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La legge riempi-carceri di Fratelli d’Italia

Addio alle pene alternative. Proposta di 13 senatori per cancellare la “messa alla prova”

di Errico Novi

Non si tratta di fronda. Né di un caso politico. Perché la proposta di legge firmata da 13 senatori meloniani per il ripristino della “certezza della pena” e per lo stop a “svuota-carceri” e “pene extra-murarie” non è certo un’iniziativa “bollinata” da via della Scrofa. Non parte da Giorgia Meloni né dal suo responsabile Giustizia, il sottosegretario Andrea Delmastro. Lo si potrebbe definire un moto che viene dalla “pancia” del partito.

Lo firma un gruppo di senatori capitanato dal segretario di presidenza a Palazzo Madama, il campano Antonio Iannone, che comunque non è una figura marginalissima: è tesoriere del gruppo di Fratelli d’Italia al Senato. Con lui un drappello di colleghi solo due dei quali assegnati alla commissione Giustizia e dunque “specialisti” della materia. Ma l’iniziativa lascia pensare proprio perché sfugge a una traiettoria strategica precisa: sembra attestare non la volontà di Meloni e del suo gruppo dirigente, quanto un’attesa quasi silenziosa, ma diffusa tra i quadri del partito, per una politica più restrittiva in materia penale.

Soprattutto riguardo a reati come i “borseggi”, i “furti in abitazione”, le “truffe” e altre fattispecie che, si legge nella relazione introduttiva, si moltiplicherebbero per via di una “inarrestabile e incontrollata ondata di immigrazione che sta travolgendo l’Italia” e anche per i “provvedimenti svuota-carceri degli ultimi governi”. La proposta di legge, depositata a fine 2022, non è stata neppure ancora affidata alla sua destinazione naturale, la commissione Giustizia presieduta da Giulia Bongiorno. Il che conferma che non si tratta di una priorità, non solo per Carlo Nordio ma anche per Meloni e Delmastro. Certo si tratterebbe di una vera e propria controriforma rispetto sia alla legge Cartabia sia ai tentativi di decongestionare i penitenziari compiuti negli ultimi anni, a partire dal mandato di Andrea Orlando a via Arenula.

Colpisce più di tutto l’attacco ideologico alle pene alternative, cioè a uno dei punti chiave della riforma penale voluta dalla ex guardasigilli: “L’investimento sulle misure alternative alla detenzione”, secondo i firmatari, rischia di “tradursi in pericolosi meccanismi di disattivazione dell’effettività della pena, ossia di vera e propria impunità”. Perciò si punta a demolire le politiche del governo precedente, per esempio con la “riduzione da tre a un anno della pena detentiva inflitta per accedere all’affidamento al servizio sociale, in modo che potranno essere ammessi all’affidamento solo i condannati per reati lievi”. Vorrebbe dire cancellare o quasi l’istituto della messa alla prova, con conseguenze apocalittiche sull’affollamento delle carceri. Nei 7 lunghi articoli della proposta si colpisce la leva base con cui attualmente è possibile scongiurare l’esecuzione inframuraria, con “la riduzione da tre anni a un anno del limite di pena per la sospensione della pena”.

Che si tratti di una mossa destinata quasi certamente al nulla di fatto lo si comprende dalle misure con cui, oltre a favorire gli ingressi in carcere, si colpirebbero duramente anche i riti alternativi. Aspetto che la riforma Cartabia, viceversa, valorizza per ridurre il carico processuale e dunque la durata dei giudizi, contrazione che nel penale l’Ue ha preteso nella misura del 25% come presupposto per concedere i fondi del Recovery: ebbene, i senatori di FdI agiscono sull’innalzamento delle pene edittali per il reato di estorsione, “con conseguente esclusione della fattispecie dall’applicazione del patteggiamento”.

Introducono nuovi reati, come il “travisamento in occasione di manifestazioni” e puntano a tenere il più possibile dentro chi ha già la prospettiva di una detenzione lunga: innanzitutto gli ergastolani (quelli non ostativi) per i quali l’accesso ai permessi premio diventerebbe possibile solo dopo 20 anni, mentre oggi ne servono 10. Si mira a bersagli relativamente facili, con “l’eliminazione del meccanismo dell’esecuzione anticipata del beneficio della liberazione anticipata”, la previsione che “la semilibertà sia concedibile qualora il condannato abbia scontato almeno due terzi della pena” e “l’eliminazione della liberazione anticipata speciale”.

Ora, per chi appena conosca i meccanismi dell’esecuzione penale, è evidente che un piano simile quadruplicherebbe, nella migliore delle ipotesi, il numero dei detenuti. E come si pensa di gestire un disastro di queste proporzioni? Ci si affida in modo vago alla riapertura dei “penitenziari ancora inutilizzati” e alla costruzione di nuovi istituti “fino a coprire il reale fabbisogno dello Stato”. Un piano da incubo che, nell’inevitabile secolare attesa che s’imporrebbe per vederlo realizzato, prevede, all’articolo 7, nuove assunzioni anche nella polizia penitenziaria, in modo da “affrontare le ormai note criticità delle carceri italiane”. E, evidentemente, per pigiare a forza nelle celle stracolme i nuovi reclusi.

da il dubbio

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