Con l’attacco della Turchia alla Siria è ufficiale: abbiamo venduto la pelle dei curdi che gli americani avevano usato come maggiore alleato contro il Califfato. In fondo si poteva immaginare quando entrai a Kobane il primo ottobre del 2014 e la città era in mano per il 70% ai jihadisti: l’aviazione Usa dava un sostegno minimo alla resistenza per non inimicarsi la Turchia, secondo esercito della Nato e alleata dell’Isis con cui sperava di abbattere Assad, prendersi la regione di Aleppo in Siria e magari pure Mosul con il suo petrolio in Iraq. Insomma quello che Ataturk aveva dovuto cedere con la disgregazione dell’impero ottomano.
Con la sconfitta dell’Isis, a opera anche dei siriani, delle milizie sciite, degli iraniani e degli Hezbollah libanesi, Erdogan ha dovuto ridimensionare i suoi piani di Sultano del Medio Oriente e questa è la ricompensa per farlo tornare nell’alveo della Nato.
Tutto questo dopo avere stretto amicizia con Putin ma anche con Teheran: la pelle dei curdi e il Rojava, l’unico esperimento di governo della regione che ricordi uno stato laico europeo.
Il cartello del Rojava, «fabbrica democratica» al confine turco-siriano adesso dice: «Chiuso per tradimento americano».
Persino i repubblicani, che dovrebbero salvare il presidente dall’impeachment, chiedono a Trump di tornare sulla decisione di ritirare le truppe americane che avrebbero dovuto fare da diaframma tra turchi e curdi in questa «safe zone», zona sicura che è diventata un nuovo campo di battaglia di una «guerra mondiale a pezzi», come la definì il Papa.
MA IL ROJAVA RISCHIA di trasformarsi in una trappola dalle conseguenze imprevedibili. Per Trump che ha tradito un alleato e ha dato un ulteriore colpo alla sua assai residua credibilità e a quella degli Stati uniti. Già nel dicembre scorso il presidente aveva gettato nel panico gli alleati degli Stati uniti dopo il suo annuncio di voler ritirare i 2mila soldati, giustificato dal fatto di avere sconfitto lo Stato islamico. Se il Rojava si disgrega potrebbero essere liberati dai turchi o fuggire migliaia di combattenti dell’Isis in mano ai curdi.
Non solo. Erdogan dice di volere trasferire qui una parte dei suoi tre milioni di profughi siriani.
È una possibilità che viene però accompagnata da una certezza: il leader turco schiererà in Siria le milizie filo-turche islamiste e magari pure i jihadisti che si dovessero ritirare di Idlib quando verrà presa dalle forze siriane e russe.
In poche parole una parte del Rojava si prepara a diventare la nuova «casa» dei jihadisti dell’Isis, di Al Qaida e di altri gruppi estremisti che in questi anni, di volta in volta, si sono alleati anche con la Turchia. L’obiettivo di Erdogan è creare un «Muro» jihadista e integralista che si oppone ai curdi e possa essere poi manovrato anche per insidiare la rioccupazione di territori da parte di Assad.
TANTO È VERO CHE L’ISIS ieri rivendicava attacchi alle milizie curde, un segnale inequivocabile che la Turchia, nonostante le dichiarazioni ufficiali, non ha abbandonato l’idea di creare sacche di territorio siriano in mano agli integralisti.
Questo scenario per niente improbabile la dice lunga sulle mosse sconsiderate della Casa bianca che sta berciando su possibili ritorsioni economiche e politiche contro Ankara, «nel caso superasse i limiti», ben sapendo di avere dato il via libera a Erdogan.
Se l’obiettivo strategico è far tornare la Turchia nell’ambito Nato si tratta di dichiarazioni prive di consistenza. Ma vediamo come e per chi potrebbe scattare ulteriormente la trappola del Rojava. Russia e Iran teoricamente potrebbero avvantaggiarsi: i curdi lasciati senza protezione Usa sarebbero spinti gettarsi nella braccia di Putin e degli ayatollah. Ma anche Mosca e Teheran devono essere prudenti perché Ankara è il partner per la sistemazione della Siria e deve contribuire, ritirando le milizie filo-turche, alla liberazione Idlib, che oggi per il regime di Damasco è più strategica del Rojava.
MOSCA, pur criticando come l’Iran la mossa della Turchia, con la crisi siriana ha portato Erdogan dalla sua parte vendendogli persino il sistema anti-missilistico S-400: risultati cui Putin non vorrebbe rinunciare per difendere i curdi. Certo l’offensiva turca, impegnando le milizie curde, offre ad Assad l’opportunità di muovere le truppe a Est dell’Eufrate e non è da escludere che temporaneamente Damasco si trasformi in alleato dei curdi.
Ma anche questo potrebbe non piacere a Mosca che dovrebbe giostrare in bilico tra Ankara e Damasco.
QUANTO ALL’EUROPA è solo una linea sotto Trump quanto a ipocrisia. Si esaltano i curdi come combattenti per la libertà ma la Germania è andata ad Ankara promettendo a Erdogan altri soldi dell’Unione per bloccare la rotta balcanica dei profughi e accettando di fatto l’invasione del Rojava «per il ritorno dei rifugiati siriani».
Quanto all’Italia qui è meglio che stiano zitti: il paese è colonizzato, come testimonia l’arrivo a Roma di Gina «la sanguinaria»: il capo della Cia, Gina Haspel, è venuta a dare una mano a «Giuseppi» che in agosto qualche guaio con gli uomini di Trump deve averlo combinato. «Sopire e troncare, troncare e sopire»: il Conte Giuseppe ormai somiglia al manzoniano Conte Zio.
Alberto Negri
da il manifesto
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Tutti in piazza contro la guerra di Erdogan
L’appello alla mobilitazione internazionale per sabato 12 ottobre. Già numerose le iniziative di solidarietà nelle città italiane
La reazione all’inziativa militare di Erdogan nel Rojava, denominata Peace Spring, ha già travalicato i confini territoriali, grazie al lavoro delle associazioni della diaspora curda e dei tanti comitati di solidarietà in tutto il mondo.
Il Rojava Solidarity Committee Europe in una nota indice una giornata mondiale di protesta, sabato 12 ottobre, contro «l’invasione turca e la pulizia etnica dei curdi nel nord della Siria». «Fin dall’istituzione dell’autonomia democratica curda nella Siria settentrionale e orientale (DASA), il confine tra Turchia e Siria settentrionale e orientale è stato molto sicuro e nessuna azione armata contro la Turchia ha avuto origine da questo territorio» si legge nel comunicato che non manca di criticare apertamente la svolta improvvisa dell’’amministrazione Trump. «Più di 11.000 uomini e donne delle forze di sicurezza della Siria settentrionale e orientale hanno dato la vita per liberare questa regione dall’Isis» prosegue la nota.
Per il 12 ottobre, a concludere, un invito alla società civile a manifestare contro l’inziativa bellica di Erdogan. La chiamata è stata già accolta in molte città europee, dove cortei e sit-in contro la guerra sono stati convocati per la giornata di sabato. Anche in Italia tante le azioni di solidarietà e le espressioni di preoccupazione per la popolazione curda, come quella di Giorgio Beretta, analista per la Rete Italiana per il Disarmo: «È giunto il momento che anche il Parlamento faccia sentire la propria voce chiedendo lo stop alle forniture di sistemi militari di produzione italiana fino a che la situazione non sarà chiarita. L’appartenenza della Turchia alla Nato non può costituire un alibi».
Questa mattina nella sala stampa della Camera dei deputati è in corso una conferenza stampa nella quale interverrà tra gli altri Dalbr Jomma Issa, la comandante delle YPJ che ha guidato le operazioni che hanno portato alla liberazione di Raqqa dalle milizie Isis, nel 2017. Ieri si sono svolti presidi di solidarietà a Roma, Padova, Parma e un’assemblea pubblica a Pisa. Oggi è prevista una manifestazione a Firenze sotto il consolato americano. Mentre domani sono previste iniziative a Catania, Genova, Mantova e Modena.
Saranno comunicate nel corso delle prossime ore le manifestazioni che si terranno in molte città italiane ed europee sabato 12 ottobre. Gli aggiornamenti in tempo reale sul calendario delle proteste in Italia sono consultabili sul sito retekurdistan.it e sulle pagine social di Rete Kurdistan Italia.
da il manifesto