Dalla cultura dell’emergenza  non si riesce a uscire. Vale per i rave come per il terrorismo.

di Andrea Fabozzi

Non importa quante volte gonfi il petto e proclami che «lo Stato non cede ai ricatti» e che «il governo non arretra di un centimetro», la destra ha un’idea molto misera della Repubblica che si trova disgraziatamente a governare se è convinta che lasciar morire uno sciagurato in carcere sia l’unico modo per «non far scricchiolare le fondamenta della democrazia». Solo questo ha detto ieri in parlamento, nella inutilmente attesa informativa sul caso Cospito, il ministro Nordio. I cui primi cento giorni dimostrano quale abisso separi l’azione concreta dal bofonchiare quotidiano sui giornali.

Non ha detto altro il ministro guardasigilli. Non ha detto se muoverà un dito per impedire che Cospito si lasci morire. Né se glielo lasceranno muovere per frenare il sottosegretario che ha usato atti riservati del ministero per alimentare la propaganda di Fratelli d’Italia. Su Cospito, tre settimane dopo la richiesta della difesa di revocare il 41 bis, invece di spiegare cosa intende fare, Nordio si è perso in un patetico balletto di carte: il procuratore generale di Torino ha chiesto di dare il suo parere sulla revoca, il ministro ha risposto che aspetta quel parere, il procuratore ha replicato che non è ancora pronto. Sul sottosegretario Delmastro «la materia è complessa e delicata», «sono possibili diverse interpretazioni», «la procura indaga»… Una altro niente.

La vicenda, però, parla da sola. Che al pupillo di Giorgia Meloni, Donzelli, sia consentito di ingrassare con carte riservate la sua misera polemica politica chiude il discorso sulla presunta classe dirigente della destra e sulla sua adeguatezza. Ma quel che più importa fa definitiva luce sulla cultura delle garanzie di questa destra, capace di strillare contro l’eccesso di intercettazioni, contro la loro diffusione e contemporaneamente di sventolarne il contenuto nell’aula parlamentare. È la stessa doppiezza del ministro Nordio che annuncia un freno al populismo penale ed esordisce con il decreto rave.

Il fatto è che il garantismo si è attaccato al corpo della destra come una piuma nel vento. La sua origine da quelle parti ha il nome e cognome di un accidente storico – Silvio Berlusconi – e una motivazione, la convenienza. È il garantismo del buttiamo la chiave, la chiave delle celle che rinchiudono gli altri, quello che tiene insieme soprattutto Salvini e Meloni, la cui cultura repressiva e patibolare spunta fuori a ogni curva.

D’altra parte lo stesso accidente storico ha confuso, c’è da temere una volta e per tutte, la sinistra. Che ha abbandonato trent’anni fa la capacità di critica dell’azione giudiziaria che per esempio questa vicenda richiederebbe tutta. Non c’è bisogno di parlare del Movimento 5 Stelle, i cui rappresentanti in parlamento hanno ovviamente interpretato gli eventi come una gara muscolare: «Nessun cedimento al ricatto di terroristi e mafiosi». Ma lo stesso Pd, intimorito dall’accusa di cedevolezza, si è affrettato a giurare di non aver mai messo in discussione il 41 bis né in assoluto né per Cospito.

Quando invece è precisamente lì che sta il punto.

Non è infatti la disperazione suicida di Cospito a mettere in discussione il 41 bis. Ma il fatto che siano passati trent’anni da quando il regime di quasi totale isolamento è stato introdotto (e venti da quando è stato stabilizzato), che i suoi effetti importanti li abbia già prodotti, che per considerarlo compatibile con la Costituzione la Corte costituzionale abbia dovuto ripetutamente correggerlo e limitarlo, che la Corte di giustizia europea ci abbia sanzionato per il modo in cui lo applichiamo. Che, soprattutto, ne sia stato consentito un utilizzo quasi routinario, fuori dall’ambito che lo giustifica, tanto che negli ultimi quindici anni i ristretti al 41 bis sono stati stabilmente più di quanti erano negli anni Novanta del secolo scorso, quando fu introdotto come misura emergenziale antimafia.

È appunto la cultura dell’emergenza dalla quale non si riesce a uscire. Vale per i rave come per il terrorismo. Per un boss della mafia come per un anarchico che non poteva parlare a nome di nessuno, trattato invece – ben oltre le sue comunque gravi responsabilità – come il capo di un’organizzazione tentacolare. Come sempre, le insidie maggiori alle leggi, anche alle migliori, se l’articolo 41 bis è mai stato una di quelle, vengono da una loro applicazione distorta. Oggi il messaggio di Cospito all’esterno non esiste o meglio è soltanto il suo digiuno suicida. Per fermarlo davvero serve salvargli la vita. Lo capisca anche Nordio.

da il manifesto