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La legge sulla tortura torna alla Camera

Il testo licenziato dal Senato verrà esaminato alla Camera il 26 giugno. Un testo inefficace e anche dannoso e non risponde agli impegni presi dall’Italia 28 anni fa

Il decreto legge sull’introduzione del reato di tortura approvato il mese scorso dal Senato verrà esaminato dalla Camera dei deputati il 26 giugno. La decisione è arrivata dalla conferenza dei capigruppo di Montecitorio che ha scelto una data simbolica, perché il 26 giugno di ogni anno si svolge la giornata internazionale contro la tortura, proclamata dalle Nazioni Unite nel 1997.

Secondo l’Onu, la tortura cerca di annientare la personalità della vittima e nega la dignità intrinseca dell’essere umano. Le Nazioni Unite hanno condannato la tortura fin dall’inizio come uno degli atti più vili perpetrati dagli uomini nei confronti di altri esseri umani.

La tortura, infatti, è considerata un crimine di diritto internazionale, il che significa che è vincolante per tutti i membri della comunità internazionale. Secondo tutti gli strumenti pertinenti, è assolutamente vietata e non può essere giustificato in nessun caso.

Per questo, il 12 dicembre del 1997, Nazioni Unite hanno approvato la risoluzione 52/ 149, con la quale l’assemblea generale ha proclamato il 26 giugno di ogni anno come giornata internazionale in supporto delle vittime che subiscono torture. «Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamenti o punizioni crudeli, disumani e degradanti», recita l’articolo 5 della dichiarazione universale dei diritti umani.

La convenzione dell’Onu contro la tortura è stata ratificata da 157 paesi, ciononostante alcuni hanno tradito l’impegno a porre fine a questa pratica che comporta la perdita definitiva dell’umanità.

Tra questi c’è l’Italia, unico paese dell’Unione europea che ancora non ha una legge. Eppure nel 1984 l’Italia firmò la Convenzione di New York con l’impegno di introdurre il reato di tortura nel nostro ordinamento. Solo che da allora ogni tentativo è miseramente fallito. Il divieto di tortura è contemplato non solo da numerose convenzioni generali sui diritti umani, ma anche da specifici trattati ai quali l’Italia ha aderito, come la convenzione dell’Onu contro la tortura del 27 giugno 1987 e la convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti crudeli, inumani e degradanti del 26 novembre 1987.

La convenzione dell’Onu identifica nell’articolo 1 – la tortura come «qualsiasi atto mediante il quale sono intenzionalmente inflitti ad una persona dolore o sofferenze forti, fisiche o mentali al fine di segnatamente ottenere da essa o da una terza persona informazioni o confessioni qualora tale dolore o tali sofferenze siano inflitti da un funzionario pubblico o da qualsiasi altra persona che agisca a titolo ufficiale, o sotto sua istigazione, oppure con il suo consenso espresso o tacito».

Eppure, secondo associazioni come Antigone e lo stesso senatore Luigi Manconi, estensore della prima bozza di legge, il testo che la Camera discuterà in quella data si allontana molto dall’articolo 1 della convenzione delle Nazioni Unite. «Questa legge qualora venisse confermata – rilevano in una nota congiunta Antigone e Amnesty International – sarebbe difficilmente applicabile: il limitare la tortura ai soli comportamenti ripetuti nel tempo e a circoscrivere in modo inaccettabile l’ipotesi della tortura mentale è assurdo per chiunque abbia un minimo di conoscenza del fenomeno della tortura nel mondo conle temporaneo».

Amnesty International Italia e Antigone, dunque, «con rammarico» prendono atto «del fatto che la volontà di proteggere, a qualunque costo, gli appartenenti all’apparato statale, anche quando commettono gravi violazioni dei diritti umani, continua a venire prima di una legge sulla tortura in linea con gli standard internazionali che risponda realmente agli impegni assunti 28 anni fa con la ratifica della convenzione».

Forse c’è ancora speranza che alla Camera la legge subisca modifiche che vadano nella direzione espressa dai contenuti dell’articolo 1 del trattato Onu.

Damiano Aliprandi da il dubbio

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