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Il programma di ricerca europeo INDECT … fra impostura, business e neo-autoritarismo (o fascismo democratico)

Video e documento sul programma di ricerca europeo INDECT … fra impostura, business e neo-autoritarismo (o fascismo democratico)
Guardatevi questi video e poi leggete il doc sotto. Purtroppo solo ora qualche brava persona ha capito e ne ha fatto un video da mettere su youtube

http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=8OQba_yyi8I (in francese)

e poi questo

http://www.youtube.com/watch?v=4MZ8gWAHB8c (in francese)

in inglese con sottotitoli in italiano http://www.youtube.com/watch?v=AwQ8oZLC0uk

Il progetto INDECT mira a sviluppare soluzioni efficaci contro le minacce terroristiche e criminali.
Ma in effetti si tratta di uno dei progetti di ricerca vergognosamente finanziati col settimo programma quadro della Comunità europea (FP7) con la pretesa di mettere a punto una sorta di perfetto sistema/dispositivo stile “Minority Report” è assai probabile che come in passato per Echelon INDECT si rivelerà soprattutto un’impostura … ma intanto hanno dato centinaia di migliaia di euro a imbonitori o personaggi ultra-conservatori annidati in tanti centri di ricerca come nelle polizie (anche private) l’industria militare poliziesca, le forse armate e nella euroburocrazia … un stuolo transnazionale di personaggi assai inquietanti (e fra questi ci sono anche tanti giovani e meno giovani ricercatori delle università italiane che mettono le loro “riuscite” solo su siti inglesi delle imprese o università embedded coi militari e polizie negli Stati Uniti)
Questo programma europeo fù già segnalato come esempio di ciò che nel libro pubblicato nel 2010 in inglese (Conflicts, Security and the Reshaping of Society. The Civilization of War, Routledge, London, 2010) consideriamo appunto la pervasività della “civiltà della guerra” come riforma liberista della società
cco l’estratto del libro in cui analizziamo i progetti europei già finanziati nel 2009 che già prefigurano INDECT
dalla seconda parte dell’introduzione del volume:
Un esempio rivelatore e al tempo stesso strategico è dato dalle politiche della ricerca dell’Unione Europea. L’interesse dei documenti in cui vengono esposte risiede nel fatto che gli obiettivi dichiarati sono il risultato di elaborazioni, procedure, strategie discorsive in cui si manifesta l’orientamento dominante dei gruppi di pressione o di potere dell’Unione Europea. Le politiche di ricerca esprimono insomma il modello di società a cui mirano le élite europee, anche quelle meno conosciute che operano nei think tanks e negli apparati burocratici dell’Unione. Un’analisi dei documenti in questione ci permette allora di scoprire in che modo il “discorso della guerra” opera in settori della società apparentemente o ufficialmente lontani dal “militare”. Consideriamo per esempio il Seventh Framework Programme for Research (FP7) 2007-2013”.[i] All’inizio, il programma stabilisce gli obiettivi di vasta portata fissati dall’Unione Europea:
The programme has total budget of over € 50 billion. […] The two main strategic objectives fixed for the Framework Programmes for Research are: to strengthen the scientific and technological base of European industry; to encourage its international competitiveness, while promoting research that supports EU policies..
Siamo quindi nella prospettiva abituale in cui la ricerca è subordinata a scopi industriali, che minimizzano il lavoro teorico-scientifico fondamentale o di base. Questa ipoteca è ancora più esplicita nella presentazione del programma che individua gli attori tra cui dovrà stabilirsi la partnership:
research groups at universities or research institutes, companies intending to innovate, small or medium-sized enterprises (SMEs), SME associations or groupings, public or governmental administration (local, regional or national), early-stage researchers (postgraduate students), experienced researchers, institutions running research infrastructures of transnational interest, organisations and researchers from third countries, international organisations, civil society organisations.
Gli obiettivi strategici esposti nel programma potrebbero essere condivisibide alla logica militare e di controllo incarnata dalla Rma e dalle concezioni pratiche del conflitto armato esposte sopra. Così, che si tratti di salute, ambiente, disagio sociale, migrazioni e ancor più innovazioni tecnologiche e sperimentazioni (specie nella comunicazione, nell’informazione, nei trasporti ecc.), appare evidente la matrice militare del discorso strategico che orienta la politica di ricerca. Ciò, naturalmente, è ancora più chiaro nel programma sul tema specifico della sicurezza.[ii] Il titolo dell’opuscolo che presenta i primi risultati di tale programma è eloquente: Towards a more secure society and increased industrial competitiveness.[iii] Vi si può leggere, tra l’altro:
Making Europe more secure for its citizens while increasing its industrial competitiveness, is the goal of European Security Research. Europe has never been so peacefully consolidated, so prosperous and secure, yet at the same time so vulnerable against threats like terrorism, organised crime and natural disasters. […]

In order to protect our fundamental rights and freedom, technological preparedness and response of society to potential or actual threats are essential. At the same time, the overall societal dimension and preparedness is of highest importance at all stages including prevention, crisis and after crisis management.

Il tema della sicurezza non è legittimato solo dalla sua “popolarità” (come è inevitabile dopo l’11 settembre 2001 e gli attentati a Madrid e Londra), ma anche dagli obiettivi al tempo stesso generici e consensuali della competitività economica e dai “diritti” dei cittadini. In altre parole, le tecnologie militari e della sicurezza diventano il vettore dello sviluppo economico e civile dell’Europa:
Moreover, the relationship between defence technologies on the one hand, and security technologies on the other, is particularly noticeable in the field of R&D, with technologies that show potential developments in both areas (Dual Use). At both research and industrial development levels, synergies are possible and desirable.
Qui non è in gioco solo la subordinazione della ricerca scientifica a scopi industriali e militari. Il problema è che l’industria della sicurezza mira all’apertura di un vero e proprio mercato interno di servizi sempre più capillari. Partendo dalla lotta contro “minacce esterne”, in nome dei “diritti” dei cittadini, l’industria della sicurezza estende i suoi interessi al controllo del “comportamento abnorme” e finisce per mettere sotto sorveglianza l’intera popolazione, negando o limitando il suo diritto all’espressione e alla manifestazione di idee politiche. Ciò emerge dall’analisi di uno dei progetti di ricerca finanziati. Vale la pena riportarne per esteso gli obiettivi:
“ADABTS, i.e. the “Automatic Detection of Abnormal Behaviour and Threats in crowded Spaces”. […] ADABTS aims to facilitate the protection of EU citizens, property and infrastructure against threats of terrorism, crime and riots by the automatic detection of abnormal human behaviour. ADABTS aims to develop models for abnormal and threat behaviours and algorithms for automatic detection of such behaviours as well as deviations from normal behaviour in surveillance data. ADABTS aims to develop a real-time evaluation platform based on commercially available hardware, in order to enable high-performance low-cost surveillance systems. […

ADABTS will gather experts in human factors, signal processing, computer vision, and surveillance technology. In a first stage, focus will be on human factors in order to define and model behaviours. Then, the focus will be shifted towards automatic analysis of surveillance data (video and audio). Finally, a demonstration system will be implemented. ADABTS will create models of behaviour that can be used to describe behaviours to be detected and how they can be observed. […] ADABTS will develop new and adapt existing sensor processing methods and algorithms for detecting and tracking people in complex environments, involving groups of people or crowds. Extracted sensor data features (e.g. tracks, voice pitches, body articulations) need to be related to the behaviour primitives, and, moreover, to be dynamic and adapt to the context. […] ADABTS will communicate results to the various kinds of identified actors: Security stakeholders like European and national authorities, police organisations or event organizers; Security system operators and security service companies; Security system integrators; Technology developers; the Research communities for psychology, human factors, and signal processing communities. ADABTS will involve all these actors, either as principal contractors, as subcontractors, or in an associated stakeholder group.

Visti tali obiettivi, c’è da chiedersi in primo luogo quali saranno considerati (e in base a quali definizioni e protocolli) gli “abnormal behaviours”. Analizzando i diversi progetti di ricerca già realizzati o in corso[iv] non è esagerato ritenere che siamo di fronte a un processo che aspira a una sorta di sorveglianza dell’intera popolazione europea o almeno di una sua quota consistente.
That is seen as necessity to protect the citizens from dangerous groups such as terrorists, criminals, or political subversives, or all other risks … the social control is then justified as “protection”, as necessary sacrifice of liberties ans privacy and necessity of high costs for a kind of “Electronic Police State”.[v]

Appare evidente che in questa diffusione della sorveglianza è in gioco il finanziamento diretto delle agenzie di controllo sociale (polizie pubbliche e private) e dell’industria della sicurezza, giustamente definita uno dei principali business del XXI secolo (Glassner 1999). Infatti questo progetto, come altri simili già finanziati, ha come partner paritari ricercatori universitari, strutture dei Ministeri degli interni di vari paesi, industria militare e anche enti privati specializzati nei cosiddetti controlli “post-moderni” (Palidda 2000; 2005). Osserviamo inoltre che molti di questi centri di ricerca pubblica e privata, nonché le imprese pubbliche e private che partecipano a tali progetti e quindi beneficiano dei relativi contributi finanziari europei, hanno già realizzato o stanno svolgendo analoghi progetti in joint venture con società americanme; così, di fatto, i fondi per la ricerca europea finiscono “indirettamente” anche a beneficio di cooperazioni internazionali che l’Unione Europea ignora o sostiene di ignorare.

Un aspetto decisivo dell’orientamento di questi progetti riguarda la definizione “militare” e quindi particolarmente ristretta e ideologica della “sicurezza”. Come hanno osservato Davis (1990) e Bauman (2006), questa definizione ha assunto ormai un significato mitologico, perché si tratta non solo di un vero e proprio passepartout del controllo sociale, ma anche di un’etichetta che permette di marginalizzare o escludere qualsiasi altro discorso o azione sulla sicurezza, in primo luogo sociale. Nell’accezione dominante o militare, la “sicurezza” comporta l’esclusione dei problemi strutturali dei soggetti più deboli, cioè poveri, lavoratori delle economie sommerse o semi-sommerse, precari, nomadi, migranti i marginali in genere, insomma quella parte della popolazione europea o che vive in Europa.[vi].
Tra i motivi di insicurezza dei semi-inclusi o degli esclusi rientrano non solo le questioni del reddito, dell’alloggio e della salute, ma anche il rischio di subire violenze da parte di soggetti sociali più forti, degli agenti delle polizie pubbliche e private o della criminalità organizzata (Palidda, 2010). Inoltre, nelle definizioni prevalenti della sicurezza, si ignorano infortuni e malattie professionali che colpiscono i lavoratori del sommerso e i precari, cioè i soggetti sociali meno protetti. Eppure, è noto che gli infortuni e le malattie professionali dipendono strettamente da attività economiche che producono anche merci dannose e inquinamento ambientale, cioè insicurezza sia per le vittime dirette sia per la società in generale (Palidda, 2009b). Ma i documenti come il FP7 non prevedono alcun progetto di ricerca su questi aspetti. [vii]
Grazie al Prof. Salvatore Palidda per la segnalazione e la ricerca
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[i] See “FP7 in Brief. How to get involved in the EU 7thFramework Programme for Research (http://ec.europa.eu/research/fp7/understanding/fp7inbrief/home_en.html). Le citazioni che seguono sono tratte da questo documento.
[ii] Dai documenti ufficiali della Commissione risulta che The European Commission has made EUR 1.4 billion specifically available for Security Research (see http://ec.europa.eu/research/fp7/understanding/fp7inbrief/home_en.html)

[iii] See “Towards a more secure society and increased industrial competitiveness” (Security Research Projects under the 7th Framework Programme for Research, May 2009 (ftp://ftp.cordis.europa.eu/pub/fp7/security/…/towards-a-more-secure_en.pdf).

[iv] Fra questi, il progetto AMASS, Autonomous Maritime Surveillance System, si preoccupa di dare a the Blue Border Surveillance le capacità tecnologiche per affrontare meglio “a continuous 24 h/7 surveillance as a counter measure to illegal immigration”. Il progetto BeSeCu (Human behaviour in crisis situations : A cross cultural investigation in order to tailor security-related communication) pretende to investigate cross-cultural and ethnic diff erences of human behaviour in crisis situations in order to better tailor security related communication, instructions and procedures with a view to improving evacuation and protection”. Ecco dunque un esempio di ricerca per le catastrofi naturali o criminali che pretende fornire un miglioramento delle capacità di reazione in tali eventualità. Insomma una di quelle ricerche che spesso contribuiscono a coltivare le paure anche se si allude esplicitamente solo a pericolo di incendi. Lo stesso si può dire per il progetto CAST Comparative assessment of security-centered training curricula for first responders on disaster management in the EU, che esplicita il rischio terrorismo, Il progetto COCAE (Cooperation Across Europe For Cd(Zn)Te Based Security) è invece un progetto per la sicurezza rispetto ai rischi nucleari. Il COPE (Common Operational Picture Exploitation) riguarda la crisis Management (ma dopo Katrina si sa che tale management si trasforma in business e occasione di darwinismo sociale). Il CPSI (Changing Perceptions of Security and Interventions) è un progetto che, a modo suo, entra nel cuore dei meccanismi di produzione dell’allarme per le paure e le insicurezze: “CPSI aims to create a methodology to collect, quantify, organize, query, analyse, interpret and monitor data on actual and perceived security, determinants and mediators. The four main objectives of the project are to: develop a conceptual model of actual and perceived security and their determinants; design a methodology to register and process security-related data; develop a data warehouse to store amassed data and; carry out an empirical proof-of-principle study to test the model, methodology and data warehouse. In CPSI we focus on security related to “everyday” crime, such as theft, assault and vandalism. The CPSI methodology, however, can be applied to other areas of security as well, such as terrorism or financial security”. Il progetto DETECTER (Detection Technologies, Terrorism, Ethics and Human Rights) è palesemente inscritto nelle attività delle agenzie di sicurezza. Lo stesso vale per EFFISEC (Efficient Integrated Security Checkpoints). Non è un caso che in questi tipi di progetti ci siano anche partners israeliani. ODYSSEY (Strategic Pan-European Ballistics Intelligence Platform for Combating Organised Crime and Terrorism) è ovviamente utile alle polizie e ai servizi segreti. Lo stesso dicasi per SAFE-COMMS (Counter-Terrorism Crisis Communications Strategies for Recovery and Continuity) e per STRAW (Security Technology Active Watch).
[v] See http://en.wikipedia.org/wiki/Mass_surveillance; molti articoli critici su tali questioni sono pubblicati da Surveillance & Society, Cultures & Conflits e Conflitti globali
[vi] Secondo Eurostat (2009), circa 80 milioni di cittadini UE (pari al 16 % della popolazione) sono direttamente colpiti dal fenomeno povertà.
[vii] Nel 2008, il direttore dell’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (EU-OSHA) ha dichiarato: “Ogni tre minuti e mezzo qualcuno, nell’Unione europea, muore per cause associate al lavoro, e ogni quattro secondi e mezzo un lavoratore comunitario è vittima di un infortunio che lo costringe a restare a casa per almeno tre giorni lavorativi” (http://ec.europa.eu/health-eu/newsletter/14/newsletter_it.htm).

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