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Green pass: tutela della salute o tutela del mercato?

L’irrazionalità nella applicazione del green pass (per esempio per i 170mila passeggeri quotidiani delle Frecce e non per i 6milioni di pendolari) è solo apparente. La ragione c’è e sta nel fatto che la bussola non è la salute ma il mercato e le sue leggi, che sussumono il lavoro e allettano il consumatore con spazi di consumo percepiti come sicuri.

Un tarlo da un po’ di tempo arrovella la mente di taluni: come può mai essere che un Governo autoproclamatosi di “salute pubblica” lasci ogni giorno in balia di trasporti locali sovraffollati circa 6 milioni di cittadini senza prescrizione alcuna? La spiegazione corrente è quella della gradualità, che prevederebbe un’estensione progressiva per cerchi concentrici sempre più ampi del green pass. Ma tenendo fermo il principio della priorità della salute, il buon senso prima ancora che la logica avrebbe suggerito di partire dalla criticità più grande anziché da quella più piccola (le Frecce). Si potrebbe tirare in ballo allora la presunta debolezza del Governo e della politica in generale che indurrebbe a più miti consigli e rinunciare così a imprese troppo temerarie. Però questa spiegazione non tiene conto della circostanza che Draghi, con lo “sblocco dei licenziamenti”, ha dimostrato ampiamente sul campo di non temere i moti di piazza. Si potrebbe allora concludere che non c’è una spiegazione plausibile, perché si tratta di misure emergenziali che, in quanto tali, necessariamente scontano un margine di approssimazione: pertanto può accadere che il green pass possa essere introdotto per le Frecce (170.000 passeggeri circa al giorno), ma non per quei 6 milioni di pendolari di cui sopra (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2021/09/09/green-pass-e-obbligo-vaccinale-aprire-un-confronto-serio/). Se però proviamo a modificare la prospettiva, a partire dal fatto che un peso massimo neoliberista, sponda “ordoliberista”, quale è Draghi non lascia nulla al caso, allora forse potremmo arrivare a intravedere un metodo nell’apparente follia di quella incongruenza.

Da subito, in premessa, occorre precisare che il culto del mercato non prevede, come erroneamente si crede, uno “Stato minimo” ma, piuttosto, il contrario. Lo Stato neoliberista che ha scalzato in Occidente quello sociale e welfarista negli ultimi trent’anni è uno Stato per certi versi più forte di quello precedente, per necessità. Non proteggendo più socialmente ha perso progressivamente consenso e legittimazione sociale, ma ‒ per dirla con Gramsci ‒ la classe politica che lo dirigeva adesso ha preso a dominare e con il potere finanziario e mediatico forma un «triedro di poteri» tutt’altro che in disarmo.

Se la cornice è quella sopra accennata, le misure prese e quelle che attendono il nostro Paese, che funge in questa fase da apripista, non possono non avere una logica e recare un sigillo inequivocabilmente “mercatista”. Così, se il rovello del keynesiano, politico o economista che fosse, era la piena occupazione e dunque il sostegno della “domanda”, il neoliberista ortodosso è letteralmente ossessionato dal lato dell’offerta (capitale) da sostenere e trainare oltre ogni misura, perché ritenuta, in conformità coi classici di quell’ideologia, quale unica fonte del valore e della ricchezza, degradando di contro il lavoro a sua mera appendice. Ne abbiamo avuti segnali eclatanti con la spartizione iniqua delle risorse per fronteggiare l’emergenza Covid. Si è calcolato, a spanne, che all’incirca un 60-70% di tutti gli aiuti erogati dallo Stato sia andata alla parte datoriale. Cosa che non ha impedito a Bonomi, nella primavera del 2020, di coniare il neologismo “Sussidistan” per rampognare il premier Conte che aveva osato ristorare, con la restante parte, i ceti popolari bersagliati dal Covid. Per l’appunto, dietro quella formula ad effetto c’è l’idea che la ricchezza è prodotta esclusivamente dall’offerta (capitale) e ogni aiuto o ristoro che viene dirottato altrove si configura come una diseconomia. A sua volta la variabile più che indipendente dell’offerta è al servizio di una esportazione furiosa che al limite produce crescita senza occupazione, comprimendo di sicuro diritti e salari esposti alla sregolata competizione globale (per non parlare dei conseguenti spaventosi squilibri di surplus commerciali – si veda la Germania rispetto agli Usa – con conseguenti comprensibili pulsioni protezionistiche).

Per arrivare all’oggi, si ha come la sensazione che, nella sua applicazione, lo stesso green pass stia seguendo anch’esso il medesimo schema predefinito, orientandosi più sul lato dell’offerta (capitale). Se per un’istante ci liberiamo della narrazione imperante incentrata sulla “salute” per avvalerci dei due poli esplicativi di “domanda” e “offerta”, forse riusciamo a scorgere qualche regolarità nell’apparente coacervo di misure. Ad esempio, ci potremmo accorgere che queste insistono sul lato dell’offerta di merci e servizi, probabilmente per mettere in sicurezza la riproduzione capitalistica. Nell’ambito dei servizi, poi, su quelli che garantiscono maggiore valore economico, come l’alta velocità, ovviamente tralasciando di intervenire su quelli reputati incomprimibili (come è il caso dei trasporti pubblici locali).

I termini chiave in questa ipotesi interpretativa diventano “crescita”, “domanda” e “offerta”. Il green pass è applicato non prioritariamente per la nostra salute, che ne è al massimo un effetto secondario, ma per far ripartire un’economia finalizzata alla crescita in quanto tale, con le caratteristiche di scarsa occupazione e precarizzazione di cui si accennava. Giova ricordare che il green pass è scattato, nell’ordine, per gli insegnanti, poi, a seguire, per i lavoratori pubblici e privati, si presume su forte pressione confindustriale come indirettamente dimostrerebbe il consenso riservato al decreto. Come detto, si è insistito molto sul lato dell’offerta, meno su quello della domanda, a partire dall’esenzione dei “consumatori di cultura”, come sono stati ribattezzati gli studenti italiani dal testo della controriforma Renzi della Buona Scuola; passando poi per i clienti delle aziende, gli utenti dei servizi, per approdare all’acquirente dei supermercati. Tutti dal lato del consumo e tutti rigorosamente esclusi dall’obbligo.

Questo squilibrio mette seriamente in questione la salvaguardia della salute quale criterio guida unico delle decisioni del governo Draghi. Nell’astrazione di un modello neoliberista, che privilegia fortemente la priorità della riproduzione capitalistico-finanziaria, il mondo del lavoro in effetti pare svolgere un ruolo di comprimario, con il solo obiettivo, tramite la vaccinazione, di non fare inceppare la macchina. E fornisce anche una spiegazione plausibile a una condizione di “invisibili” altrimenti insondabile, rappresentata dai milioni di pendolari lasciati a loro stessi. I pendolari hanno il solo torto, per usare un’iperbole, di stare dal lato sbagliato della storia: il consumo coatto dei servizi di trasporto locali che non richiede alcuno specifico incentivo da parte del “reggitore politico”, che viceversa avrebbe dovuto approcciare subitaneamente se solo il principio guida esclusivo fosse stato effettivamente la salute dei cittadini. La bussola non è la salute ma, ancora una volta e inesorabilmente, il mercato e le sue leggi che sussumono il lavoro ed allettano il consumatore con spazi di consumo percepiti come sicuri. La controprova che la salute non sia il perno è data dalla circostanza che non si è mossa una foglia per ampliare il trasporto pubblico locale; anzi, la sua condizione di bassi investimenti sui mezzi e carrozze consente margini di profitti più alti. Stesso ragionamento si potrebbe fare per la sanità, ampiamente gestita dalle singole regioni secondo criteri manageriali e con una logica aziendalistica volta a fare profitti.

In conclusione siamo in grado di evidenziare perlomeno due aspetti: la forza dei vaccini, sia pure inferiore a quella declamata, è reale, come dimostra la sua interessata utilizzazione. Ma non è usata come pure si lascia intendere per il bene delle persone e della loro salute, bensì in forma prevalente secondo quelle che sono le convenienze e le attese del mercato sul lato quasi esclusivo dell’offerta, secondo una stretta osservanza del credo neoliberista. La salute e il benessere dunque non è il fine ultimo che il sistema persegue ma solo il mezzo utilizzato quando serve (https://volerelaluna.it/vaccino/2021/09/20/tutti-pazzi-per-il-green-pass-e-lobbligo-vaccinale/) e che nasconde i reali interessi in palio, che sono quelli di far persistere un modello economico fallimentare a dispetto delle “dure repliche della storia”. Un ulteriore elemento è costituito dall’annichilimento di quei pallidi tentativi sperimentati dal precedente Governo Conte di sostegno sul lato della domanda nella fase più acuta dell’emergenza. Fuor di metafora e in esplicito, il lavoro non sta ricevendo il necessario sostegno con piani straordinari di occupazione, buona e stabile. E le politiche di incentivi e ristori, pur permanendo una grave sindemia, appaiono abbandonati per sempre e già appare alla vista, come prossimo bersaglio da colpire, il reddito di cittadinanza (Renzi con i suoi sta addirittura raccogliendo le firme referendarie). L’unica reale preoccupazione è quella di rendere più fluida ed elastica la domanda. Probabilmente con lo scopo di movimentare il risparmio accumulato nei mesi di chiusura.

C’è un dipinto di Bruegel, custodito dal Museo di Capodimonte di Napoli, che ritrae una colonna di ciechi guidata da un cieco che inesorabilmente li sta trascinando con sé dentro un fossato. Analogamente è un po’ questa la nostra condizione riferita al presente e al rischio che contiene.

Salvatore Bianco

da VolereLaLuna

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Qui il contributo, sul tema, dell’Osservatorio Repressione al dibattio aperto su InfoAut

Green Pass: una stretta autoritaria per allontanare le responsabilità della classe dirigente

https://www.infoaut.org/precariato-sociale/green-pass-una-stretta-autoritaria-per-allontanare-le-responsabilita-della-classe-dirigente

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