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Erdogan lancia l’attacco, bombe e cannonate sulle città curde

Ieri appena i soldati statunitensi hanno evacuato le due postazioni frontaliere di Ras al Ayn e Tal Abyad, la Turchia ha dato inizio alla “Operazione fonte di pace” – così l’ha chiamata il Erdogan – contro il popolo curdo nel Rojava.

Aggressione della Turchia contro la Siria del Nord e il confederalismo democratico: giorno 2.

La Turchia ha ripreso a bombardare aree nel nord-est della Siria a ridosso della frontiera. Prosegue così l’aggressione di Ankara e degli jihadisti al loro soldo, come il sedicente “Esercito siriano libero”, contro il confederalismo democratico, che ieri, mercoledì 9 ottobre, secondo quanto riferiscono i turchi, ha colpito 181 postazioni oltreconfine.

Le forze curdo-siriane – attaccate alle spalle anche da cellule dell’ Isis – hanno colpito basi turche e degli jihadisti loro alleati attorno a Nusayibin, distruggendo quattro carri armati al valico di frontiera di Tal Abyad (Gire Spi in curdo). Altri duri scontri a Ras Al Ayn (Serekanye in curdo), altro valico di frontiera dove jihadisti e soldati di Ankara stanno puntando. L’offensiva turca ha prodotto già le prime vittime: le stesse forze curdosiriane confermano 11 morti tra ieri e stanotte. 8 sono civili, tra cui un bambino di 11 anni, Turkiya Hami. 3 invece sono combattenti.

Perdite pure tra gli jihadisti filoturchi, e 5 soldati turchi. La notizia è stata diffusa dai media curdosiriani: Ankara, come da tradizione, tiene nascosti eventuali morti e feriti tra le proprie fila, mentre diffonde notizie secondo le quali i soldati starebbero avanzando sul terreno oltreconfine. Una versione negata, al momento, da fonti ufficiali FDS.

L’attacco turco colpisce, deliberatamente, le zone più densamente abitate dai civili. In 100mila hanno lasciato la zona del conflitto, dove però rimangono, al fianco delle FDS, anche molti residenti, armi in pugno. In Rojava i segnali internet e telefono sono deboli, con ogni probabilità per il sabotaggio turco.

Sul fronte diplomatico, oggi, giovedì, riunione del consiglio di sicurezza Onu chiesta da diversi paesi europei. Domani, venerdì, il segretario generale Nato Jens Stoltenberg sarà in Turchia per incontrare Erdogan, che poche ore fa ha comunicato l’apertura di un’inchiesta interna per “propaganda terroristica”, ossia commenti di critica all’offensiva. 80 almeno gli indagati, tra loro anche gli attuali co-leader del partito della sinistra curda e turca Hdp, terza forza nel Parlamento turco, i deputati Sezai Temelli e Pervin Buldan. Il quotidiano di sinistra Birgun ha denunciato che il suo caporedattore web, Hakan Demir, è stato arrestato dalla polizia nella sua abitazione.

E l’Italia? Poche, imbarazzate e insignificanti le parole del governo, a partire dal premier Conte e dal ministro competente, Di Maio. A lui, e al governo, è rivolto l’appello di Rete Disarmo, che chiede all’esecutivo di fermare la vendita di armi italiane agli aggressori turchi, come gli elicotteri T129. Negli ultimi 4 anni l’Italia ha autorizzato forniture militari per 890 milioni di euro e consegnato materiale di armamento per 463 milioni di euro: armi o sistemi d’arma pesanti, munizioni, bombe, siluri, arazzi, missili e accessori oltre ad apparecchiature per la direzione del tiro, aeromobili e software.

Fuori dai palazzi, invece, inizia a mostrarsi la solidarietà, a partire dall’appello diffuso dalla Mezzaluna Rossa Kurdistan Italia Onlus, che (CLICCA QUI) ha aperto una raccolta fondi immediata, per fronteggiare l’emergenza umanitaria del Nord-Est della Siria nel minor tempo possibile. Nelle piazze intanto, dopo i primi presidi, nella notte sanzionato il Consolato turco di Genova. Vernice rosso sangue è stata lanciata contro la porta della sede nella centrale piazza De Ferrari mentre sull’asfalto è comparsa la scritta “Rojava resiste”. Nelle Marche invece il Garante dei Difensori Civici, Andrea Nobili, ha annunciato che diserterà, per protesta, la Conferenza internazionale su tutela dei diritti e buona amministrazione, in calendario a Istanbul a metà novembre.

La giornata clou di mobilitazione sarà quella di sabato 12 ottobre, quando il Congresso Nazionale del Kurdistan, KNK, ha lanciato una giornata internazionale di solidarietà contro l’offensiva dell’autocrate fascista Erdogan e a sostegno della resistenza del confederalismo democratico, che unisce curdi, assiri, cristiani, yazidi, arabi, in un’ottica democratica, socialista, femminista, ambientalista e anticonfessionale. Centinaia gli appuntamenti, soprattutto in Europa.

A Roma ci sarà un corteo. Presidi e sit in in costruzione anche in tutta Italia. Già questo pomeriggio, alle ore 18, corteo a Firenze, la città di Lorenzo “Orso” Tekosher Orsetti, con partenza da piazza Santa Maria Novella per raggiungere il Consolato Usa. I famigliari di Orso hanno diffuso una lettera aperta, invitando alla mobilitazione.

La situazione sul terreno e il punto sulla resistenza di compagne e compagni del confederalismo democratico con Luigi D’Alife, regista del documentario Binxet, girato proprio al confine tra Siria e Turchia, e attivista solidale con il confederalismo democratico. Ascolta o scarica

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Rojava, «chiuso» per tradimento americano

Terrore turco. In poche parole una parte del Rojava si prepara a diventare la nuova «casa» dei jihadisti dell’Isis, di Al Qaida e di altri gruppi estremisti che in questi anni, di volta in volta, si sono alleati anche con la Turchia. L’obiettivo di Erdogan è creare un «Muro» jihadista e integralista che si oppone ai curdi e possa essere poi manovrato anche per insidiare la rioccupazione di territori da parte di Assad

Con l’attacco della Turchia alla Siria è ufficiale: abbiamo venduto la pelle dei curdi che gli americani avevano usato come maggiore alleato contro il Califfato. In fondo si poteva immaginare quando entrai a Kobane il primo ottobre del 2014 e la città era in mano per il 70% ai jihadisti: l’aviazione Usa dava un sostegno minimo alla resistenza per non inimicarsi la Turchia, secondo esercito della Nato e alleata dell’Isis con cui sperava di abbattere Assad, prendersi la regione di Aleppo in Siria e magari pure Mosul con il suo petrolio in Iraq. Insomma quello che Ataturk aveva dovuto cedere con la disgregazione dell’impero ottomano.

Con la sconfitta dell’Isis, a opera anche dei siriani, delle milizie sciite, degli iraniani e degli Hezbollah libanesi, Erdogan ha dovuto ridimensionare i suoi piani di Sultano del Medio Oriente e questa è la ricompensa per farlo tornare nell’alveo della Nato.

Tutto questo dopo avere stretto amicizia con Putin ma anche con Teheran: la pelle dei curdi e il Rojava, l’unico esperimento di governo della regione che ricordi uno stato laico europeo.

Il cartello del Rojava, «fabbrica democratica» al confine turco-siriano adesso dice: «Chiuso per tradimento americano».

Persino i repubblicani, che dovrebbero salvare il presidente dall’impeachment, chiedono a Trump di tornare sulla decisione di ritirare le truppe americane che avrebbero dovuto fare da diaframma tra turchi e curdi in questa «safe zone», zona sicura che è diventata un nuovo campo di battaglia di una «guerra mondiale a pezzi», come la definì il Papa.

MA IL ROJAVA RISCHIA di trasformarsi in una trappola dalle conseguenze imprevedibili.  Per Trump che ha tradito un alleato e ha dato un ulteriore colpo alla sua assai residua credibilità e a quella degli Stati uniti. Già nel dicembre scorso il presidente aveva gettato nel panico gli alleati degli Stati uniti dopo il suo annuncio di voler ritirare i 2mila soldati, giustificato dal fatto di avere sconfitto lo Stato islamico. Se il Rojava si disgrega potrebbero essere liberati dai turchi o fuggire migliaia di combattenti dell’Isis in mano ai curdi.

Non solo. Erdogan dice di volere trasferire qui una parte dei suoi tre milioni di profughi siriani.

È una possibilità che viene però accompagnata da una certezza: il leader turco schiererà in Siria le milizie filo-turche islamiste e magari pure i jihadisti che si dovessero ritirare di Idlib quando verrà presa dalle forze siriane e russe.

In poche parole una parte del Rojava si prepara a diventare la nuova «casa» dei jihadisti dell’Isis, di Al Qaida e di altri gruppi estremisti che in questi anni, di volta in volta, si sono alleati anche con la Turchia. L’obiettivo di Erdogan è creare un «Muro» jihadista e integralista che si oppone ai curdi e possa essere poi manovrato anche per insidiare la rioccupazione di territori da parte di Assad.

TANTO È VERO CHE L’ISIS ieri rivendicava attacchi alle milizie curde, un segnale inequivocabile che la Turchia, nonostante le dichiarazioni ufficiali, non ha abbandonato l’idea di creare sacche di territorio siriano in mano agli integralisti.

Questo scenario per niente improbabile la dice lunga sulle mosse sconsiderate della Casa bianca che sta berciando su possibili ritorsioni economiche e politiche contro Ankara, «nel caso superasse i limiti», ben sapendo di avere dato il via libera a Erdogan.

Se l’obiettivo strategico è far tornare la Turchia nell’ambito Nato si tratta di dichiarazioni prive di consistenza. Ma vediamo come e per chi potrebbe scattare ulteriormente la trappola del Rojava. Russia e Iran teoricamente potrebbero avvantaggiarsi: i curdi lasciati senza protezione Usa sarebbero spinti gettarsi nella braccia di Putin e degli ayatollah. Ma anche Mosca e Teheran devono essere prudenti perché Ankara è il partner per la sistemazione della Siria e deve contribuire, ritirando le milizie filo-turche, alla liberazione Idlib, che oggi per il regime di Damasco è più strategica del Rojava.

MOSCA, pur criticando come l’Iran la mossa della Turchia, con la crisi siriana ha portato Erdogan dalla sua parte vendendogli persino il sistema anti-missilistico S-400: risultati cui Putin non vorrebbe rinunciare per difendere i curdi. Certo l’offensiva turca, impegnando le milizie curde, offre ad Assad l’opportunità di muovere le truppe a Est dell’Eufrate e non è da escludere che temporaneamente Damasco si trasformi in alleato dei curdi.
Ma anche questo potrebbe non piacere a Mosca che dovrebbe giostrare in bilico tra Ankara e Damasco.

QUANTO ALL’EUROPA è solo una linea sotto Trump quanto a ipocrisia. Si esaltano i curdi come combattenti per la libertà ma la Germania è andata ad Ankara promettendo a Erdogan altri soldi dell’Unione per bloccare la rotta balcanica dei profughi e accettando di fatto l’invasione del Rojava «per il ritorno dei rifugiati siriani».

Quanto all’Italia qui è meglio che stiano zitti: il paese è colonizzato, come testimonia l’arrivo a Roma di Gina «la sanguinaria»: il capo della Cia, Gina Haspel, è venuta a dare una mano a «Giuseppi» che in agosto qualche guaio con gli uomini di Trump deve averlo combinato. «Sopire e troncare, troncare e sopire»: il Conte Giuseppe ormai somiglia al manzoniano Conte Zio.

Alberto Negri

da il manifesto

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Tutti in piazza contro la guerra di Erdogan

L’appello alla mobilitazione internazionale per sabato 12 ottobre. Già numerose le iniziative di solidarietà nelle città italiane

La reazione all’inziativa militare di Erdogan nel Rojava, denominata Peace Spring, ha già travalicato i confini territoriali, grazie al lavoro delle associazioni della diaspora curda e dei tanti comitati di solidarietà in tutto il mondo.
Il Rojava Solidarity Committee Europe in una nota indice una giornata mondiale di protesta, sabato 12 ottobre, contro «l’invasione turca e la pulizia etnica dei curdi nel nord della Siria». «Fin dall’istituzione dell’autonomia democratica curda nella Siria settentrionale e orientale (DASA), il confine tra Turchia e Siria settentrionale e orientale è stato molto sicuro e nessuna azione armata contro la Turchia ha avuto origine da questo territorio» si legge nel comunicato che non manca di criticare apertamente la svolta improvvisa dell’’amministrazione Trump. «Più di 11.000 uomini e donne delle forze di sicurezza della Siria settentrionale e orientale hanno dato la vita per liberare questa regione dall’Isis» prosegue la nota.
Per il 12 ottobre, a concludere, un invito alla società civile a manifestare contro l’inziativa bellica di Erdogan. La chiamata è stata già accolta in molte città europee, dove cortei e sit-in contro la guerra sono stati convocati per la giornata di sabato. Anche in Italia tante le azioni di solidarietà e le espressioni di preoccupazione per la popolazione curda, come quella di Giorgio Beretta, analista per la Rete Italiana per il Disarmo: «È giunto il momento che anche il Parlamento faccia sentire la propria voce chiedendo lo stop alle forniture di sistemi militari di produzione italiana fino a che la situazione non sarà chiarita. L’appartenenza della Turchia alla Nato non può costituire un alibi».
Questa mattina nella sala stampa della Camera dei deputati è in corso una conferenza stampa nella quale interverrà tra gli altri Dalbr Jomma Issa, la comandante delle YPJ che ha guidato le operazioni che hanno portato alla liberazione di Raqqa dalle milizie Isis, nel 2017. Ieri si sono svolti presidi di solidarietà a Roma, Padova, Parma e un’assemblea pubblica a Pisa. Oggi è prevista una manifestazione a Firenze sotto il consolato americano. Mentre domani sono previste iniziative a Catania, Genova, Mantova e Modena.
Saranno comunicate nel corso delle prossime ore le manifestazioni che si terranno in molte città italiane ed europee sabato 12 ottobre. Gli aggiornamenti in tempo reale sul calendario delle proteste in Italia sono consultabili sul sito retekurdistan.it e sulle pagine social di Rete Kurdistan Italia.

Shendi Veli

da il manifesto