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La Corte d’appello di Lione deciderà il 24 marzo sulla richiesta di estradizione per Vincenzo Vecchi

Vincenzo Vecchi è stato condannato per «devastazione e saccheggio» per i fatti relativi al  G8 di Genova. Il reato in Francia non esiste. L’Italia ha richiesto l’estrazione il 24 marzo la sentenza della Corte d’appello di Lione

di Giansandro Merli

La prossima tappa dell’odissea giudiziaria di Vincenzo Vecchi sarà il 24 marzo. Quel giorno la Corte d’appello di Lione deciderà se l’unico manifestante condannato per il G8 di Genova che è riuscito a evitare il carcere dovrà essere consegnato all’Italia, in esecuzione di un mandato d’arresto europeo, oppure no. Tutto lascia credere che a seguire ci sarà un nuovo ricorso in Cassazione, in base al verdetto lo presenterà la difesa o al contrario l’accusa.

Già le Corti d’appello di Rennes e Angers si sono opposte alla richiesta italiana dopo che ad agosto 2019 Vecchi è stato arrestato a Rochefort-En-Terre, in Bretagna. Prima per motivi procedurali, poi perché il reato di «devastazione e saccheggio», retaggio giuridico del codice penale fascista, in Francia non è contemplato. «Qualcosa di simile esisteva sotto Napoleone e nel periodo delle manifestazioni per l’indipendenza dell’Algeria. Prevedeva anche la pena di morte. Ma è stato cancellato dal nostro ordinamento. Adesso non può essere fatto valere attraverso un mandato d’arresto europeo», afferma Catherine Glon, tra i legali di Vecchi.

A ogni sentenza sfavorevole il procuratore competente ha fatto ricorso in Cassazione. La seconda volta questa ha spedito gli atti alla Corte di giustizia Ue che ha risposto con un’interpretazione restrittiva del principio della «doppia incriminabilità» secondo cui il reato deve essere riconosciuto anche dal paese che dà esecuzione al mandato d’arresto europeo. Il giudice Ue ha stabilito che non serve una corrispondenza esatta tra tutti gli elementi delle fattispecie penali previste a livello nazionale.

Per i legali del manifestante anti-G8, comunque, non è ancora detta l’ultima parola. Nell’ennesima udienza hanno sostenuto la tesi della sproporzione tra i fatti e le pene. In Francia sembra ancora assurdo venire condannati a 10 anni di carcere per essersi trovati nei pressi di scontri di piazza, come nel caso di Vecchi. Di fatto quella per «devastazione e saccheggio» è l’unica pena ancora valida. Quelle per gli altri reati sono ormai prescritte.

Fuori dal tribunale di Lione si è raccolto un nutrito presidio. Oltre a diversi abitanti della cittadina al sud-est della Francia si sono incontrate due comunità politiche. Quella nata in Bretagna dopo l’arresto di Vecchi nel 2019, riunita nel comitato «Soutien Vincenzo». Quella che dalla fine del G8 ha continuato a battersi per difendere i manifestanti indagati, imputati e condannati. Da Milano è partito un pullman con una cinquantina di persone organizzato dalla rete «Supporto legale».

Nel volantino distribuito dagli attivisti era ricordata la concomitante pronuncia della Cassazione italiana sul 41 bis ad Alfedo Cospito (finita con la conferma del regime detentivo speciale). Due casi diversi che però «mostrano come l’esistenza di norme di carattere eccezionale, nate in contesti emergenziali e quindi di natura temporanea, assumano nel tempo valenza ordinaria», si legge nel testo.

Intorno all’affaire Vecchi hanno preso parola deputati della France Insoumise e molti intellettuali. Tutti concordi nel chiedere alla magistratura di non consegnare l’uomo alle autorità italiane. «Non possiamo accettare che la giustizia francese, con fondamenti democratici, avalli una legge autenticamente fascista», è scritto nell’ultimo appello apparso oltralpe. Tra le firme la premio Nobel per la letteratura Annie Ernaux, il linguista Noam Chomsky e il regista Ken Loach.

 

da il manifesto

 

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