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La Corte di Strasburgo ha condannato l’articolo 41 bis ed esaminerà un caso di ergastolo

Il 27 novembre 2007, la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha emesso una sentenza di condanna nei riguardi dell’Italia per il regime del 41 bis, regime di carcere duro a cui fra l’altro sono sottoposti molti ergastolani. La condanna, di cui si è avuta notizia in data 8 gennaio grazie a un comunicato stampa dell’Unione delle Camere Penali Italiane, fa riferimento al mancato rispetto del termine di 10 giorni, come previsto per legge, per l’esame da parte del Tribunale di Sorveglianza competente sul ricorso del detenuto contro il provvedimento applicativo del regime di carcere duro. La condanna di Strasburgo, inoltre, secondo l’Ucpi, «si rivolge nei confronti dei decreti ministeriali fotocopia che uguali per tutti applicano le restrizioni previste dal 41 bis». Questa condanna è una risoluzione importante per tutti coloro che da tempo in Italia criticano lo Stato penale e le sue espressioni più antitetiche al diritto alla dignità e alla vita: l’articolo 41 bis e l’ergastolo.Anche a proposito di questo secondo problema le cose si stanno muovendo su scala europea.La Corte di Strasburgo si appresta ad esempio a discutere un caso relativo all’ergastolo che potrebbe fare da punto di riferimento per la critica della pena detentiva perpetua in tutto il Vecchio Continente.Questo caso riguarda Panayiotis Agapiou Panayi, alias Kafkaris, una persona di 62 anni, arrestata nel 1989 e attualmente detenuta nel carcere centrale di Nicosia, a Cipro.Il 9 marzo 1989 Kafkaris è stato dichiarato colpevole dalla Corte d’Assise di Limmasol per tre omicidi premeditati. Il giorno successivo è stato condannato all’ergastolo per ognuno di questi casi. Kafkaris aveva collocato e fatto esplodere una bomba in un’automobile, uccidendo i suoi passeggeri, un uomo e i suoi due bambini, di età compresa tra 11 e 13. Durante l’udienza concernente la condanna inflitta a Kafkaris, il pubblico ministero invitò il giudice d’assise a esaminare il significato del termine “ergastolo” e, in particolare, a chiarire se ciò avrebbe comportato una detenzione del condannato per il resto della sua vita, o per un periodo di 20 anni, come previsto dal Regolamento generale del carcere del 1981 e dalla modifica del 1987 di tale Regolamento, ai sensi dell’articolo 4 della legge sulla disciplina penitenziaria (legge n° 286).La Corte d’Assise di Limassol si appoggiò alla sentenza della Corte d’Assise di Nicosia del 1988 sull’affaire “The Republic of Cyprus v. Andreas Costa Aristodemou, alias Yiouroukkis” (affaire no 31175/87) e si dichiarò incompetente ad esaminare la validità del Regolamento o per avere una precisa cognizione delle sue ripercussioni sulla pena detentiva.Ad ogni modo, subito dopo la sentenza, Kafkaris ebbe un certificato di detenzione con il fine pena fissato per il 16 luglio 2002, subordinatamente alla sua buona condotta durante la detenzione. In altre parole, la sua condanna all’ergastolo equivaleva a 20 anni di detenzione che, calcolando la buona condotta e stando a quel certificato, diventavano 13 anni e 8 mesi circa.Le cose però gli sono andate diversamente da quella ipotesi prevista dai benefici della legge cipriota.Dopo aver commesso un illecito disciplinare, la sua liberazione è stata rinviata al 2 novembre 2002.Kafkaris però non è stato scarcerato il 2 novembre 2002.Di conseguenza, in data 8 gennaio 2004 ha presentato una richiesta di habeas corpus alla Corte suprema per contestare la legittimità della sua detenzione, ma tale richiesta è stata respinta. A quel punto Kafkaris ha presentato un ricorso alla Corte di Strasburgo che un paio di anni dopo, nel 2006, ne ha accettato la validità e, su questa base, ha fissato l’udienza per il prossimo 24 gennaio.Intanto c’è da chiedersi: se fa giustamente scandalo a Cipro una detenzione lunga quasi 19 anni come quella di Kafkaris, cosa bisogna pensare dei casi relativi a migliaia di persone che in Italia, soprattutto a causa del “fine pena mai”, stanno in carcere da ben oltre 20 o anche 30 anni?
Sandro Padula

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