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L’antimafia oltre l’emergenza

Intervista a Umberto Santino del Centro siciliano di documentazione  Giuseppe Impastato.

intervista a cura di Salvatore Palidda

umberto santinoUmberto Santino è autore di tanti libri, alcuni firmati con Anna Puglisi, tutti produzione del Centro di documentazione sicilianoGiuseppe Impastato». L’ultimo è “Mafie: a che punto siamo? Le ricerche e le politiche antimafia” (a cura di Umberto Santino, di Girolamo editore, 2022); in esso si presentano gli atti del convegno organizzato dal Centro e dal Dipartimento “Culture e società” dell’Università di Palermo, per il quarantennale dell’attività del Centro. In particolare è a Santino che si deve la teoria del “paradigma della complessità” per l’interpretazione del fenomeno mafioso basata soprattutto sull’ipotesi che sia il risultato della relazione interattiva tra criminali, soggetti sociali ed economici, aspetti politici e anche culturali; così egli analizza non solo le organizzazioni criminali propriamente dette, ma anche il contesto sociale nel quale operano, arrivando quindi a definire il concetto di “borghesia mafiosa”. Si potrebbe dire che tale “paradigma della complessità” raggiunge la teoria della complessità di Edgard Morin e tutto ciò che rinvia alla pluridisciplinarità. Ma va ricordato anche un altro approccio (complementare) che propone di considerare la mafia in riferimento al ruolo di power-brokers (intermediari del potere in tutti i campi) che le classi dominanti siciliane – ma anche di altri paesi dei Sud – adottano al fine d’arrivare ad avere l’autonomia di gestione della società locale nella negoziazione con il dominante straniero di turno che da sempre s’impone nel Mediterraneo e in Italia (vedi qui). Si può allora superare il dilemma – che sulla definizione della mafia alcuni autori sembrano voler coltivare perpetuamente – seguendo con coerenza una prospettiva pluridisciplinare che comprende anche la storia del processo dell’organizzazione politica della società (anche prima della configurazione dello Stato moderno e contemporaneo); la mafia appare allora un power broker abile nella “rendibilizzazione” economica e politica della violenza e della minaccia di morte e la capacità di uccidere. Il power broker mafioso è quindi un “attore politico totale” che può passare continuamente dal “pastoralismo” al dominio brutale. Questo spiega la riproduzione continua della-marginalità dei Sud e della Sicilia e come la mafia vi contribuisce. I Sud diventano eterotopie, terre di nessuno, ma prede di tutti i dominanti.

La pubblicazione degli atti del convegno del Centro Impastato nel suo quarantennale cade purtroppo nel momento in cui gli amici della mafia hanno vinto le elezioni a Palermo e alle regionali siciliane. Ovviamente questa pubblicazione non poteva affrontare questo fatto di attualità. Allora cosa ne pensi? È una sconfitta della lotta antimafia da parte della giustizia e da parte dei militanti antimafia? Come spiegare questo fatto? Quali sono i processi che ne hanno permesso il successo?

Il fatto più grave mi sembra quello che è avvenuto alle elezioni amministrative di Palermo. L’indicazione, o imposizione, di un candidato vincente si deve a Dell’Utri, condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa. Contestualmente, c’è stato un apporto consistente di voti da parte di Cuffaro, condannato per favoreggiamento aggravato. Entrambi hanno scontato la pena e sono interdetti: non possono né votare né candidarsi. Se Dell’Utri è riuscito a comporre le risse all’interno del centro destra è perché gode del prestigio di fondatore di Forza Italia, la tifoseria berlusconiana che ha segnato un ventennio di vita politica e ancor’oggi ha un ruolo significativo nello schieramento di destra. Cuffaro è stato il creatore di un sistema clientelare capillare e, nonostante la condanna e gli anni di carcere, è riuscito a rilanciare una sua Democrazia cristiana e a superare lo sbarramento del 5%. E pare che sia solo l’inizio.

Non riterrei questi dati di fatto come una sconfitta della giustizia o del movimento antimafia. Bisogna guardare alla società nel suo complesso. In questi anni si è coltivata un’immagine di Palermo più rispondente ai desideri che alla realtà. La Palermo “capitale italiana della cultura”, con sfoggio della “grande bellezza”, un’isola pedonale forse la più grande d’Europa, è una città popolata da una borghesia, in buona parte mafiosa, che in qualche modo regge alla crisi prodotta dalla pandemia e ora dalla guerra; da una massa di ceti medi impoveriti, di disoccupati, precari, lavoratori in nero. Orlando, dopo aver battuto il record delle sindacature, abbandonato da ex fedelissimi che sono saltati sul carro dei probabili vincitori, ha lasciato una città vicina al fallimento, con un’amministrazione a ranghi ridotti e incompetente, con lavori in corso che non finiscono mai, stracolma di rifiuti, con più di mille bare insepolte. Con un’astensione del 60% (227677 votanti ossia il 41.85% su 543.978 aventi diritto, Lagalla ottenne 98576, 47,7% dei votanti, il candidato della coalizione di sinistra 61083, 29,55%, il terzo Ferrandelli 29389, 14,2). Ciò dimostra una diffusa estraneità alla vita comunitaria, Lagalla è stato votato anche perché era il candidato delle destre, “uno che conta”: è stato rettore dell’Università, assessore regionale, ha un suo ruolo nel contesto sociale, mentre il candidato del cosiddetto centro sinistra, che si è fermato a 19 punti in meno, era da tempo lontano dalla vita politica e non aveva nessun rapporto con il territorio. Il problema è politico, cioè il vuoto politico nel centro sinistra, in particolare nel Pd che non aveva un progetto credibile, fondato su un’analisi della realtà.

Questo vale pure per le elezioni regionali: con un astensionismo del 52% (alle politiche sarà del 45% – media in Sicilia -, con punte del 60% al Sud) il fratelditalia Musumeci è stato sostituito da uno stagionato forzaitalioto, Schifani, ex presidente del Senato, anche lui con qualche problema con la giustizia. Anche qui non c’era partita; non so se ci sia stato bisogno della regia di Dell’Utri, ma Cuffaro ha replicato con successo la sua parte. La candidata del centrosinistra era assente e inconsistente e il rapporto con i Cinque stelle, codificato con le primarie, è stato disdetto da Conte, che avrebbe fatto bene a non prendere l’impegno di stare in Sicilia nella coalizione col PD prima di sapere come sarebbe andata a livello nazionale.

Riguardo alla giustizia, bisogna ricordare che il maxiprocesso ha condannato capi e gregari, ma si è dovuto fermare all’ala militare. Il pool antimafia è stato sciolto perché l’esito del maxiprocesso poteva preludere a un passo in avanti rispetto all’individuazione di mandanti e depistatori esterni. Falcone ha dovuto lasciare Palermo ma ha costruito l’architettura della nuova strategia antimafia, con la Procura nazionale antimafia, affiancata dalla Direzione investigativa antimafia. E poi ci sono state le stragi. In seguito c’è stata, da parte degli organi investigativi, una buona attività di monitoraggio, grazie anche alla collaborazione di qualche pentito, che non ha consentito a Cosa nostra di ricostituire la cupola, l’organo di comando.

Il movimento antimafia ha continuato il suo lavoro su terreni ormai standardizzati: la scuola, l’antiracket, l’uso sociale dei beni confiscati. L’ancoraggio al territorio delle associazioni antimafia c’è in qualche misura, ma per scalzare la signoria mafiosa occorrerebbe una strategia di lungo periodo, che dovrebbe coinvolgere istituzioni, soggetti politici, società civile, con presidi permanenti, servizi, preferibilmente autogestiti, quella che si chiama “cittadinanza attiva”, un’economia in grado di soddisfare bisogni, a cominciare dal lavoro, sottraendo buona parte della popolazione all’economia e alla sudditanza mafiose. Come dire: progettare e realizzare alternative, praticamente una rivoluzione. Questo vale non solo per la Sicilia, ma per tutte le situazioni in cui prosperano le mafie. Ma non c’è volontà politica, non ci sono le forze né le condizioni favorevoli.

A tuo avviso non ci sono stati limiti ed errori da parte della lotta antimafia?

Passata l’emergenza stragista, si sono configurati due scenari: il depistaggio per la strage di via D’Amelio, con l’esclusione di ogni responsabilità dei magistrati, il processo per alcuni appartenenti ai servizi segreti conclusosi con l’assoluzione. La verità è e resterà lontana. Il processo per la trattativa ha visto in primo grado la condanna di soggetti istituzionali e di mafiosi, in appello l’assoluzione dei primi e la condanna dei secondi. Non so cosa farà la Cassazione.

I problemi più grossi, di cui si parla anche nel libro Mafie: a che punto siamo?, riguardano la riforma della giustizia, con il problema della prescrizione, il timore di una limitazione dell’indipendenza della magistratura, le penose vicende delle correnti e del CSM (Consiglio superiore della magistratura). E la Corte costituzionale e la Corte europea dei diritti dell’uomo hanno posto il problema dell’ergastolo ostativo per i mafiosi che non collaborano. Si scontrano due visioni: una che considera la mafia operante e pericolosa anche quando non compie delitti e stragi; l’altra che la riduce a fenomeno emergenziale, legato alla violenza più o meno eclatante.

Nel movimento antimafia ci sono stati personaggi che più che “professionisti dell’antimafia” si sono mostrati “mascalzoni dell’antimafia”: un dirigente del movimento antiracket che praticava l’estorsione, altri che hanno approfittato del loro ruolo nell’antimafia per creare un sistema di potere o hanno gestito uffici di rilievo strategico come l’amministrazione giudiziaria delle imprese confiscate con metodi personalistici e clientelari [fa allusione all’incriminazione di Montante, ex-presidente di Sicindustria, condannato a 8 anni per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e accesso abusivo al sistema informatico. Condannati anche alcuni componenti del suo “cerchio magico”, accusati a vario titolo di corruzione, rivelazione di notizie coperte dal segreto d’ufficio e favoreggiamento. A 5 anni è stato condannato il capo della security di Confindustria Diego Di Simone. La giudice incaricata della gestione dei beni confiscati, la magistrata Saguto è stata condannata a 8 anni, 10 mesi e 15 giorni per corruzione, concussione e abuso d’ufficio … aveva gestito in modo clientelare i beni sequestrati alla mafia scegliendo come amministratori giudiziari dei professionisti amici in cambio di favori e ricche regaliendr]. Libera ha il quasi monopolio delle iniziative a livello nazionale e chi ha posto problemi di democrazia interna, è stato cacciato via, come il figlio di La Torre e anche chi scrive. Ma non si debbono operare generalizzazioni. Molte associazioni fanno del loro meglio. Anche il No mafia Memorial, un progetto del Centro Impastato, si muove secondo le linee che tracciavo prima: non solo raccontare mafia e antimafia ma pure progettare alternative, ma sappiamo che è un percorso lungo e difficile. A mio avviso bisognerebbe mettere al centro la condizione giovanile, costretta alla disoccupazione o al lavoro nero, sottraendola alla dipendenza dalla mafia e al consumo e spaccio di droghe.

Cosa succederà? Cosa ci si può attendere data il contemporaneo successo delle destre a livello nazionale?

Si dice che i Fratelli d’Italia non siano fascisti, anche se hanno mantenuto la fiamma mussoliniana. A mio avviso rappresentano il fascismo del nostro tempo, con caratteristiche inequivocabili: il sovranismo, la Patria, di cui bisogna difendere i sacri confini dall’assedio dei migranti, la negazione dei diritti civili. Per contrastare la vittoria, bisognava formare una coalizione antifascista ma per l’assoluta incapacità politica di personaggi come Letta ci si è votati alla sconfitta. Ma è tutta la vicenda delle elezioni anticipate che va analizzata. Il governo Draghi è caduto in primo luogo per scelta di Draghi che, dopo aver tentato la scalata al Quirinale, non riusciva a imporsi a una coalizione eterogenea e poi per la sfiducia di Forza Italia e Lega. Conte aveva posto problemi seri, ma non si è voluto ascoltarlo. Il problema principale della sua incompatibilità era il rifiuto di inviare armi all’Ucraina e di parlare di pace, quando la parola d’ordine era seguire pedissequamente gli ordini di Biden che vuole una guerra infinita per umiliare Putin che, constatata l’impossibilità di vincere la guerra, potrebbe anche ricorrere all’uso del nucleare. A tutti i livelli c’è una crisi di leadership all’interno di una crisi della democrazia e della civiltà.

Tornando alla mafia, il M5S è riuscito a far eleggere De Rao e Scarpinato; certo un fatto positivo. Ma pensi che loro e qualche altro deputato potranno agire un’azione parlamentare efficace? Come?

Conte ha giocato e continua a giocare le sue carte, per accreditarsi come sinistra, l’unica che abbia un riscontro elettorale, visto che il PD si è relegato al centro neoliberista e militarista e vista l’inesistenza sul piano elettorale dei reduci o neofiti di una ultrasinistra che, nonostante qualche buona pratica sociale, non esiste come soggetto politico. I Cinque stelle, liberatisi da un personaggio come Di Maio, giocano anche la carta dell’antimafia: De Raho e Scarpinato potranno operare con tutta la loro buona volontà, non so con quale risultato.

Quale è oggi la resistenza a questa nuova configurazione del potere “filomafioso” in Sicilia?

Più che di “nuova configurazione del potere filomafioso”, parlerei di una continuità che si adegua alle mutazioni del presente e la “resistenza” avrà qualche peso se si riuscirà a unificare soggetti diversi: spezzoni di “partiti” e sindacati, le associazioni, i giovani: le scuole, i ragazzi del Friday for climate, le chiese. Ma il problema non è solo la Sicilia, è a livello nazionale e internazionale. Riguarda il ruolo delle mafie, con la pandemia ancora in corso e la guerra che non si sa se, quando e come finirà. La pandemia ha giocato a favore delle mafie, con una forma di welfare per gli stati impoveriti dalla crisi, i prestiti usurari a commercianti e imprenditori per tenere in piedi le attività e le imprese, con il fine di acquisirle anche come mezzi di riciclaggio, l’accaparramento dei fondi europei. Con la guerra la crisi si è aggravata esponenzialmente e si aprono altre possibilità per le mafie: dal traffico di armi al contrabbando di merci, allo sfruttamento dei soggetti più deboli trascinati da flussi migratori imponenti. Ma è il quadro generale che è preoccupante: chi si pone il problema di come si sia giunti alla guerra e parla di pace viene scambiato da un coro di imbecilli per putiniano. Ci vorrebbe un movimento capace di indurre a un negoziato e portare alla ragione un’umanità rassegnata a subire anche le scelte più rischiose. Pare che l’unico a pronunciare parole ragionevoli sia papa Francesco.

Si prepara una manifestazione nazionale a Roma, ma se ne dovrebbe fare una internazionale a Kiev e dintorni.

intervista pubblicata anche su Pressenza e Comune-Info

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