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Da fortezza a prigione, l’Unione Europea sempre più dura con i migranti

Centri di detenzione ai confini, più rimpatri e meno diritti umani. Con qualche divisione a destra e a sinistra l’europarlamento vara il Patto migrazione. Ursula von der Leyen «Giornata storica». In rivolta le Ong: «Ci sarà solo più sofferenza.  La destra si spacca, il Pd ci ripensa. Il voto sul patto migranti, a ridosso delle elezioni europee, mette a nudo la confusione e l’opportunismo di quasi tutte le forze politiche

«Oggi è davvero una giornata storica. Dopo anni di intenso lavoro il Patto di migrazione e asilo diventa finalmente realtà». Ursula von der Leyen può tirare un sospiro di sollievo. Anche se con alcune divisioni nei gruppi che la compongono, la coalizione che cinque anni fa la elesse a capo della Commissione europea è riuscita ieri a far approvare, a maggioranza relativa e tra mille tormenti, nove regolamenti che detteranno le nuove politiche dell’Ue sull’immigrazione.

Un risultato scontato solo fino a un certo punto per le lacerazioni che hanno attraversato i Socialisti dove il Pd ha votato a favore di uno solo dei regolamenti. Divisioni che non hanno risparmiato neanche le destre riuniti nel gruppo Ecr guidato dalla premier Giorgia Meloni, con i polacchi del Pis compatti contro il Patto mentre Fratelli d’Italia ha scelto di votare caso per caso. Aumentando così le divergenze anche nella maggioranza di governo italiana, con la Lega che ha votato contro e Forza Italia a favore.

Scelte dettate da motivazioni diverse, ma che hanno contribuito ad alimentare la confusione tanto da far temere ai vertici dell’Ue di vedere uno dei pilastri sui quali von der Leyen ha lavorato in questi anni naufragare a poche settimane dal voto di giugno. Non a caso ieri mattina, intervenendo nel corso della plenaria, la commissaria agli Affari interni Ylva Johansson non ha esitato a richiamare all’ordine gli eurodeputati: «Se il voto sul pacchetto fallisce, falliamo tutti», ha ammonito.

L’obiettivo del Piano è quello di uniformare le regole tra gli Stati membri superando gli approcci nazionali, rendendo più veloce l’esame delle richieste di asilo di coloro che arrivano in Europa e, in caso di respingimento della domanda, i rimpatri.

Le nuove procedure prevedono la creazione alle frontiere di appositi centri dove identificare i migranti entro sette giorni, sottoponendoli a visita medica e ai controlli di sicurezza. Anche ai bambini con più di sei anni potranno essere prese le impronte digitali. Chi proviene da un paese che ha una percentuale di richieste di asilo accolte non superiore al 20% verrà rinchiuso in centri di permanenza speciali dai quali non potrà uscire e la sua richiesta di asilo esaminata entro tre mesi. In caso di respingimento dovrà essere espulso nei successivi tre mesi. Da questa procedura sono escluse le famiglie con figli minori e i minori non accompagnati, a meno che non siano stati ritenuti un rischio per la sicurezza.

E’ inoltre previsto che l’Ue accolga fino a 30 mila migranti l’anno e viene introdotta la cosiddetta solidarietà obbligatoria ma ogni stato membro potrà scegliere se farsi carico di una quota di richiedenti asilo oppure aiutare i paesi di primo approdo con un sostegno tecnico operativo oppure con contributi finanziari (è prevista la creazione di un fondo di 600 milioni di euro che gli Stati membri dovranno utilizzare in progetti destinati all’asilo o alla gestione delle frontiere). Infine nel caso dovessero crearsi situazioni di particolare emergenza in seguito a un numero particolarmente alto di sbarchi, un paese può chiedere al Consiglio Ue la dichiarazione di stato di crisi che prevede la distribuzione obbligatoria dei richiedenti asilo tra gli Stati membri. Per chi si rifiuta è previsto il pagamento di 20 mila euro per ogni mancato ricollocamento.

Un punto, quest’ultimo, alla base dell’opposizione al Patto da sempre espressa dall’Ungheria di Viktor Orbán che ieri per bocca del ministro degli Esteri Peter Szijjarto ha ribadito di considerare il Patto «essenzialmente un via libera all’immigrazione clandestina». E sulla stessa linea di Budapest si è detto anche il nuovo premier polacco Donald Tusk, contrario a un meccanismo di ricollocamento obbligatorio dei migranti.

Perché il Patto diventi operativo sono necessari però ancora alcuni passaggi, primo fra i quali il via libera da parte del Consiglio Ue che potrebbe avvenire il 29 aprile con un voto a maggioranza qualificata. Dopo di che la Commissione dovrà presentare un piano di attuazione, un impegno che Johansson ha detto di voler rispettare entro il prossimo mese di giugno.

Preoccupazione per le possibili conseguenze del Patto è stata espressa da numerose ong che da anni si occupano di immigrazione. Per Refugees Welcome Italia le nuove regole non solo cancellano il diritto di asilo come lo abbiamo conosciuto fino a oggi» ma «causeranno solo più sofferenza. Chi chiederà asilo in Europa non avrà più alcun diritto effettivo all’esame pieno della domanda di protezione internazionale, e potrà essere sistematicamente detenuto alle frontiere esterne dell’Unione».

Un voto tra confusione e opportunismo

La destra si spacca, il Pd ci ripensa. Il voto sul patto migranti, a ridosso delle elezioni europee, mette a nudo la confusione e l’opportunismo di quasi tutte le forze politiche, non solo per il voto in sé ma anche per le dichiarazioni che lo hanno accompagnato ieri. È una vittoria politica e culturale della destra, in Italia e in Europa, non solo per il testo in sé ma perché lo scontro è tutto sbilanciato sull’efficacia delle norme adottate nel fermare, espellere, controllare, respingere.

Le voci favorevoli all’accoglienza sono ridotte a un sussurro quasi irrilevante. FdI sino alla vigilia del voto era a favore del Patto, lo aveva rivendicato e sbandierato. Poi si è trovata messa all’angolo, incalzata dall’offensiva dei duri non solo del gruppo Identità e Democrazia ma anche di una parte rilevante dei Conservatori da un lato, nell’impossibilità di rimangiarsi del tutto i precedenti entusiasmi e di entrare in conflitto con la sua sponda privilegiata nel Ppe, quella di von der Leyen, Weber e Metsola dall’altro.

Se l’è cavata votando a favore 7 punti su 10 e apertamente contraria solo al passaggio sul ricollocamento obbligatorio, pena una multa di 20mila euro per migrante rifiutato da uno Stato membro.

Quel no la mette al riparo dalla rottura aperta con polacchi e ungheresi, che proprio su quel capitolo hanno già dichiarato guerra ma la lascia esposta agli attacchi corsari della Lega. Salvini non intende certo perdere l’occasione per mettere in difficoltà l’amica sul fronte più identitario che ci sia per la destra. «E’ un patto deludente che non risolve il problema dei flussi irregolari e clandestini, lasciando ancora una volta sola l’Italia», azzanna sui social.

Se la Lega tuona e disprezza, il ministro degli Interni in quota Carroccio Piantedosi brinda e applaude: «Il patto tiene conto delle esigenze dell’Italia. Dopo anni di stallo Dublino è finalmente superata». Vicino a via Bellerio, più vicino al governo.

Opposta e allineata alla posizione tripudiante del Ppe è Forza Italia: «E’ un passo importante che supera Dublino», assicura Tajani anche se non è affatto vero. In soccorso dell’amica Giorgia corrono sia la presidente della Commissione von der Leyen che quella dell’Europarlamento Metsola. Si sbracciano per assicurare che l’Italia non sarà mai più sola e i controlli impediranno ai trafficanti di decidere loro chi entra e chi no. La durezza, fanno capire nemmeno troppo tra le righe, ci sta tutta. Hanno tutti torto e tutti ragione, a destra. Il Patto naviga vigorosamente nella direzione che auspicano. Rende tutto più duro e difficile per i migranti. Mette concettualmente al bando l’accoglienza. Poi, complici l’interesse elettorale e il posizionamento propagandistico qualcuno esalta il passo avanti, altri fanno l’opposto. Ma nessuno intende accontentarsi e fermarsi qui.

Sull’altra sponda il Pd ha votato a favore solo della norma bocciata da FdI. Decisione encomiabile e lo sarebbe ancora di più se in Commissione la posizione non fosse stata opposta.

Con la sola eccezione di Pietro Bartolo, il medico di Lampedusa contrario dall’inizio al Patto: caso più unico che raro tra i socialisti europei. Ora, per fortuna, il Pd si è accorto che quel testo presenta «gravi e inaccettabili manchevolezze sui diritti umani» e non va oltre Dublino.

Il Pd almeno ci prova a tenere in equilibrio le due motivazioni del pollice verso, quella umanitaria e quella rigorista. I 5S no: «Meloni ha condannato l’Italia a diventare l’hotspot d’Europa». Si commenta da sé.

(Leo Lancari e Andrea Colombo da il manifesto)

 

 

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