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Divagazioni libertarie su: Mono Azul, guerra civile spagnola, Lorca, Weil …

Il riferimento all’anarchismo che – talvolta – emerge parlando di Federico Garcia Lorca (in qualche occasione direttamente da parte dall’interessato, vedi un paio delle sue numerosissime interviste) andrebbe inteso più che altro in senso artistico, letterario.

Anche se qualche coincidenza di natura politica – volendo – si potrebbe anche ripescarla.

Prima coincidenza. Il fatto che andando a presentare con La Barraca le opere teatrali del Siglo de Oro nei villaggi rurali e nei quartieri operai indossasse – a quanto riferiscono i biografi – il mitico mono azul.

Messa in scena? Paternalismo? Forse, ma non solo. Lorca partecipava sinceramente delle sofferenze del popolo, degli oppressi. Per quanto rimanesse sostanzialmente un riformista, non certo un rivoluzionario, quella di indossare la tuta blu degli operai rappresentava una precisa scelta di campo antifascista.*

Sappiamo infatti che il mono azul era – di fatto – anche una sorta di divisa dei lavoratori manuali sindacalizzati. E ancor più lo divenne nel corso della guerra civile quando le milizie, in particolare quelle libertarie della FAI, della CNT e del POUM (e anche alcuni volontari internazionalisti come Rosselli) usavano tale indumento – pratico se non comodo – in trincea e in battaglia. Anche perché – presumibilmente – altri non ne avevano. Tra l’altro questo potrebbe spiegare perché durante la Resistenza i partigiani azionisti (politicamente gli eredi di Giustizia e Libertà) indossassero talvolta la tuta blu (mentre i comunisti, quando potevano scegliere, preferivano abiti di foggia militare).

Un esplicito richiamo alla militanza di Carlo Rosselli in una colonna mista di anarchici italiani (tra cui Camillo Berneri) ed esponenti di Giustizia e Libertà?

Seconda coincidenza. Da più parti ci si ostina a dire che il luogo preciso (comunque localizzato nel territorio di Fuentegrande de Alfacar, nei pressi di Granada) dove venne sepolto l’autore di Poeta en Nueva York  non è stato ancora ritrovato. E’ invece assai probabile che qualche anno fa venisse identificato. Tuttavia i discendenti ne avevano impedito (o comunque fatto sospendere) la riesumazione in quanto il cadavere potrebbe essere stato deturpato – con un volgare riferimento alla sua omosessualità – dagli aguzzini di Lorca. Ma la coincidenza anarquista in che cosa consisteva allora? Insieme a quello del poeta – nella medesima fossa comune – erano stati interrati altri corpi, tra cui quelli di due militanti anarchici fucilati con Garcia Lorca (Joaquin Arcollas e Francisco Galadi). Tutto qui, ma la cosa è perlomeno curiosa.

Tornando poi sul mono azul è inevitabile ripensare alle immagini in tuta da operaia di Simone Weil.

Anche se in genere all’epoca le lavoratrici indossavano camici o grembiuli, una in particolare viene sovente utilizzata a commento della  sua – per quanto breve – esperienza da lavoratrice di fabbrica (anche alla Renault).

In realtà osservando attentamente tale fotografia si intravede una parte (due lettere) della sigla CNT, il sindacato degli anarchici nella penisola iberica, massicciamente presente soprattutto nella Catalogna.

Non solo. Sembra proprio venisse scattata a Barcellona dato che alle sue spalle si nota un tipico platano delle Ramblas. O almeno nelle rare occasioni in cui la foto viene pubblicata integralmente (l’albero di solito risulta “tagliato”). Nonostante i buoni propositi, Simone Weil venne presto allontanata dall’impiego delle armi. Durante l’addestramento militare i suoi compagni rischiavano di venir colpiti dalla maldestra volontaria (forse per scarsità di diottrie) e quindi si preferì dirottarla alle cucine. Anche qui però la tormentata filosofa incontrò qualche difficoltà, ustionandosi seriamente per aver messo il piede in una padella di olio bollente. Alla fine decise quindi di smobilitare individualmente rientrando in Francia (su richiesta degli apprensivi genitori che l’avevano raggiunta).

A posteriori –  quasi per giustificare la sua defezione – evocherà la delusione provata, a suo dire, per il comportamento dei miliziani repubblicani.

In particolare per alcuni “eccessi” che sarebbero stati commessi dagli anarchici (episodi che per lo più le erano stati riferiti, quindi con beneficio d’inventario). Quelli di cui racconterà nell’infelice e inopportuna lettera a George Bernanos. Quantomeno una “caduta di stile”  per quel discutibile e sproporzionato paragone tra i crudeli massacri  operati dai fascisti italiani a Maiorca  (migliaia di morti: una vicenda riportata – ma direi piuttosto timidamente – in qualche pagina de I grandi cimiteri sotto la luna) e le presunte intemperanze della Colonna Durruti.

Con paragoni assolutamente improponibili.

Va anche detto che prima di morire prematuramente (stando almeno a quanto ebbe a dichiarare la nipote dopo la seconda guerra mondiale) Simone Weil avrebbe fatto in tempo a ricredersi. Dopo essere venuta a conoscenza dei ben più gravi misfatti commessi dai franchisti e dai loro alleati italiani e tedeschi nei confronti delle popolazioni iberiche (e dei Repubblicani in particolare, vedi le sacas). E anche della sorte disgraziata toccata alle altre donne miliziane del suo gruppo.

Gianni Sartori

* nota 1:  El mono azul era anche la rivista dell’Alianza de Intelectuales Antifascistas para la Defensa de la Cultura durante la Guerra civile.

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