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Francia: Se la politica diventa polizia

In Francia le forze dell’ordine manifestano per chiedere maggiore repressione, forti di un consenso trasversale: dietro la «crisi dell’ordine pubblico» c’è la crisi sociale

La politica ridotta a polizia: è questo il titolo di un editoriale apparso su Mediapart il 18 maggio che lancia l’allarme sull’evoluzione securitaria della vita democratica in Francia.

A ispirare l’articolo, un episodio preoccupante. Una manifestazione convocata da vari sindacati di polizia davanti all’Assemblea Nazionale, la sede del potere legislativo. La manifestazione, una «marche citoyenne», era stata convocata per il 19 maggio in seguito all’uccisione di un agente in borghese durante un controllo antidroga nel centro della città di Avignone.

Al di là del tragico fatto di cronaca, questa «marcia» si iscrive in un movimento più ampio di mobilitazioni spontanee delle forze dell’ordine che più volte sono scese in strada reclamando maggiore «protezione» per i corpi di polizia e un inasprimento del codice penale, in particolare delle «pene minime obbligatorie» per i colpevoli di violenze contro gli agenti (una richiesta in contrasto con i principi di necessità e di individualizzazione delle pene previsti dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, art. 8). Si tratta di rivendicazioni corporative che i sindacati di polizia portano avanti da anni e che in modo ricorrente fanno capolino del dibattito pubblico, a ogni fatto di cronaca e soprattutto a ogni presa di posizione, discutibile, dei responsabili politici.

Immediatamente sono esplose le polemiche. In primo luogo per le modalità e le rivendicazioni della manifestazione, che è stata presentata come una sfida all’equilibrio democratico – il fatto di manifestare di fronte al parlamento, denunciare il lassismo della giustizia non sono enunciazioni casuali, soprattutto se associate a una retorica particolarmente corporativa e aggressiva, come dimostrano le prese di posizione negli ultimi anni di sindacati come «Alliance». E in secondo luogo perché stavolta l’iniziativa ha catalizzato il consenso non solo della destra, che si schiera senza se e senza ma con le forze dell’ordine che ricambiano elettoralmente (vari sondaggi riportano un sostegno elettorale a Marine Le Pen ben superiore alla media). Prima ha annunciato la sua partecipazione il ministro degli interni Gérald Darmanin, che in teoria dovrebbe essere se non la controparte dei sindacati, almeno neutrale. Poi si sono accodate anche figure politiche di spicco della sinistra istituzionale: il segretario del Partito socialista, Olivier Faure, il candidato del Partito comunista alle presidenziali Fabien Roussel, la sindaca socialista di Parigi Anne Hidalgo e il leader di Europe Ecologie Yannick Jadot,  si sono ritrovati a condividere il palcoscenico con figure di punta dell’estrema destra mediatica come il saggista Eric Zemmour.

Nonostante questa incongruenza e la caratterizzazione politica dell’iniziativa, i tre non solo hanno rivendicato la loro presenza ma hanno anche stigmatizzato quelli che a sinistra non si sono prestati alle strumentalizzazioni, in particolare Jean-Luc Mélenchon e la France Insoumise. Salvo poi fare parziale marcia indietro dopo che le prese di parola dal palco da parte di molti dirigenti sindacali di polizia hanno rivelato la manifestazione per quello che era: un raduno corporativo e fascistoide, intimidatorio verso le istituzioni rappresentative e di garanzia. Così, per esempio Olivier Faure, durante la manifestazione ha invocato un «droit de regard», una specie di voce in capitolo che per la polizia nei giudizi penali per crimini commessi contro degli agenti. L’indomani, in seguito alle polemiche e alle reazioni preoccupate di osservatori e parti in causa come il sindacato della magistratura, ha dichiarato di avere utilizzato una «formula infelice».

Dietro questi posizionamenti c’è la corsa alle presidenziali e alle legislative del 2022, con la sinistra «storica» e i Verdi da un lato e la France Insoumise di Mélenchon dall’altro. In un momento in cui la sinistra si presenta frammentata e senza un programma comune le divergenze sulla partecipazione o meno a una manifestazione caratterizzata a destra la dice lunga non solo sulle divisioni della «Gauche», e sulla subalternità di una parte dei suoi dirigenti all’agenda politica lepenista o macronista, ma anche sull’incomprensione del deterioramento dei rapporti fra polizia e cittadinanza. Un deterioramento che da un lato ha radici storiche nel modello di gestione dell’ordine pubblico in Francia, nel quale si mescolano ed entrano in tensione esperienza coloniale e tradizione giacobina, segregazione socio-razziale e universalismo repubblicano; dall’altro è stato accelerato dagli aspri conflitti sociali che hanno attraversato la società francese nell’ultimo quinquennio: dalle lotte contro la riforma del lavoro ai gilet gialli, dalla militarizzazione delle periferie alle dispute identitarie e xenofobe sull’islam e laicità.

In tutto questo la polizia e il modello di gestione dell’ordine pubblico hanno sempre avuto un ruolo centrale, nel controllo del territorio come nella repressione dei movimenti sociali, mentre nel dibattito pubblico si è imposta una visione dell’ordine pubblico sempre più securitaria, per la quale la sicurezza è sinonimo di ordine e non di benessere sociale. In questo quadro la polizia ha visto aumentare la sua centralità,il dibattito pubblico è entrato in una spirale securitaria e la polizia si è politicizzata sempre di più.

Per questo la marcia del 19 maggio, e la decisione di parteciparvi da parte di pezzi della sinistra, hanno fatto discutere. Se i sindacati di polizia denunciano uno stillicidio di colleghi morti in servizio, altri hanno risposto che il tasso di mortalità di svariati altri mestieri, dall’edilizia all’industria, sono molto più alti. Altri ancora hanno sottolineato che il numero dei suicidi fra gli agenti è maggiore del numero di agenti uccisi in servizio. O hanno evocato le numerosissime morti di cittadini uccisi dalla polizia durante controlli per strada, o durante delle feste, o persino in casa loro a causa del lancio di lacrimogeni.

La questione però non è tanto quella di equiparare, in una macabra contabilità, il tasso di mortalità dei poliziotti con quello degli operai edili o con quello delle vittime degli abusi polizieschi. Il punto non sono le statistiche ma il processo politico e la sequenza, tutt’altro che naturale, che dalla morte in servizio di un poliziotto ha portato a una manifestazione di polizia sotto la sede del potere legislativo con delle rivendicazioni che rimettono in discussione l’equilibrio dei poteri. E che da questa convocazione si sia passati all’adesione incondizionata della quasi totalità dell’arco parlamentare e del ministro dell’interno.

In Francia la polizia attraversa una crisi «sistemica», come riportato da svariati ricercatori. Ma se, come denunciano Edwy Plenel e Ellen Salvi, la politica è ridotta a polizia, allora questa crisi dell’ordine pubblico è una crisi sociale e la crisi della polizia una crisi politica «che non rivela il suo nome».

Francesco Massimo – membro della redazione di Jacobin Italia. Ha scritto per Dinamopress e il Manifesto. Attualmente vive in Francia dove fa ricerca e insegna a Sciences Po, Parigi. Recentemente ha collaborato alla redazione di un rapporto su conflitti e relazioni industriali in Amazon pubblicato dalla Rosa Luxemburg Stiftung.

da Jacobin Italia

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