soggiorno, 21 indagati con possibili misure di sorveglianza speciale.

Il mondo dell’autorganizzazione aveva dato una pronta risposta con una manifestazione a Piacenza il 13 marzo che aveva portato in piazza un buon numero di lavoratori e lavoratrici nonostante le misure restrittive dovute alla pandemia.

Di pochi giorni fa la buona notizia che il Riesame di Bologna ha revocato le misure cautelari dei domiciliari per Mohamed Arafat e Carlo Pallavicini che rimangono indagati, ma a piede libero. Pallavicini è stato molto esplicito definendo l’intera operazione una vera e propria porcata.

Ma non è finita, nel momento in cui un braccio della tenaglia repressiva Stato-multinazionale sembra allentarsi arriva una nuova bomba con la dichiarazione da parte di TNT-Fedex dell’intenzione di chiudere l’hub piacentino mettendo a repentaglio centinaia di posti di lavoro nel quadro di una più generale ristrutturazione in Europa che vedrebbe bruciarsi ben 6.500 posti di lavoro.

Lascia più di un sospetto la coincidenza tra gli arresti e l’annuncio di chiusura da parte di uno dei colossi della logistica.

Ma non è finita.

Di qualche giorno fa anche la notizia che 5 lavoratori del CALP, il Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali di Genova sono stati indagati dalla Procura della città ligure per il surreale reato di associazione a delinquere nel quadro di indagini sull’opposizione e boicottaggio dei lavoratori al trasporto d’armi da parte di alcune navi dirette nel Golfo e su mobilitazioni antifasciste tenutesi in città nell’ultimo periodo.

Nel suo comunicato il CALP afferma tra le altre cose:

La Digos ha perquisito le case di alcuni compagni del Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali di Genova (CALP) su ordine della Procura. I reati contestati riguardano la attività sindacale e antimilitarista in porto, con preciso riferimento alle lotte nei confronti delle navi saudite Bahri con i suoi carichi di armi pesanti e esplosivi destinati alla guerra in Yemen e in Siria.
Dallo sciopero indetto due anni fa per bloccare un carico destinato alla guerra in Yemen su una Bahri, a oggi, passando per la manifestazione di un anno fa contro il transito di esplosivi a bordo di un’altra Bahri dagli USA diretto alla guerra siriana, gli armatori sauditi attraverso l’agenzia genovese Delta e il Terminal GMT avevano chiesto a più riprese alla Procura la testa dei portuali del CALP. Per quale colpa?
La colpa di avere messo in pratica in questi due anni, con le associazioni e i movimenti contro la guerra e per i diritti civili ciò che il Parlamento ha approvato poco dopo lo sciopero nel porto di Genova del 2019 e confermato alla fine del 2020: lo stop alla vendita di bombe e missili ad Arabia e Emirati, utilizzati per colpire la popolazione civile in Yemen.

Insomma, i lavoratori, con la loro azione avrebbero addirittura anticipato la sacrosanta decisione poi presa dalla politica istituzionale di bloccare la vendita di armi impiegate nella terribile guerra in Yemen con il surreale scenario che vede i pacifisti indagati e i trafficanti impuniti.

Al di là delle singole indagini però lo scenario che sembra apparire all’orizzonte desta più di una preoccupazione e configura dei veri e propri piccoli laboratori repressivi da parte di varie procure in giro per l’Italia che sembrano testare la forza e la resistenza dei lavoratori più determinati in vista di un autunno che, con la probabile fine del blocco dei licenziamenti e della Cig Covid, rischia di essere tutt’altro che tranquillo.

da MilanoInMovimento

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