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Francia: Stato d’ eccezione permanente

Il 15 dicembre è stato votato dal Parlamento il prolungamento dello stato d’emergenza, per la quinta volta dagli attentati del 13 novembre 2015. Giustificato dal «pericolo imminente» che minaccia il paese, l’emergenza è diventata una condizione onnipresente sia nel discorso politico che nella realtà quotidiana dei cittadini, in particolare dei migranti.

La legge del 3 aprile 1955, adottata per far fronte al «disordine in Algeria» come veniva qualificata al rivolta anti-coloniale, costituisce un modello che ha schiacciato irrimediabilmente le libertà democratiche in Francia. In attesa di un prossimo attentato, si continua a violare lo stato di diritto su scala nazionale, dopo averlo sospeso a tempo indeterminato nei quartieri popolari e nelle cités per oltre trent’anni. Anche il «modo di pensare o il comportamento che costituisce una minaccia» sono parte integrante della legge d’emergenza.

Lo stesso ministro dell’interno Cazeneuve – oggi diventato primo ministro al posto di Valls, candidato alle prossime elezioni presidenziali – al momento del penultimo rinnovo della Legge d’emergenza, il 20 luglio scorso, riconosceva che non si poteva rendere l’eccezione permanente. Logico, ma assurdo se si pensa che nello stesso giorno i poteri amministrativi accordati ai prefetti dal ministero dell’interno sono stati rinforzati e di fatto aumentati, con misure come le perquisizioni e la detenzione preventiva ai domiciliari in assenza di procedura giudiziaria.

É sufficiente il sospetto, il poliziotto si sostituisce al controllo di un magistrato, le informazioni vengono raccolte senza alcuna verifica, l’inchiesta eliminata o fatta a posteriori, mentre il sospettato resta in carcere oppure confinato in casa propria con obbligo di firma. La maggior parte dei dossier “amministrativi” sono farciti di notes blanches, brevi annotazioni generiche o documenti senza data e senza firma forniti dai servizi di sicurezza.

Gli altri strumenti sono l’allontanamento territoriale e il corollario di divieti che hanno duramente colpito i movimenti contro la legge sul lavoro, quelli a difesa dell’ambiente e in opposizione alle grandi opere. Dai controlli ai divieti di manifestare, l’arsenale dell’emergenza ha colpito manifestanti, militanti, abitanti, agricoltori, studenti, migranti.

Nessun arresto verificatosi durante le inchieste sugli attentati in Francia è stato fatto grazie allo stato d’eccezione. Queste pericolose misure non mirano direttamente le reti terroriste, la legislazione dello stato d’eccezione infatti è slegata dal «pericolo imminente» che ha dato origine all’emergenza.

Il fatto che le persone perquisite o costrette ai domiciliari non siano riconducibili ad un’appartenenza attiva, cioè militante dello Stato islamico, non ha alcuna importanza. Basta essere stati segnalati con «seri motivi» per immaginare che, eventualmente, ci sia una minaccia per l’ordine pubblico. Tutto si basa dunque sull’ipotesi del dubbio e questo meccanismo funziona per la micro-criminalità come per i soggetti considerati marginali.

Queste misure colpiscono ormai migliaia di persone, tra le quali centinaia con obbligo domiciliare che in seguito sono state prosciolte senza seguito giudiziario.

I numeri dicono che la giustizia, in quasi tutti i casi, non aveva alcun motivo di obbligare un sospettato a rimanere in casa per settimane o mesi, con conseguenze immaginabili per lavoro e famiglia. Nel frattempo una cinquantina di persone hanno le vite in sospeso da oltre un anno, a causa di una semplice decisione amministrativa e in assenza di un qualsivoglia procedimento giudiziario a carico. Su 4000 perquisizioni dal 14 novembre 2015, solo 61 si sono tramutate in indagini per fatti di terrorismo, delle quali 41 per apologia oppure per aver consultato siti che inneggiano alla guerra islamica e solo 20 per associazione a delinquere.

Una decisione prefettizia è una decisione amministrativa, il ricorso non può che svolgersi in ambito amministrativo, quindi con meno garanzie rispetto a quello giudiziario. Con tali strumenti e nella più assoluta arbitrarietà si gestisce la quotidianità dell’ordine pubblico, indipendentemente dalla minaccia del terrorismo.

Ci si trova in una situazione dichiaratamente fuori-legge che costituisce la norma.

Dalla Cop21 a Calais, durante le manifestazioni sportive o feste popolari, il regime dello stato d’eccezione è entrato nella vita collettiva ed in ogni spazio pubblico.

Le denunce dell’ abuso dell’emergenza come regola normativa sono numerose, sia da parte delle associazioni di difesa dei diritti fondamentali e delle libertà personali che da parte della Commissione nazionale consultativa dei diritti umani. Quest’ultima, il giorno stesso del voto sul prolungamento dello stato d’eccezione, ha rifiutato la banalizzazione dell’emergenza e l’equazione difesa dal governo di Hollande : «lo stato d’emergenza è lo stato di diritto. Perché previsto dalla legge». In questo le parole di Valls assomigliano a quelle di Erdogan: «Lo stato d’eccezione non è contrario alla democrazia, contro la legge e la libertà ma serve a proteggere e a difendere i suoi valori».

Lo stato d’eccezione risulta conforme alla Costituzione, senza rispettarne il pensiero, e la storia francese ricorderà il governo (socialista) del 2016 che ha usato la legge d’emergenza contro un movimento sociale. Ma l’aspetto più inquietante è il consenso generale, nell’assenza o quasi di discussione parlamentare e pubblica, il silenzio che ha accompagnato e di conseguenza permesso il rinnovo dello stato d’eccezione. L’avvicinarsi della scadenza elettorale ha istigato le destre all’incarcerazione preventiva per i “jihadisti” e radicalizzato le pratiche poliziesche.

In definitiva la Francia contemporanea è un paese che ha tutti gli strumenti di una dittatura e un potere de facto disposto ad utilizzarli.

Marina Nebbiolo da GlobalProject

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