Menu

Se a discriminare gli stranieri sono le forze dell’ordine

Uno studio del Progetto LAW rivela che a discriminare maggiormente gli stranieri che vivono in Italia sono le forze di polizia

di Damiano Aliprandi

Basato sulle testimonianze di 522 cittadini di origine straniera, uno studio condotto nell’ambito del Progetto LAW (acronimo che sta per Leverage the Access to Welfare, ed è un progetto di ASGI e del Centro Studi Medì di Genova), rivela che il settore percepito come maggiormente discriminatorio è la ricerca dell’abitazione. A seguire le discriminazioni più frequenti avvengono anche nel rapporto con gli uffici pubblici (33%), sui mezzi di trasporto pubblici (31%), in ambito sanitario (30%) e nel rapporto con i servizi privati (26%) e con le forze di polizia (25%).

Dallo studio, condotto dalla ricercatrice Deborah Erminio, emerge anche che il livello di discriminazione non dipende da quanto tempo una persona straniera vive in Italia né dal livello di integrazione della persona, ma dallo sguardo di chi discrimina. Interessante il capitolo sul comportamento discriminatorio delle forze di pubblica sicurezza, le quali sono un elemento nevralgico nella gestione del fenomeno migratorio, visto che a loro spetta il controllo del territorio e che, nell’esercitare questo controllo, possono selezionare le persone in base a criteri di pericolosità e criminalità, concentrando la loro attenzione su alcuni soggetti piuttosto che altri.

Nella ricerca di LAW, viene spiegato che entrano in gioco i processi di etichettamento, non solo certe retoriche comuni che i poliziotti condividono con il resto della società e che influenzano inevitabilmente la loro percezione dell’immigrato (il “diverso” che genera insicurezza), ma anche alcuni elementi che afferiscono maggiormente all’operato delle forze dell’ordine. Ad esempio – sottolinea la ricerca – è più probabile che vengano fermati e controllati i maschi adulti, in particolare quelli più giovani (in generale i giovani vengono controllati di più perché vivono gli spazi pubblici della città in maniera diversa, stanno fuori più tardi la sera, sono percepiti come fonte di disturbo e insicurezza in strada, ecc…).

Età e nazionalità agiscono come “apparenze scorrette” che orientano i poliziotti a fermare più spesso le persone di una certa nazionalità, come è emerso anche dal questionario: marocchini, tunisini, egiziani, gambiani, ecuadoriani, bangladesi, turchi e albanesi dichiarano più di altri intervistati di venire fermati per strada per il controllo dei documenti.

Complessivamente – approfondisce il progetto LAW – vengono fermati più spesso gli africani e gli asiatici, con importanti differenze tra aree di provenienza: sono molto più controllate le persone provenienti dal sud- est asiatico (soprattutto gli uomini), raramente i filippini forse perché corrispondono allo stereotipo dell’immigrato che non crea problemi o dell’immigrato “docile” e dedito al lavoro, che magari non è in regola con i documenti, ma non rientra nello stereotipo del personaggio pericoloso a cui è necessario prestare attenzione. “Non è quindi solo la linea del colore quella che demarca il confine tra chi viene controllato e chi no – si legge nell’interessante capitolo della ricerca -, ma piuttosto un insieme di tratti negativi che definiscono la rappresentazione del potenziale criminale, poiché gli agenti di pattuglia agiscono cercando di massimizzare la probabilità di selezionare, tra i passanti, quelli che potrebbero risultare pericolosi”.

In generale gli uomini vengono fermati e controllati più spesso che le donne e subiscono in genere più episodi discriminatori quando si trovano in questi frangenti. Complessivamente, in base al campione scelto dal progetto LAW – non sono molte le persone che entrano in contatto con le forze di polizia: su 350 persone circa che hanno risposto a questa batteria di domande la maggior parte (il 78%) sostiene che i controlli siano veramente rari e nel 13,9% dei casi avvengono qualche volta all’anno. Tuttavia ciò che colpisce ai ricercatori è il sentimento che traspare dalle parole di molti intervistati e la sensazione di una costante discriminazione agita nei loro confronti, indipendentemente dall’avere la cittadinanza estera o dall’aver acquisito la cittadinanza italiana (la variabile cittadinanza non influisce sulla frequenza dei controlli della polizia).

Emerge bene dalle parole di alcuni intervistati che hanno risposto alla domanda aperta: “C’è qualche altro modo in cui è stato discriminato o è stato trattato ingiustamente quando ha incontrato le forze di polizia?”. Ecco alcune risposte: “Quando durante un controllo di polizia mi hanno chiesto i documenti e io ancora non ero in possesso, mi hanno portato in commissariato una notte”; “Ci sono quelli che mi hanno trattato abbastanza bene, ma c’erano anche quelli che mi hanno fatto sentire che non valevo niente”; “Sono stata trattata in modo scortese e arrogante”; “Fanno controlli mirati: solo sugli stranieri”; “La polizia è venuta da me alle 11 di sera a chiedere un documento che, secondo loro, mancava nella richiesta del permesso di soggiorno”; “Sono soggetto a pregiudizi e stereotipi”. Ancora altre risposte alla domanda aperta sull’eventuale discriminazione subita dalle forze di polizia: “È evidente che quando hanno a che fare con me hanno un occhio di riguardo in qualsiasi mio gesto, quasi come se potessi essere una minaccia”; “Solo una volta: eravamo quattro amici ad aspettare il nostro treno che era in ritardo, sono arrivati i poliziotti, hanno controllato i nostri documenti. Allo stesso modo, un paio di volte si sono fermati e hanno controllato i documenti”; “Quando ho perso i documenti, sono andato dai carabinieri che giravano per la stazione di Porta Nuova per denunciare, ma non mi hanno ascoltato nemmeno guardandomi. Devo attirare la loro attenzione prima che mi parlino”.

Altra questione che emerge è quanto il rapporto con le forze dell’ordine è più complesso del previsto nel senso che vi è una forte distinzione tra vari corpi di polizia deputati al controllo del territorio e gli uffici preposti al rilascio/ rinnovo del permesso di soggiorno. La Questura in particolare emerge come l’ufficio in cui gli intervistati hanno sperimentato maggiori situazioni discriminatorie: “In questura quando rinnovavamo il permesso di soggiorno; i poliziotti sono sempre stati scontrosi e ci davano sempre del tu”; “Quando sono andata in Questura per chiedere informazioni per un visto turistico per mia sorella”; “In Questura un poliziotto ha risposto con arroganza quando avevamo bisogno di una guida o di aiuto per chiedere il permesso di soggiorno”.

Insieme all’età e alla provenienza geografica, l’altro elemento centrale è la conoscenza della lingua: la dimostrazione di saper parlare bene italiano diventa garanzia di integrazione, inserimento sociale e non pericolosità, anche se tale binomio è tutt’altro che scontato: “A me non capita quasi mai perché parlo bene l’italiano e mi difendo, ma questo accade molto spesso a persone che sono in Italia da poco tempo o che non conoscono i propri diritti e hanno paura di subire discriminazioni”; “Non mi hanno assistito perché non parlavo bene l’italiano”.

da il dubbio

Osservatorio Repressione è un sito indipendente totalmente autofinanziato. Puoi  sostenerci donando il tuo 5×1000 e darci una mano a diffondere il nostro lavoro ad un pubblico più vasto e supportarci iscrivendoti al nostro canale telegram

Leave a Comment

You may use these HTML tags and attributes: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>