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La menzogna: un’arte che a Roma trova la sua massima espressione

La menzogna è, in fondo, una nobile arte. Nobile perché, se propagata con mestiere, sa deviare, manipolare e mistificare la realtà. Ne abbiamo sentite tante nelle ultime settimane, in questi giorni di avvicinamento al derby della Capitale. Una gara che un tempo era sinonimo dell’evento sportivo più atteso in città, e non solo. La curiosità era quella di vedere le coreografie, di leggere gli striscioni e di assistere alla sfida del tifo. Un qualcosa che ci invidiava tutto il mondo.

Eppure già da qualche anno si era deciso di cambiare registro. Sì perché la morte clinica registrata ieri in Viale dei Gladiatori, non è stata che la rappresentazione dell’ultimo sospiro di una gara già stritolata negli anni da varie forme di repressione. Dal divieto saltuario per gli striscioni, alla tessera del tifoso obbligatoria per accedere nelle due tribune, ai prezzi spropositati per uno stadio decadente e lontano dal campo come l’Olimpico. Passando, ovviamente, per una chiara strategia del terrore che ha sempre caratterizzato il match negli ultimi anni. Un nugolo di voci e chiacchiericci che dalla settimana precedente hanno raccontato indistintamente di guerriglie urbane e incidenti. Anche quando, effettivamente, non avvenivano. Di certo abbiamo un fatto: all’interno dello stadio la situazione è pacificata da diversi anni. Eppure è proprio là che la folle repressione delle istituzioni è andata a far leva in questa stagione.

Come nei migliori stati autoritari, Roma si è svegliata sotto i colpi delle perquisizioni preventive. Non siamo a Berlino Est, dove la Stasi cercava in tutti i modi traditori e antagonisti dello Stato, e neanche nel Cile di Pinochet. Siamo semplicemente in Italia nel 2015. E tutto ciò è preso a cuor leggero. Come se fosse normale. “Due perquisizioni hanno dato esito positivo. Trovati coltelli e fumogeni”, titolano diversi giornale senza batter ciglio. Volendo forse inculcare nella mente del lettore che tutto ciò sia per forza di cose un grave atto delittuoso. Come se nessuno di noi in casa avesse coltelli e come se nessuno di noi a Capodanno abbia sparato un raudo. Inoltre le torce, come i fumogeni, sono liberamente in vendita in tutti i negozi di pirotecnica. Forse ci dimentichiamo di essere il Paese dove migliaia di comuni mettono a bilancio congrue spese per le feste patronali, con spettacolo maestosi di fuochi d’artificio. Dov’è la notizia insomma?

Per una settimana è andato avanti il patetico balletto delle dichiarazioni prefettizie, delle minacce, degli avvertimenti e dei “braccio di ferro che lo Stato vincerà, perché ne va della sua credibilità”. Ci hanno raccontato, questi signori, che nell’Urbe sarebbero sbarcate frotte di tifoserie da tutta Europa per dar vita alla Woodstock della violenza, con scene di guerriglia urbana da controllare in tutta la città. Esattamente quando le due curve avevano annunciato da settimane la propria diserzione. Esattamente qualche giorno dopo le dichiarazioni dello stesso Gabrielli, sconcertato dall’imponente impiego di forze dell’ordine di pubblica autorità in questi eventi, con relativo dispendio di danaro pubblico.

Peccato che la realtà parli di oltre mille agenti a presidiare il nulla, elicotteri a sorvolare un Olimpico vuoto della sua anima e gremito da appena 29.500 spettatori (anni fa neanche un derby amichevole avrebbe registrato simili numeri), blindati di polizia e carabinieri con idranti sfollagente e agenti in borghese disseminati attorno a tutta la zona dello stadio. Senza contare le operazioni di bonifica iniziate ben prima del fischio d’inizio. Tutto questo per cosa? Qualcuno dia conto di tutto il denaro pubblico sperperato mentre la città affonda nell’inedia.

Ma il pugno duro della legge si è mostrato in tutta la sua mascolinità possente agli ingressi. Alcuni volantini che spiegavano le motivazioni della protesta (divulgati dai ragazzi che attraverso la pagina https://www.facebook.com/Salviamolacurvasud/?fref=ts stanno cercando di dar voce alla stessa) e non incitavano in alcun modo alla violenza, sono stati sequestrati. “Questi non possono entrare”. Perché la libertà d’espressione è un bel concetto da portare nelle scuole e nei discorsi filosofici di qualche guru televisivo, ma ben più difficile da rispettare e concedere a tutti. A Roma, almeno in questo ambito, semplicemente non c’è.

Le veline della Questura ci hanno parlato beffardamente di successo. Di derby senza incidenti, con un bilancio di alcuni fermati e qualche diffidato. Le motivazioni? Stato di ebbrezza, un paio di fumogeni accesi e una sciarpa bruciata. Un’Operazione Valchiria a tutti gli effetti. Più o meno con lo stesso esito, mi suol dire. Ma guai a rammentarlo ai nostri generali. Loro hanno vinto a prescindere, imponendo la legalità e il rispetto delle regole. Assiomi con cui si sta giustificando il totale soffocamento di ogni libertà basilare. Se oggi si sequestra un volantino di protesta e si entra a casa di liberi cittadini all’alba, domani cosa si riterrà normale? Prendere le impronte ai neonati e imporre ai bambini delle elementari di scrivere temi elogiando questo piuttosto che quell’altro personaggio politico? Ci avete riempito la testa, alle scuole, con parole tipo “Repubblica, Democrazia, Libertà, Uguaglianza etc etc”, per prepararci a tutto ciò? Lo dico senza problemi: tutti questi eventi che si stanno generando attorno alle tifoserie di Roma e Lazio mi danno un buon motivo per non far crescere mio figlio in questo Paese. Perché la gravità e la naturalezza con cui vengono perpetrati sono un chiaro viatico per comprendere quale sarà il clima dei prossimi anni a queste latitudini.

Non si è trattato soltanto di un assassinio a una partita di calcio storica e tradizionale. Ma si è andati oltre. Si è messo nero su bianco che l’arroganza del potere e tutta la sua prepotenza debbono vincere e averla vinta su tutto e tutti. Manipolando, sporcando e cercando sempre un modo per uscirne puliti. Le numerose interviste a Gabrielli e gli articoli atti a screditare la Curva Sud, guarda caso usciti il sabato prima della partita, nonostante si trattasse di fatti risalenti a un anno fa, sono il chiaro segnale che la protesta dei tifosi (e non solo degli ultras) ha quanto meno colto nel segno. Mettendo a nudo tutta la boria e il senso di prevaricazione di alcuni escretori istituzionali. Ci hanno parlato di pochi violenti. Eppure molti giornali non conformi al finanziamento pubblico (ma anche qualche grande testata, diamo a Cesare quel che è di Cesare), ne hanno parlato appoggiando la scelta dei contestatori. Così come radio e televisioni private. Il problema è che la grandezza e l’imbattibilità di questo sistema sono rese certe dai pilastri che le appoggiano da sempre.

Così non dobbiamo preoccuparci solo del Derby. Ma della nostra dignità e del nostro diritto di essere uomini, se non liberi (ognuno ha un suo concetto di libertà), almeno rispettati e rispettabili. E non colpevoli in principio, venendo additati di far parte di questa o quell’altra categoria ritenuta “spazzatura” da un chiaro disegno sociale.

“Leggi speciali: oggi per gli ultrà, domani per tutta la città”, negli ultimi tempi abbiamo spesso riesumato questo striscione che campeggiava nelle curve italiane una quindicina di anni fa. Eccoci. Ci siamo arrivati. Oggi è “per tutta la città”. Oggi è quel domani di cui si parlava tre lustri or sono tra un battito di tamburo, una sciarpata e una coreografia ben riuscita. Ci hanno spogliato della fantasia, tolto il divertimento dello stadio e incattivito come persone. Uno Stato civile, quale si fregia di essere l’Italia, almeno a detta di alcuni, dovrebbe semplicemente vergognarsi di essere fautore di tutto ciò. E invece se ne vanta e continua imperterrito nel suo ruolo di distruttore spietato. Non ascoltando niente e nessuno. E considerando la sua gente come la peggiore colonia di scarafaggi da schiacciare e sterminare in breve tempo. Ad maiora!

Simone Meloni da SportPeople

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